Washington tenta l’ennesimo “reset” delle relazioni con Mosca

giovedì 27 febbraio 2025


L’amministrazione Trump sta cercando di ripristinare le relazioni con la Russia come parte di un cambiamento completo nella politica estera degli Stati Uniti. Mentre i sostenitori affermano che ciò rifletta le mutevoli realtà geopolitiche, l’esperienza passata suggerisce che un ripristino di successo potrebbe essere più facile a dirsi che a farsi.

Dalla fine della Guerra Fredda, i governi che si sono avvicendati negli Stati Uniti hanno cercato di ripristinare le relazioni con la Russia. Forse l’esempio più clamoroso risale al 2009, quando il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton avviarono uno sforzo ampiamente pubblicizzato per sviluppare una nuova strategia per la Russia. La loro amministrazione prevedeva una rinnovata cooperazione con la Russia su una serie di questioni come l’antiterrorismo, la non proliferazione e il traffico illecito di beni e persone.

Le difficoltà di comunicazione con il Cremlino furono evidenti fin dall’inizio. Ironicamente, la Segretaria Clinton e il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov avevano organizzato una “photo opportunity” premendo un grosso pulsante rosso che avrebbe dovuto rappresentare il “reset” delle relazioni con la Russia. Tuttavia, la didascalia venne tradotta male e fu scritto “sovraccarico”. Ciò si sarebbe rivelato profetico, con le relazioni bilaterali che presto si sarebbero orientate verso il confronto piuttosto che verso la cooperazione.

Oltre a programmi di politica estera spesso contrastanti, i leader degli Stati Uniti e della Russia operano anche in realtà politiche molto diverse. Quando i presidenti degli Stati Uniti vengono eletti e il loro partito controlla il Congresso, hanno solo due anni sicuri per forgiare una nuova politica, avere un impatto positivo sulle vite degli americani e stabilire il corso per la loro rielezione. Durante quel breve lasso di tempo, i decisori politici degli Stati Uniti spesso affrontano decisioni difficili sotto l’estrema pressione dei loro elettori. Sfortunatamente, il successo attraverso l’innovazione spesso porta al fallimento.

Al contrario, i politici russi non temono lo scorrere del tempo. Raramente affrontano scadenze rigorose o vincoli da parte dell’opinione pubblica quando implementano le loro politiche. Proprio come la maggior parte dei leader sovietici ha governato fino alla morte, i leader russi di oggi come Vladimir Putin e Sergei Lavrov sono rimasti nei loro ruoli per decenni. L’apparato di sicurezza della Russia, la vera fonte del potere politico nel Paese, è stato fedele a Putin sin dall’inizio del suo regime.

Sviluppare una strategia olistica nei confronti della Russia di Putin è stato più complicato che trattare con altre regioni perché i concetti validi altrove non possono trovare applicazione con Mosca.

Gli Stati Uniti, nel corso degli ultimi decenni, hanno dimostrato di non essere disposti a perseguire una politica di contenimento in stile Guerra Fredda. Di contro, Washington è stata riluttante a perseguire una cooperazione strategica in materia di sicurezza come ha fatto negli anni ‘90 perché la Russia ha dimostrato di essere un partner inaffidabile, ha violato l’ordine basato sulle regole internazionali e ha messo direttamente a rischio le vite americane.

Nonostante la necessità di affrontare le sfide alla sicurezza poste dalla Russia, una strategia coordinata degli Stati Uniti per trattare con il Cremlino resta un terreno scivoloso. I tentativi di ripristinare le relazioni sono falliti e i legami bilaterali si sono deteriorati.

Mentre fino a poco tempo fa, nessun membro del Congresso avrebbe voluto dare l’impressione di tendere anche solo metaforicamente una mano verso la Russia, ora qualcosa sembra cambiare negli Stati Uniti. Perché l’attuale amministrazione Usa ha tanta fretta di normalizzare i rapporti con Mosca? Trump si è candidato alla presidenza con una campagna elettorale in cui ha promesso che avrebbe posto fine alle due principali guerre in corso, attuato un ambizioso programma interno per tagliare la forza lavoro federale, aumentandone - al contempo - la produttività. 

Fondamentalmente, il Congresso deve approvare il bilancio entro il 14 marzo o le attività del governo federale si bloccheranno. Lo shutdown, letteralmente “spegnimento”, avviene quando alla fine di un anno fiscale il governo statunitense si trova senza una legge finanziaria approvata dal Congresso, o meglio senza che vengano approvati gli stanziamenti dei fondi (Appropriations bills) per dodici diversi settori dell’attività di governo, che non ha così l’autorità per spendere denaro per servizi non essenziali. Uno scenario che creerebbe una pressione esplosiva sull’amministrazione Trump.

Trump ha bisogno di un accordo con la Russia più di quanto tema le ricadute politiche che un reset delle relazioni con la Russia potrebbe portare alla sua presidenza.

Questo ha portato gli Stati Uniti a promuovere una risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva una “rapida fine” al conflitto e sollecitava una “pace duratura tra l’Ucraina e la Federazione Russa”, senza che la Russia fosse indicata come aggressore. Chiaramente, il Cremlino ha approvato il cambiamento di tono da parte dei diplomatici statunitensi.

Prima della votazione finale, il Consiglio di Sicurezza ha discusso e votato su cinque emendamenti: due presentati dalla Russia e tre da Paesi europei. Tuttavia, nessuno di questi ha ottenuto l’approvazione necessaria. I Paesi europei, in particolare, avevano insistito su una formulazione che sottolineasse la necessità di una pace giusta basata sulla Carta delle Nazioni Unite, sulla sovranità nazionale e sull’integrità territoriale. Inoltre, l’Unione europea voleva che nel testo si parlasse esplicitamente di una “invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia”.

Mentre l’amministrazione Trump spera di attuare con successo l’ennesimo “reset” delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, tutti gli occhi sono ora puntati su come Washington intende concretamente gestire le relazioni con Mosca e sulle potenziali conseguenze per il futuro dell’Ucraina.

Non possiamo dire con assoluta certezza cosa porterà questo reset, ma sappiamo come è andata in passato.

Nel 1997 fu Clinton a resettare i rapporti con Mosca e nel 1999 la Russia invase la Cecenia.

Nel 2001 Bush resettò le relazioni con la Russia e nel 2008, Putin invase la Georgia. Il reset di Obama del 2009 portò, nel 2014, alla prima invasione dell’Ucraina.


di Renato Caputo (*)