giovedì 16 gennaio 2025
Generalmente la questione migratoria sale all’attenzione dei media al momento dell’imbarco dalle coste nord africane e soprattutto durante la traversata verso le coste europee quando le organizzazioni, battenti la discutibile e ambigua “bandiera umanitaria”, imbarcano i migranti. Come sappiamo le sponde più gettonate di partenza sono quelle libiche e tunisine anche perché ,questa dinamica migratoria, li conduce sui lidi italici. L’attuale Esecutivo italiano, anche nel quadro del Piano Mattei, opera energicamente per regolare l’anarchia migratoria che da anni investe l’Italia, ma nel quadro delle drammaticità umane che riguardano questo aspetto, ciò che accade prima dell’imbarco è spesso poco conosciuto, se non quando qualche vittima riesce a rivelarlo. Un video lanciato in rete il sei gennaio e rappresentate di quanto accaduto in un centro di detenzione dei migranti vicino a Tripoli, ha suscitato pietà per la violenza esercitata da aguzzini libici verso una donna etiope arrivata in Libia tramite le vie migratorie transahariane che collegano il Sudan e il Ciad al Mediterraneo. La costernazione nel vedere il filmato ha colpito poiché viene ricordato quanta violenza è riservata ai migranti in Libia: arrestati, detenuti in condizioni atroci, offesi, torturati, talvolta rivenduti ed anche estorti dai trafficanti di esseri umani, che fanno, della tratta di esseri umani, un mestiere ed un business.
In particolare nel video si vede una ragazza etiope con età indicativa di 20 anni, abbigliata con tunica verde scuro ornamentata da disegni, viene appesa tramite una corda al soffitto, vessata anche con acqua sul viso per dare il senso di affogamento, poi percossa su gambe e piedi (i massacratori non sono visibili). Non indugiando sulla descrizione della tortura, il video, con audio, dura circa quaranta secondi, poi si interrompe lasciando immaginare il proseguimento. Della detenuta, il cui nome sembra essere Naima Jamal, da maggio 2024 in Libia, si sa che rientra nei numerosi casi di estorsione, infatti il filmato con audio è utilizzato dai commercianti di migranti come strumento per ricattare la famiglia della giovane.
Il video è stato spedito alla famiglia in Etiopia, in particolare in un villaggio della martoriata regione dell’Oromia, con la richiesta di 6.000 dollari per la sua liberazione. La cifra è chiaramente molto impegnativa, se non impossibile, per la famiglia della giovane, probabilmente è l’inizio di un macabro negoziato che spinge i familiari a impegnarsi, con una pressione opprimente, alla ricerca di una catena di aiuti che non garantiscono nemmeno il rilascio. La giovane etiope non era sola, è detenuta insieme ad almeno una cinquantina di persone tutte in attesa di essere riscattate dai propri familiari. Molte delle persone che subiscono questi rapimenti, per molteplici ragioni, non vengono riscattate e così vengono perse nell’oblio del sistema di sequestri.
Anche questo è un effetto collaterale conclamato scaturito dopo la deposizione, voluta indirettamente dai libici ma ordita a livello occidentale, Francia in testa, di Muammar Gheddafi nel 2011. Da quel momento la Libia è diventata uno dei principali punti di transito e sosta – il tutto fuori controllo da parte dell’articolato sistema dei “governi” del Paese – per i migranti in rotta verso l’Europa. Molte indagini sono state eseguite in questi ultimi anni da varie organizzazioni umanitarie, circa la questione migranti in Libia. L’ultimo rapporto del 2023 commissionato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, ed elaborato da una commissione d’inchiesta indipendente, ha rivelato che i migranti presenti in Libia sono vittime di sistematiche sparizioni, omicidi, torture, violenze sessuali, schiavitù, oltre a generiche violenze fisiche, che spesso conducono a squilibri psichici; il tutto rientra nel quadro dei crimini contro l’umanità commessi soprattutto durante la detenzione.
Oggi la Libia, soprattutto la Tripolitania (la Cirenaica è interessata anche da migrazione indiana, più “abbiente”, che viaggia tramite aereo verso il Nicaragua), è una sorta di tritacarne dei migranti sahariani e subsahariani; una area dove è riemersa “l’asta”, e dove i nuovi schiavisti computano, come secoli addietro, la donna per le sue “curve”, gli adolescenti per la loro giovane età e gli uomini per la loro struttura robusta. Un complesso sistema che è finanziato a livello di rapporti interstatali anche dall’Unione europea, e che richiederebbe una bonifica sulle anarchie interne non semplice da attuare, anche alla luce del frazionamento governativo del Paese.
di Domiziana Fabbri