giovedì 6 febbraio 2025
Gli Stati Uniti stanno per imprimere il cambio di rotta forse più importante nella loro politica estera dal 1945. L’insediamento della seconda amministrazione di Donald Trump ha il potenziale per reimpostare il modo in cui le future generazioni di politici americani, militari, dirigenti d’azienda e cittadini comuni costruiscono il patrimonio e le priorità strategiche del Paese in patria e all’estero. E mentre a Washington c’è un consenso sul fatto che la Cina e l’Indo-Pacifico debbano essere prioritari nella strategia statunitense per il futuro, per la prima volta in un secolo, le future basi delle relazioni degli Stati Uniti con l’Europa sono oggetto di dibattito. Ma come siamo arrivati a questo punto? Per troppo tempo l’atlantismo è stato dato per scontato come pietra angolare della politica estera americana e, come in un matrimonio che va avanti da anni, ciò che per tanto tempo è sembrato ovvio deve essere riarticolato e ripianificato.
Storicamente, l’impegno dell’America nei confronti dell’Europa è stato incentrato sui fondamenti della geopolitica. Gli Stati Uniti sono una potenza navale per eccellenza situata in un emisfero separato dalla massa continentale eurasiatica da due oceani. Fin dall’inizio del XX secolo si è ritenuto che l’accesso a rotte marittime sicure attraverso l’Atlantico, e in caso di emergenza nazionale il loro controllo, è nell’inflessibile interesse del Paese. La capacità di farlo ha garantito la sicurezza della patria americana e dell’emisfero occidentale e, cosa altrettanto importante, la prosperità e la crescita economica della Nazione. E mentre il Pacifico è cresciuto in importanza negli ultimi tre decenni, l’Europa rimane la porta d’accesso dell’America all’Eurasia, la fonte delle sue alleanze fondamentali e, in ultima analisi, la culla del suo patrimonio nazionale e culturale. Basti dire che durante gli ultimi due conflitti mondiali, gli Stati Uniti sono entrati in guerra per evitare che una sola potenza dominasse l’Europa e l’Eurasia. Dopo la Seconda Guerra mondiale, sono rimasti in Europa per garantire che l’Unione sovietica, loro ex alleato nel conflitto, non realizzasse ciò che l’imperialismo tedesco aveva cercato di fare nella prima metà del XX secolo.
Come osservò una volta Halford J. Mackinder con lungimiranza, l’uomo inizia, ma la natura controlla, e sebbene i Paesi abbiano alti e bassi nel loro potere assoluto e relativo, che si tratti della Germania in passato o della Cina oggigiorno, la geopolitica rimane costante. Il dato di fatto che gli Stati Uniti non possono consentire a una potenza ostile di controllare le risorse combinate dell’Europa e dell’Eurasia era vero allora e rimane tale anche oggi. Garantire che l’Europa rimanga strettamente allineata con l’America, limitando al contempo l’influenza cinese sul continente, è di fondamentale importanza per l’equilibrio globale del potere che favorisce gli Stati Uniti e le democrazie di tutto il mondo, sia in termini economici che militari. Ma cosa ancora più importante è che proprio a causa dell’accelerazione della competizione con la Cina che gli Stati Uniti devono assicurarsi che gli alleati europei non vengano trascinati nell’orbita cinese. Non si tratta solo dell’elevato Pil collettivo dell’Europa, delle sue risorse lavorative e tecnologiche che attualmente sostengono l’America e consentono alla Nato di raggiungere gli obiettivi sia degli Stati Uniti che del Vecchio Continente a un costo accettabile.
Ciò che più conta è che in termini geostrategici, l’Europa è il punto di ingresso strategico dell’America che consente agli Stati Uniti di proiettare il loro potere in diversi teatri chiave. Senza l’alleanza con l’Europa, gli Usa tornerebbero alla posizione emisferica periferica che occupavano nei primi anni della loro storia, mentre passavano da un’agricoltura di sussistenza a un’economia industriale, espandendosi in tutto il continente americano. Parafrasando e ampliando il famoso detto attribuito al generale Hasting Lionel Ismay, capo di Stato Maggiore di Winston Churchill durante la Seconda Guerra mondiale, in merito al ruolo svolto dalla Gran Bretagna in quella guerra, oggi l’Europa continentale è la portaerei inaffondabile dell’America, solo su scala molto più grande.
Gli Stati Uniti hanno investito in Europa risorse e reputazione senza precedenti, costruendo un muro di deterrenza che ha tenuto a bada l’Unione sovietica per mezzo secolo dopo la Seconda Guerra mondiale, fino a quando l’impero comunista non è alla fine imploso. Sono stati inequivocabilmente l’investimento di denaro americano, la manodopera e soprattutto l’impegno statunitense a tenere sotto controllo l’Unione sovietica. Rinunciare a questo investimento oggi minerebbe non solo la Nato e con essa la posizione degli Stati Uniti in Europa, ma anche la nostra reputazione in ogni teatro del mondo, perché da un Paese che non è disposto a proteggere i propri investimenti cruciali non ci si può aspettare che li metta in gioco in regioni secondarie e terziarie. In altre parole, se l’America perde credibilità in Europa, la perderà anche nel Pacifico, in Medio Oriente, e altrove.
È tempo, dunque, di ragionare e riflettere, ma soprattutto di comunicare all’elettorato perché oggi l’Europa è importante per la sicurezza degli Stati Uniti nella misura in cui lo è da più di un secolo a questa parte e, anche se ad alcuni può sembrare controintuitivo, visto che la Cina continua ad espandere il proprio arsenale militare in modo rapido e su larga scala, dovrebbe essere una priorità per il futuro. È vero che gli alleati della Nato hanno urgente bisogno di riarmarsi; tuttavia, quando si tratta di interessi strategici vitali per l’America, Europa vs. Asia non è una questione di “o l’una/o l’altra”, piuttosto è un problema di “sia l’una/che l’altra”.
Le risorse che l’Europa apporta alla sua alleanza con gli Stati Uniti, sia economiche che militari, sono un moltiplicatore di forza. Il nostro potere aggregato con l’Europa non solo libera risorse statunitensi per l’Indo-Pacifico, ma contribuisce anche alla stabilità regionale in teatri chiave e, a sua volta, colpisce le risorse della Cina necessarie per proiettare influenza politica ed economica. Rimanere ancorati in Europa non ostacolerà, ma anzi faciliterà la capacità degli Stati Uniti di scoraggiare e, se necessario, sconfiggere la Cina. Dire che l’Europa è centrale per la sicurezza americana significa riconoscere la realtà del mondo odierno.
L’America deve rimanere in Europa non per abitudine, ma per un chiaro interesse geostrategico e di sicurezza nazionale. In poche parole, l’America può affrontare le sfide che emergono in Asia, Medio Oriente e altrove, e farlo a un costo accettabile, solo se l’Europa è sicura.
(*) Tratto da 19FortyFive
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Andrew A. Michta (*)