giovedì 30 gennaio 2025
Un’ulteriore prova della crudeltà dei terroristi di Hamas. Le immagini della liberazione degli ostaggi a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, hanno scatenato l’ira di Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha esordito così in un discorso alla Nazione: “Quello che abbiamo visto è sconvolgente. Esigo che i mediatori impediscano il ripetersi di simili scene e garantiscano la sicurezza degli ostaggi. Chiunque osi fare loro del male ne pagherà il prezzo”. I prigionieri rilasciati sono tre cittadini israeliani – tra cui la soldatessa Agam Berger, liberata nel nord di Gaza – e cinque lavoratori thailandesi, tutti sequestrati il 7 ottobre. Tra le immagini che hanno fatto il giro del mondo, un video diffuso dalla Jihad Islamica mostra Arbel Yehuda, 29 anni, e Gadi Moses, 80 anni, abbracciarsi prima della liberazione, dopo mesi di prigionia. A Khan Younis, nel frattempo, la situazione è degenerata. Centinaia di persone si sono accalcate sugli edifici bombardati, mentre miliziani armati pattugliavano l’area con le bandiere di Hamas e della Jihad Islamica ben in vista. Un rilascio nel caos, tra urla, folla e tensione. Troppo, per il governo israeliano, che ha protestato con i mediatori internazionali: “A Khan Younis è andata in scena una crudeltà inaccettabile”, ha tuonato Netanyahu.
Ma la rabbia non si ferma al fronte esterno. In Israele, la liberazione degli ostaggi è diventata un’arma politica. Itamar Ben-Gvir, ex ministro della Sicurezza nazionale e leader della destra, ha usato parole di fuoco contro il suo ex esecutivo. Su Telegram, ha parlato di “fallimento totale”, attaccando l’accordo che ha portato al rilascio degli ostaggi. “Siamo felici di riabbracciare Agam, Arbel e Gadi, ma le immagini da Gaza lo dimostrano: questa non è una vittoria, è un’umiliazione”, ha scritto Ben-Gvir, ribadendo la sua opposizione a qualsiasi accordo con Hamas. Già il 19 gennaio, quando Israele aveva accettato la tregua per ottenere la liberazione dei primi ostaggi, si era dimesso in segno di protesta. L’ex ministro è tornato a chiedere una linea dura: “Avremmo dovuto fermare la folla inferocita negando carburante, elettricità e acqua. Avremmo dovuto schiacciarli militarmente, fino a farli implorare di restituirci i nostri ostaggi. Invece, abbiamo scelto di cedere”. Poi, un ultimo avvertimento: “Non è troppo tardi per rimediare”.
Nel frattempo, entra ufficialmente in vigore la decisione di Israele di vietare l’attività dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni unite che da 76 anni forniva assistenza ai rifugiati palestinesi. Il provvedimento, approvato dalla Knesset, prevede la chiusura degli uffici e lo stop ai progetti dell’agenzia nel Paese, ma la sua applicazione è tutt’altro che chiara. “Noi restiamo aperti, nessuno ci ha ordinato di chiudere”, ha dichiarato Juliette Touma, portavoce dell’Unrwa. “A Gerusalemme est, 1.100 studenti palestinesi hanno diritto all’istruzione e tra le 70 e 80mila persone ricevono cure mediche nelle nostre strutture. I nostri dipendenti oggi sono regolarmente al lavoro”. Tuttavia, Jonathan Fowler, altro portavoce dell’agenzia, ha confermato che la sede centrale di Gerusalemme Est è stata abbandonata: “I nostri visti sono scaduti oggi, ce ne siamo andati per protesta”. Il personale internazionale è stato trasferito in Giordania, mentre i dipendenti locali continuano a operare dove possibile.
di Eugenio Vittorio