giovedì 23 gennaio 2025
Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, spesso strombazzata dalla propaganda di Mosca come la grande vittoria della Russia. Il 15 gennaio il presidente russo Vladimir Putin ha presieduto una riunione virtuale del comitato speciale responsabile dei preparativi delle celebrazioni di tale anniversario. Sarà indubbiamente una commemorazione molto diversa rispetto a quelle di vent’anni fa, a cui parteciparono molti ospiti internazionali. Persino il presidente degli Stati Uniti George W. Bush prese parte alla parata del 9 maggio 2005 sulla Piazza Rossa, sperando in questo modo di promuovere la partnership tra gli Usa e la Russia, che alcuni ritenevano – a torto – stesse diventando uno Stato democratico. Purtroppo, questa illusoria visione ha continuato a circolare in molti ambienti, anche dopo l’annessione della Crimea e l’aggressione nel Donbas da parte della Russia, nel 2014. Tuttavia, già lo scorso anno gli invitati che intervennero per assistere alla parata militare erano sempre meno. C’erano i presidenti di Bielorussia, Cuba, Guinea-Bissau, Laos e delle cinque Repubbliche centrasiatiche.
Quest’anno è prevedibile che la partecipazione di ospiti stranieri resti una chimera. È presumibile, per esempio, che alle celebrazioni del 2025 non voglia prendere parte il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, dopo che l’abbattimento dell’aereo di linea azero – ad opera della contraerea russa – ha seriamente ipotecato le relazioni tra i due Paesi. La fatidica decisione di Putin di lanciare l’aggressione su vasta scala contro l’Ucraina tre anni fa non ha lasciato dubbi sulla vera natura del suo regime corrotto e dispotico. Putin resta imperturbabile e, quest’anno, l’anniversario che conta davvero per lui è quello dei suoi 25 anni di dominio sulla scena politica russa, in cui il controllo sui clan e l’élite sembrano essere assoluti, oggi come ieri. Peraltro, come è stato recentemente svelato, gli scagnozzi di Putin stanno addestrando assassini e sabotatori per intensificare la campagna di attacchi terroristici in Occidente. Un altro anniversario che il Cremlino avrebbe celebrato volentieri quest’anno era quello dei dieci anni di intervento militare in Siria.
Per la propaganda di Mosca, questa ricorrenza a due cifre, avrebbe dovuto dimostrare la capacità della Russia di esercitare la propria influenza nella regione. Niente era più lontano dalla realtà. Dopo l’improvviso crollo del regime di Bashar al-Assad è risultato evidentemente che quello che fino a ieri avrebbe dovuto essere un fiore all’occhiello per Putin – oggi sia l’iconica rappresentazione della fragilità del suo regime, incapace di gestire due fronti contemporaneamente. La Russia sta cercando di compensare questa perdita di prestigio in Medio Oriente rafforzando i suoi legami con l’Iran. Il presidente Masoud Pezeshkian ha visitato Mosca la scorsa settimana per firmare il trattato sul partenariato strategico globale. Il trattato era in preparazione da molti mesi, ma nella versione finale, tutti gli articoli relativi alle questioni di sicurezza militare sono stati rimossi. La partnership è diventata principalmente economica, mentre la mancanza di investimenti limita il potenziale di espansione dei legami commerciali. Il Cremlino ha, infatti, buone ragioni per aspettarsi che nelle prossime settimane, l’Iran potrebbe essere nuovamente sottoposto a una politica statunitense di “massima pressione”.
Ecco perché rinsaldare i legami di sicurezza con Teheran non poteva rappresentare una proposta allettante per Putin. Questo cambio di scenario è una delle modifiche della politica estera degli Stati Uniti che gli esperti russi si aspettano, mentre – in queste ore – il flusso di ordini esecutivi sembra non avere sosta alla Casa Bianca. A differenza dello scorso insediamento di Donald Trump, l’umore politico prevalente a Mosca è l’ansia piuttosto che l’esuberanza, e gli esperti patriottici russi mettono in guardia sui crescenti rischi per la sicurezza della Russia. Allo stesso tempo, le speculazioni su possibili accordi sottoscrivibili nell’ipotetico incontro Putin-Trump circolano in un turbinio fuori controllo. Le preoccupazioni per l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia, in particolare di quelle sulle esportazioni di petrolio, sono mescolate con la speranza di un allentamento delle altre relative alle transazioni finanziarie. La traiettoria del cambiamento sarà determinata dall’accordo sulle condizioni per porre fine alla guerra in Ucraina, o dal suo mancato raggiungimento. Nikolai Patrushev, ex segretario del Consiglio di sicurezza russo, ha detto che nel 2025 l’Ucraina cesserà di esistere come Stato sovrano. Questa supposizione rivela il vero obiettivo della “operazione militare speciale” di Putin, che può essere raggiunto solo se la coalizione occidentale che sostiene l’Ucraina si dovesse disintegrare. Un risultato più profondo è l’ulteriore degenerazione del regime corrotto e aggressivo in Russia, che costituisce una massiccia minaccia alla sicurezza di tutti i vicini europei. Nessuna azione diplomatica o accordo transazionale potrà ridurre l’intensità di questa minaccia. Al contrario, un convinto sostegno all’Ucraina potrà neutralizzarla.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)