Bielorussia: lo specchio opaco della Russia

mercoledì 5 febbraio 2025


Il 26 gennaio scorso l’autocrate Alexander Lukashenko è stato rieletto presidente della Bielorussia per un settimo mandato. Intanto oltre 1.200 prigionieri politici, espressione del dissenso, si trovano nelle carceri del Paese in condizioni decisamente difficili. Elezioni farsa, quelle bielorusse, considerate tali anche dall’Unione Europea e da varie Ong impegnate sul fronte dei diritti umani. L’Estone Kaja Kallas, alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, ha affermato, sabato, che queste elezioni non hanno alcuna legittimità, in quanto viziate da una repressione implacabile, da restrizioni alla partecipazione politica, nonché dall’ostruzionismo esercitato sui media indipendenti. Ma questo per Lukashenko è irrilevante. Tuttavia, il settantenne autocrate bielorusso, dopo aver guidato il Paese per più di 30 anni, è stato rieletto per altri cinque con quel chimerico 87 per cento dei voti, un punteggio quasi identico, sarà un format, a quello ottenuto dal suo tutore russo Vladimir Putin nel 2024, 88 per cento, che ha palesato la solita schiacciante e banale vittoria programmata. Lukashenko esercita questo potere con pugno di ferro dal 1994, anche se la repressione ha raggiunto il picco nel 2020, dopo la rielezione per il suo sesto mandato, a seguito di coraggiose proteste di piazza.

Che senso ha per un regime dittatoriale praticare l’esercizio del voto se non per ingannare buona parte del popolo bielorusso con elezioni che non hanno nulla a che fare con la volontà popolare? Probabilmente formalizzare un consenso con urne precostituite e forzate dall’oppressione, aiuta l’autocrate a ostentare potere verso i “suoi simili”, una questione di immagine legata a questa tipologia di personaggi e regimi. I risultati di un recente rapporto sulla condizione dei Diritti umani in Bielorussia, rivelati dall’organizzazione Viasna human rights centre, con sede nella capitale Minsk, ma esiliata a Vilnius in Lituania, oltre che a confermare la presenza di almeno 1.250 prigionieri politici detenuti nelle carceri bielorusse, ha anche affermato che questo numero varia in funzione dei prigionieri liberati e di nuove persone arrestate. Infatti da luglio 2024 ad oggi risulta che oltre 200 persone hanno beneficiato della grazia presidenziale, ma altrettante sono state “messe ai ferri”, mantenendo il numero totale pressoché inalterato. Inoltre dal 2020 oltre mezzo milione di bielorussi sono fuggiti dal Paese. Quindi è proprio l’oppressione esercitata dal sistema carcerario l’arma fondamentale per spezzare le azioni degli oppositori. Resta un’osservazione da fare perché Lukashenko ha ottenuto solo l’87,6 per cento dei voti?

Ma questa “arma”, dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, ha proiettato un colpo forse inaspettato; così il 26 gennaio, sei giorni dopo l’insediamento di The Donald, Lukashenko ha fatto un gesto verso Washington, da analizzare attentamente, quello di liberare la cittadina statunitense Anastasia Nuhfer. Marco Rubio, neo Segretario di Stato americano, ha dato la notizia il 26 gennaio, dichiarando che la connazionale è stata liberata da una prigione bielorussa non fornendo ulteriori dettagli. Ha solo tenuto a sottolineare che Nuhfer era stata tradotta in una prigione bielorussa durante la presidenza di Joe Biden. I fatti che riguardano la detenzione di Nuhfer sono poco noti. Si sa che il suo nominativo è stato assente nei discorsi pubblici o nei casi di negoziazione più o meno palesi. Non risulta che il regime bielorusso abbia mai rivelato di avere imprigionato l’americana, tantomeno Washington ha mai riferito i nomi dei prigionieri americani detenuti all’estero, almeno fino a quando le famiglie non danno consenso o chiedono che i nomi dei propri familiari imprigionati vengano resi pubblici. Comunque Svyatlana Tsikhanouskaya, leader dell’opposizione bielorussa residente in Lituania, ha plaudito alla notizia della liberazione di Nuhfer rimarcando la difficile situazione dei prigionieri politici in Bielorussia.

Un'altra figura di spicco detenuta in Bielorussia è il cittadino statunitense, ma di nascita bielorusso, avvocato e politico, Yuras Zyankovich, arrestato una prima volta durante le proteste del 2020 che contestavano la falsificazione dei risultati delle votazioni. Presente a Minsk fu poi nuovamente trattenuto prima per alcuni giorni, poi liberato; successivamente ad aprile 2021 fermato dai servizi segreti bielorussi e russi e condannato, con l’accusa di tentativo di colpo di Stato, a 11 anni di galera. Lukashenko sta praticando la sua politica come una proiezione opaca di quella di Vladimir Putin. Oltre ad esercitare una pesante oppressione verso ogni forma di dissenso, mette a disposizione la propria Nazione per ogni tipo di operazione militare o strategica che Mosca vuole applicare.

In particolare, da quando la Russia ha attaccato l’Ucraina – quindi in questi ultimi tre anni – la Bielorussia ha destinato il suo territorio all’esercito russo, ponendo finalmente fine al suo gioco ambiguo di falsi equilibri tra Russia e l’Occidente. A firma di una ipoteca politica con Mosca, ha poi accolto nell’estate del 2023 le armi nucleari tattiche russe, che eventualmente potranno essere utilizzate, anche come minaccia, in ogni ambito non solo ucraino. Il regime del “vice dittatore” bielorusso dipende totalmente dal suo capo del Cremlino, Putin, ed è improbabile che la condanna dei leader occidentali o le minacce di sanzioni da parte dell’Unione europea possano incidere sul “subordinato pensiero” di Lukashenko.


di Fabio Marco Fabbri