martedì 17 dicembre 2024
Israele potrebbe essere davvero a un passo da un’intesa per la liberazione degli ostaggi a Gaza. A confermarlo è stato il ministro della Difesa Israel Katz, che davanti alla Commissione esteri e difesa della Knesset – il parlamento dello Stato ebraico – ha espresso un cauto ottimismo: “Siamo più vicini che mai a un accordo”. Parole che fanno eco a quelle pronunciate domenica dal primo ministro Benjamin Netanyahu dopo un colloquio telefonico con Donald Trump, il presidente eletto degli Stati Uniti, deciso a riportare gli ostaggi a casa entro il 20 gennaio, data del suo insediamento. La “buona notizia” è che anche da Gaza arrivano segnali di apertura. Un dirigente di Hamas, citato dal quotidiano saudita Asharq News, ha parlato di una proposta presentata dal gruppo con “grande flessibilità”, che includerebbe una tregua, il ritiro graduale delle forze israeliane e garanzie internazionali per una tempistica condivisa. Il secondo scambio di prigionieri in oltre 14 mesi di guerra potrebbe concretizzarsi entro Natale o durante Hannukkah, che quest’anno inizia il 25 dicembre.
Gli Stati Uniti spingono con forza, e il prossimo presidente vorrebbe risolvere la questione prima ancora di essere ufficialmente a capo di Washington. Trump ha definito il 20 gennaio una sorta di ultimatum: “O gli ostaggi tornano a casa, o si scatenerà l’inferno”. Un messaggio che non lascia spazio a interpretazioni, in un contesto in cui ogni giorno di guerra porta nuovi orrori. La Striscia di Gaza resta, in fin dei conti, il teatro di una tragedia umanitaria. Il Ministero della Sanità di Hamas ha aggiornato il bilancio, da prendere con le pinze, del conflitto: 45mila morti e oltre 106mila feriti. L’esercito israeliano ha colpito ieri notte una struttura che nascondeva un centro di comando di Hamas. Nel frattempo, la tensione si sposta anche al di fuori di Gaza. Le sirene d’allarme sono risuonate a Tel Aviv e nel centro del Paese per il lancio di un missile dallo Yemen, intercettato in tempo dal sistema di difesa israeliano Iron Dome.
I negoziati, pur avanzando, restano legati a due nodi cruciali, con la popolazione che è sempre più stanca, e vuole il ritorno dei prigionieri: il numero di ostaggi che Hamas libererà e i nomi dei detenuti palestinesi che Israele accetterà di scarcerare. Tra questi, spicca quello di Marwan Barghouti, leader di Fatah e figura popolare tra i palestinesi, la cui eventuale liberazione rischia di spaccare l’opinione pubblica israeliana. Secondo il sito Walla, però, la maggior parte della coalizione di governo sarebbe favorevole all’intesa. Infatti, mentre le trattative vanno avanti, cresce la frustrazione delle famiglie degli ostaggi. Einav Zangauker, madre di uno dei rapiti, ha fatto irruzione nella Knesset accusando il governo di inerzia e minacciando vendetta: “Se mio figlio torna in un sacco per cadaveri, mi farò giustizia da sola”. Parole forti, che hanno portato alla sua espulsione dall’aula ma che risuonano nel cuore di un Paese stremato dagli attacchi dei terroristi e dalla guerra.
di Eugenio Vittorio