Macron e la volontà popolare

mercoledì 11 dicembre 2024


La crisi francese, dopo l’approvazione della mozione di censura da parte di una maggioranza non omogenea della rappresentanza parlamentare (quindi non decisa a sostituire il Governo con un altro espressione di una diversa maggioranza), pone una serie di problemi tutti siti sulla linea di confine tra politica e diritto pubblico. Il tutto rifacendosi al giudizio espresso da Abraham Lincoln che il Governo democratico è quello dal popolo, per il popolo, del popolo. Se questo non succede o lo è solo in parte, la democrazia è zoppa. Anche se l’ordinamento è democraticamente ineccepibile, occorre che i comportamenti dei governanti siano ligi allo “spirito” del regime politico e alla funzione di organi e istituzioni. Le vicende del 2024 dimostrano come i comportamenti di Emmanuel Macron non siano stati coerenti con lo spirito democratico. Vediamo come tutto è iniziato quando, come previsto, le elezioni europee hanno assicurato un grande successo sia a Marine Le Pen che a Jean-Luc Mélenchon, che sommati insieme riportavano più del 40 per cento dei voti espressi. Con i “minori” (Éric Zemmour, soprattutto) sfioravano il 50 per cento.

A questo punto, Macron prendeva una decisione inaspettata, anche se democraticamente corretta: scioglieva l’Assemblea nazionale per l’evidente difformità della volontà popolare rispetto alla “composizione” di tale organo. A tale proposito è bene ricordare che l’istituto dello scioglimento parlamentare – da più di un secolo, dopo la diversa funzione che aveva nelle monarchie costituzionali – è usato per risolvere le crisi politiche (e costituzionali). In particolare, quando l’orientamento politico dei massimi organi dello Stato (Parlamento-Governo) è conflittuale o almeno grandemente divergente. In questi casi, oltre che consentire di superare la crisi e di riavviare il funzionamento del sistema, assume il significato di un appello al popolo, chiamato a decidere tra i due orientamenti. Allorquando (è successo tre volte nella Quinta Repubblica) l’elettorato (anche quando il Parlamento non era sciolto) sceglieva una maggioranza contraria al presidente, questo nominava un capo del Governo proveniente da quella, dando luogo così alla Cohabitation. Ciò in ossequio al principio e alla legittimità democratica.

Nei tre periodi di Cohabitation non si verificarono così particolari turbative del funzionamento istituzionale: la Costituzione della Quinta Repubblica dà comunque al Governo i poteri necessari a governare. Ancor più con un Parlamento a maggioranza omogenea allo stesso. Nel corso del 2024, con lo scioglimento dell’Assemblea nazionale – e i conseguenti accordi elettorali di desistenza tra sinistra e centro – la funzione dello scioglimento è stata ribaltata (forse più nei fatti che nelle intenzioni): la desistenza non ha assicurato una maggioranza, dato che l’Assemblea è ripartita in tre schieramenti di proporzioni non molto diverse. Dopo l’approvazione della mozione di censura al Governo senza maggioranza di Macron, questi ha avvertito qual era la logica conseguenza dell’intera vicenda: le sue dimissioni. Anche perché se a essere censurato era il Governo, la responsabilità politica di averlo nominato era tutta di Macron.

E, infatti, Macron ha subito detto nel messaggio di giovedì scorso che sarebbe rimasto al suo posto fino alla scadenza del mandato presidenziale. Nel caso, come in altre vicende di altri Paesi, si pone il problema di come possa governarsi una democrazia (ancor più che altre forme politiche) a dispetto della volontà popolare (ripetutamente) manifestata. Nel caso che Macron sia un presidente di minoranza – oltretutto che deperisce – risulta da tutte le elezioni svoltesi in Francia quest’anno che hanno visto la coalizione macroniana sempre minoritaria e lontanissima dai dati delle presidenziali del 2022 (circa il 58 per cento di voti a Macron). Scriveva Carl Schmitt che (in generale) “la parola volontà indica – in contrapposizione a ogni dipendenza a una giustezza normativa o astratta – l’esistenziale oggettivo di questo fondamento di validità” (il corsivo è mio). Cosa che, almeno per il conflitto tra organi rappresentativi, con la prassi della Cohabitation era stata costituzionalizzata nel sistema francese. E così, a quanto pare – Macron non ha intenzione, per la verità pare neppure la possibilità – di adeguarvisi.

Sembra, da alcune mosse, che cerchi di allargare la maggioranza sul versante di sinistra. Se riesce, a sinistra o a destra – si avrà così una Demi-Cohabitation che ricorda un po’ le alchimie italiane dell’ultimo trentennio (ma non solo): con Governi né legittimi né stabili (ricordatevi dell’Ulivo), né coerenti nell’indirizzo politico. Sembra un po’ ingeneroso paragonare quanto fa Macron all’esempio del fondatore della Quinta Repubblica, Charles de Gaulle. Il quale aveva, dal 1958 in poi, riportato consensi plebiscitari nelle diverse votazioni. Da ultimo, nelle elezioni parlamentari del 1968, la maggioranza gaullista conseguì circa tre quarti dei seggi all’Assemblea nazionale. Ciò nonostante quando l’anno successivo perse per pochi voti il referendum sui poteri del Senato, il generale si ritirò a vita privata. È chiaro in quel gesto che a determinarlo (o co-determinarlo) fu la convinzione che la sintonia tra Paese legale e Paese reale è fondamento della vitalità istituzionale del regime politico, ancor più se democratico. Cosa che Macron non ha appreso. E che nell’Europa (e nell’Occidente) del XX secolo, il presidente è in una grande – anche se decrescente – compagnia.


di Teodoro Klitsche de la Grange