L’eredità di Assad: la non-Siria

martedì 17 dicembre 2024


Allora, che cosa rimane del più cupo e tetro dei regimi arabi autoritari, ovvero della Siria post guerra civile? Di sicuro, tanto captagon, detta “droga della Jihad”, che ora proprio i jihadisti vittoriosi, così come hanno fatto i loro colleghi talebani, dovrebbero mettere al bando perché contraria ai principi inviolabili dell’Islam. In questo caso, c’è da giurarci che saranno i ricchi Stati petroliferi (in cui dilaga la piaga del consumo di captagon da parte delle giovani generazioni) della Penisola arabica, Arabia Saudita in testa, a dover versare la decima, rimborsando ad al-Jolani i miliardi di mancati guadagni, che rappresentavano in pratica le uniche entrate del narco-Stato messo in piedi dagli Assad.

Poi, c’è l’aspetto scandaloso e “gossipparo” di un garage del palazzo presidenziale con un bel numero di Ferrari parcheggiate all’interno: il che la dice lunga sull’intelligenza dei dittatori, visto che, per come sono ridotte le strade di Damasco e dintorni, era possibile fare soltanto un giro a ridosso delle mura interne della cittadella fortificata in cui si era barricato il dittatore. Ma, molto più seria, è la questione dell’equa ripartizione del potere a Damasco, per tenere in equilibrio un complesso mosaico di etnie e di religioni, in cui tutto agisce e si muove attorno ai conflitti tribali, esattamente come il Libia e in Iraq. Certo, a voler insistere nel guardare agli esempi del passato, la rovinosa caduta del regime siriano di Assad non è di buon auspicio, visto quanto accaduto nel 2011-2012 con i disastri delle Primavere arabe, che hanno avuto un esito esattamente opposto a quello auspicato della “democratizzazione” dei regimi arabi dispotici, in quanto coloro che hanno preso il potere dopo di loro si sono rivelati ben peggiori dei primi.

Vogliamo dire che, forse, la mentalità delle popolazioni arabo-musulmane c’entra qualcosa, sia per retaggio culturale che per il peso della tradizione, in questo rifiuto dell’Occidente e dei suoi frutti avvelenati (democrazia, stato di diritto, secolarizzazione, globalizzazione), considerati dei veri e propri demoni dal punto di vista religioso, che in Medo Oriente affonda le sue radici in 1500 anni di storia? Del resto, Francia e Inghilterra sono le prime responsabili, perché con i loro accordi segreti di Sykes-Picot del 1916, in cui si è deciso lo smembramento dell’Impero ottomano, hanno creato veri e propri Statiartificiali”, quali la Siria e l’Iraq, in cui addirittura esistono a oggi contenziosi sui confini, dovuti allo spessore della matita utilizzata per tracciarli! E, paradossalmente, nessuna di queste creature geografiche arbitrarie ha ripreso nulla dei caratteri genetici (politicamente parlando!) dei loro “genitoripolitici, dato che il germe sano della democrazia non ha mai messo radici nei cuori e nelle teste dei loro ex sudditi arabi.

Per di più si è lasciato che a comandare fossero minoranze religiose agguerrite, come quella alawita sciita degli Assad, che rappresenta poco più del 10 per cento della popolazione siriana, o l’altra ancora più chiusa e minoritaria di matrice sunnita di Takrit, luogo di nascita di Saddam Hussein, che ha regnato per decenni a discapito della maggioranza sciita del Paese.

Ora, bisognerà prima o poi riconoscere che la presenza di Israele, e la sua determinazione a distruggere preventivamente tutto l’armamento pesante possibile in dotazione al dissolto esercito siriano, rappresenta un’iniziativa sacrosanta. Perché, in tal modo, si sottraggono preziose risorse militari ai feroci signori della guerra delle fazioni siriane anti-Assad, liberati in massa dalle carceri dopo la caduta del regime, impedendo loro di fare vendette sommarie e di dettare legge a una popolazione allo sbando e a un governo provvisorio tutto da inventare. Ovviamente, i vincitori attuali sono tutt’altro che filo-occidentali: basti pensare che fino al 2016 la formazione di al-Jolani, l’Hayat Tahir al-Sham (Hts), allora più nota come al-Nusra, rappresentava una branca di al-Qaeda e il suo fondatore Ahmad al-Sharaa ha combattuto contro gli americani come membro dell’Isis in Iraq, con il nome di guerra Abu Muhammad al-Jolani.

Quindi, giustamente, quanto è da credere la loro improvvisa “conversione democratica” in senso pluralista? C’è però da dire che noi occidentali abbiamo cordoni della borsa da allargare a loro favore, in caso di comportamento virtuoso (anche se di facciata), magari imponendo dietro le quinte qualche nome moderato per gli incarichi più delicati, come gli esteri e l’economia, visto lo stato disastroso in cui versano le finanze pubbliche siriane e, soprattutto, favorendo con aiuti mirati la popolazione che ha assolutamente bisogno di tutto, dai farmaci scomparsi dalle farmacie, ai generi alimentari di prima necessità, molti di questi ultimi reperibili solo a borsa nera.

Certo, da qui in poi, Europa e America dovranno agire con la massima cautela, muovendosi esclusivamente sul piano diplomatico: tanto di sicuro Israele continuerà a fare il lavoro sporco per tutti noi, tagliando via tutte le linee iraniane di rifornimento di armi e missili a Hezbollah e Hamas, con grande gioia inespressa dell’Hts e di al-Jolani, che in passato ha dovuto soccombere proprio ai miliziani di Dio, a seguito della sua sconfitta nella guerra civile post 2011. Per il momento, Tel Aviv ha rimesso piede preventivamente nelle alture del Golan, in modo da evitare pericolosi sconfinamenti, che a questo punto non ci saranno, vista l’assoluta inferiorità militare dell’Hts e dei suoi sodali. C’è poi da dirimere la questione dell’autonomia curda e, soprattutto, da tenere a bada le aspirazioni tardo imperiali di Recep Tayyip Erdoğan, abituato a giocare su più tavoli, mentre l’America bombarda per conto suo i resti dei jihadisti dell’Isis a Idlib, in modo che non si raccordino con i vincitori siriani.

Ma, coloro che fatalisticamente vedono per il futuro la riattivazione drammatica della guerra civile in Siria, farebbero bene a mettersi nei panni di una popolazione civile dissanguata, che non ha nessuna intenzione di veder aggiungere macerie a quelle enormi già esistenti, e vuole far prevalere la priorità assoluta di ricostruzione fisica e morale del Paese. La vera posta in gioco per l’Europa, tuttavia, è ancora la questione dei profughi: Bruxelles deve fare in modo che sia nettamente a nostro favore il saldo tra coloro che vogliono tornare in Siria e quelli invece che la vogliono lasciare. Giusto porre in stand-by questi ultimi, finché al-Jolani non ci avrà fatto vedere il colore del suo nuovo governo di salvezza nazionale.


di Maurizio Guaitoli