La “scoperta” dell’Iran

lunedì 13 gennaio 2025


La detenzione ed il rilascio della giornalista Cecilia Sala hanno avuto come conseguenza la scoperta, a livello politico ed internazionale, del regno persiano oggi conosciuto come Iran. La triangolazione Italia-Usa-Teheran è riuscita a smuovere relazioni impantanate da tempo immemore. E così, tramite un comunicato, il portavoce del ministro degli Esteri iraniano Esmaeil Baqaei ha annunciato “il rilascio di Mohammad Abedini Najafabadi, cittadino iraniano detenuto in Italia (dal 16 dicembre 2024, ndr), e il suo ritorno in patria”, esprimendo “apprezzamento per la cooperazione di tutte le parti interessate” e sottolineando gli “sforzi compiuti dall’apparato diplomatico per dare seguito alla questione”. Davood Karimi, presidente dell’Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia, in una nota “condanna fermamente la liberazione di Abedini, arrestato all’aeroporto di Milano dietro un mandato di cattura internazionale emesso da parte della magistratura americana. Ennesimo atto di sottomissione europea ai ricatti terroristici degli ayatollah che da oltre 40 anni hanno preso in ostaggio il popolo iraniano, e non solo”.

Rimane il fatto che la diplomazia internazionale funziona solo nell’ottica dello scambio. E chissà quale è stato quello che ha consentito il rilascio della cittadina settantenne tedesco-iraniana Nahid Taghavi, dopo quattro anni di detenzione nel carcere di Evin a Teheran. Arrestata nel 2020, l’attivista per i diritti delle donne era stata condannata a più di dieci anni di carcere nell’agosto 2021 per “appartenenza a un gruppo illegale e per propaganda contro il regime”. La notizia è stata diffusa stamattina anche se Taghavi è arrivata in Germania ieri. 

Diverso, purtroppo, è il caso dell’attivista curda Pakhshan Azizi: la Corte Suprema ha confermato la sua condanna a morte, dopo il ricorso presentato dal suo avvocato a seguito dell’arresto avvenuto nell’agosto 2023 e della relativa condanna dello scorso giugno perché ritenuta colpevole di “ribellione”. Azizi è accusata di far parte di gruppi armati curdi fuorilegge che operano nella regione, ma i suoi avvocati hanno negato qualsiasi legame con le organizzazioni.

Secondo l’Ong Iran Human Rights, l’azione penale contro Azizi mira a intimidire la società dopo le proteste del 2022-2023 particolarmente intense in Kurdistan, guidate da donne. “Questa sentenza illegale, emessa per incutere timore nella società e impedire nuove proteste, deve essere condannata con la massima fermezza dalla comunità internazionale”, ha dichiarato il direttore di Ihr, Mahmood Amiry-Moghaddam. La vincitrice del premio Nobel per la Pace 2023, l’iraniana Narges Mohammadi, ha scritto sui suoi canali social che “è nostro dovere non restare in silenzio. La conferma della condanna a morte di Pakhshan Azizi da parte della Corte Suprema riflette la determinazione del regime ad aumentare la repressione delle donne e a vendicarsi del magnifico e potente movimento Donna, vita, libertà”. 

E forse il punto è proprio questo: sarebbe ora che gli Stati che hanno un peso sullo scacchiere internazionale inizino a trattare non solo per i propri cittadini. I valori occidentali di giustizia, equità e libertà andrebbero sempre difesi e rivendicati con orgoglio. Se non lo facciamo noi, chi si batterà per Azizi e tutte le altre donne che continuano ad essere oppresse, arrestate e torturate nel mondo?


di Claudia Diaconale