giovedì 19 dicembre 2024
Se il regime iraniano degli Ayatollah ha inanellato una nuova sconfitta a livello internazionale dopo la caduta del governo siriano dell’alawita Bashar al-Assad, non meno significativo è il fallimento dell’approccio russo in Siria. Nel 2015 l’intervento militare di Mosca in Siria scandì un ritorno dell’influenza russa in Medio Oriente, che non aveva precedenti di questa portata, ma la caduta di al-Assad ha mostrato la debolezza dell’impegno russo nel garantire la sicurezza e la stabilità nel Paese. Vladimir Putin a fine 2017, fece una significativa presenza nella base aerea di Hmeimim, situata a sud-est di Latakia, in Siria, sito militare strategico russo, operativo dal 2015, dove la tecnologia militare moscovita ha espresso uno dei suoi migliori aspetti. In questa area geografica la presenza di adepti all’alawitismo è predominante. Allora il presidente russo mostrò orgoglio e ebbe note di encomio per il successo ottenuto dai militari di Mosca in Siria nella lotta contro il terrorismo, anche di stampo jihadista, e sottolineò che le due basi militari russe nel Paese, oltre Hmeimim, anche Tartus (sito strategico che permette alla Russia di utilizzare l’unico accesso diretto al mare, base dove si esibiscono esercitazioni navali, dove stanziano navi da guerra e dove sono ormeggiati sottomarini nucleari), avrebbero garantito sia la presenza di forze armate di Mosca in Siria, che un caposaldo russo nel Mediterraneo orientale.
A sette anni di distanza il presidente siriano non è stato capace con il proprio esercito, non più supportato dai soldati di Mosca e nemmeno dalle milizie iraniane, anche esse stanziate in Siria, di frenare la marcia verso Damasco dei ribelli e dei jihadisti a bordo di pick-up con mitragliatore, di carri armati presi all’esercito siriano in ritirata, di blindati forniti anche dalla Turchia e partiti dall’area di Idlib a nord ovest della Siria. Una aggressività spiccata, ma modesta militarmente che non ha trovato ostacoli nella sua corsa verso la capitale siriana. Un esercito, quello siriano, collassato senza il minimo ritegno privo dell’appoggio russo-iraniano. Un controverso rapporto quello della Russia con il Medio Oriente, in quanto dagli anni Cinquanta rappresenta un’area privilegiata, dove prima il potere sovietico, poi quello russo, hanno trovato spazi di affermazione importanti, sia ideologici che economico-strategici. Ma allo stesso tempo il “disegno” moscovita ha mostrato evidenti fallimenti della sua politica estera e di sicurezza. È proprio dal settembre 2015, quando l’aviazione russa ha iniziato a bombardare l’area di Hama e Homs, dove stavano esplodendo forti ribellioni al regime, che l’intervento militare russo ha potuto completare la “dottrina”, o la logica, putiniana, del do ut des, ovvero reinvestire nel Paese l’impegno profuso per il supporto alla sicurezza.
Un reingresso importante e significativo di Mosca, sia nel Medio e Vicino Oriente, che nell’area africana dove è entrata sulla scena regionale in contrasto con le azioni di altre storiche potenze “colonialiste” ed ex, che ormai avevano iniziato ad essere percepite dagli Stati africani come nazioni con interessi prevalentemente predatori. La Russia dopo l’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022, ha dovuto allentare le sue attenzioni e il suo impegno in Siria, ma anche ha ridotto le sue ambizioni sulla regione, limitandosi a gestire, non con poche difficoltà, lo status quo. Quindi un approccio diventato minimalista a livello diplomatico, e portato ai minimi termini anche dal punto di vista degli impegni economici in ambito militare. Atteggiamento dimostrato al momento della corsa dei ribelli verso Damasco i quali hanno solo subito alcune incursioni dei bombardieri russi. Li si è fermato l’impegno militare di Mosca nella difesa del regime di Assad. L’esercito di Vladimir Putin, assorbito dalla guerra in Ucraina, non disponeva più delle risorse militari che le permettevano di imporre la propria influenza a lungo termine in Siria. Ma questa presenza nella regione aveva soprattutto lo scopo di attrarre l’attenzione di Washington, quindi di configurarsi come presenza geostrategica, ma anche per assicurare la continuità dei dialoghi sia con la Turchia che con l'Iran, posizionati agli antipodi nei confronti della Siria.
Ora gli interlocutori siriani sono più che altro i nuovi padroni di Damasco, i quali sembrano aperti a dialogare con tutti, certamente inebriati dalla sensazione di essere al centro delle attenzioni internazionali. Ma il portavoce del nuovo governo siriano di transizione, affiliato al gruppo Hayat Tahrir al-Sham (Htc), Obeida Arnaout, ha affermato che le recenti operazioni della Russia in Siria sono ambigue, sottolineando che la decisione espressa da Mosca di ritirare le navi dal porto di Tartus e di trasferire i veicoli militari dalle due basi, non e chiaro se rappresenti un ritiro o se ciò rientri in una “manovra tattica”. Arnaout ha continuato sottolineando che la presenza russa in Siria era legata al “regime criminale” di Assad, quindi la Russia deve riconsiderare la sua posizione e rivolgersi alla nuova amministrazione per dimostrare che non nutre ostilità verso il popolo siriano e che l’epoca di Assad è finita. Risulta da quanto comunicato dai servizi segreti occidentali ed ucraini che il Cremlino sta effettuando un significativo ritiro delle sue forze dalla Siria, ma Mosca non ha dato nessuna conferma.
Ricordo che l’Htc, organizzazione jihadista con cui tutti devono e vogliono interloquire, dal 2014 è annoverata nella lista nera delle Nazioni Unite che elenca i gruppi terroristici, la motivazione è che in passato era alleata ad al-Qaeda. E tutti i 27 membri dell’Unione europea osservano questa designazione. Ora anche la Russia sta giocando una partita complessa dove sono in ballo i rapporti con il nuovo governo siriano. Fino a poco tempo fa i media e le autorità moscovite descrivevano gli oppositori siriani come terroristi. Ma Mosca ha anche affermato che sta proteggendo la minoranza cristiana in Siria. Così la propaganda russa da un giorno all’altro ha totalmente stravolto il suo panorama delle comunicazioni.
È chiaro che la Russia vuole stabilire, il più rapidamente possibile, relazioni con il nuovo governo siriano, sia per proteggere l’arsenale militare che ha nel Paese, ma maggiormente perché la Siria è l’accesso della Russia al Medio Oriente.
di Fabio Marco Fabbri