#Albait. La crisi russa in numeri e politica

giovedì 5 dicembre 2024


Cosa vuol dire ‘superpotenza russa’? I russi hanno testate nucleari. Hanno anche tecnologia ipersonica. E sono aggrappati al desiderio di essere considerati una superpotenza. Ma non lo sono. E non lo sarebbero nemmeno se fossero ancora governati da un sistema sovietico. Ecco perché sosteniamo l’Ucraina. Perché l’Occidente liberale ha battuto il totalitarismo sovietico ed è tuttora molto più forte della dittatura putiniana liberticida.

Da cosa deduciamo questa nostra forza? Perché i russi, a causa della mancanza di libertà, non producono quasi nulla.

Guardiamo i numeri ufficiali e facciamo qualche piccolo ragionamento per scoprire le bugie del Cremlino.

La produzione agricola russa vale il 4 per cento del loro Pil, anche per mangiare i russi devono importare quasi tutto. Tutte le attività imprenditoriali, industriali, edili arrivano al 36 per cento del Pil. Il resto sono servizi, soprattutto Stato e amministrazioni.

I russi producono armi. Hanno buone competenze aerodinamiche, ma per l’avionica, la parte tecnologica, e i motori dipendono enormemente dall’estero. L’unico tipo di aereo civile che non appartenga all’era sovietica è il Sukhoi Superjet 100. L’aereo è stato sviluppato da Sukhoi e Alenia. Il motore è realizzato in collaborazione con la francese Snecma, sempre su progetto italiano. Ha il difetto di danneggiare rapidamente la camera di combustione. Risultato: i Superjet si deteriorano rapidamente. Questo è l’emblema del deficit tecnologico russo.

Eppure, i russi pretendono un riconoscimento giuridico da superpotenza. È un capriccio da prepotenti. E le loro analisi sono figlie del medesimo capriccio.

Nel loro delirio imperiale, i russi hanno visto la scelta ucraina di essere occidentale, come un’aggressione. Le scelte europeiste della Moldavia e della Georgia sono vissute come un indebolimento dei loro confini ad ovest e nel meridione. In sostanza, i russi temono un’invasione europea. Ragionano come se l’attuale Europa fosse la stessa del 1930. Semplicemente, non capiscono cosa voglia dire essere una liberaldemocrazia. Per loro, non è la pace a portare la ricchezza europea ai vertici del mondo. Ma una sorta di ‘flogisto’ immanente. Credono che con la violenza e la disinformazione possono appropriarsi dei nostri beni. A causa di questa drammatica incomprensione di quale sia il rapporto tra libertà, mercato, ricchezza, anche molte analisi di istituti occidentali sono completamente fuori strada. Non a caso le consideriamo filorusse o corrotte. Se non capisci cosa sia la società aperta, riterrai giustificata la pretesa russa di voler frapporre tra Mosca e l’Europa sufficiente spazio per non essere invasa. In realtà, i russi chiedono uno spazio di salvaguardia tra la dittatura e la libertà. O la conquista della terra libera per distruggerla. Non è un caso che chiunque sia stato scelto da Mosca per fare da cuscinetto rifiuti questo ruolo.

Le analisi strategiche russofile, ammantate di pseudoscientificità con l’ampolloso uso della parola ‘geopolitica’, sono ferme all’idea di potenza antica. Per antica possiamo intendere la visione delle tribù preistoriche, fino agli ultimi vagiti ante Guerra Mondiale. Un lunghissimo lasso di tempo durante il quale mai la società umana si era ritrovata a godere dei benefici di una libertà e di una capacità produttiva inimmaginabile, con gli strumenti della rapina o mercantilisti. La libertà contemporanea si basa sulla convenienza dei rapporti sociali, sulla libertà del commercio, intuita ma non realizzata, sin dalla promulgazione delle Tavole Melfitane di Federico II. Oggi la libertà commerciale è globale. Con essa la libertà individuale si espande. Chi vuole comprimerla vuole il ritorno della guerra e della violenza. Inaccettabile. Ed anche assurdo.

Noi italiani non comprendiamo a fondo questo concetto, razionalmente, ma lo viviamo. I nostri piani strategici misurano la capacità di difesa militare ad un eventuale attacco militare in termini di minuti. La cosa non ci preoccupa. Ci siamo affidati al mercato. E va anche relativamente bene, a parte una pressione fiscale eccessiva e che ammazzerebbe qualunque mulo da soma. Persino nella depressa Calabria il reddito medio dei salariati supera i 1500 dollari, contro gli appena 700 dei salariati russi.

Ma torniamo alla concretezza dei numeri russi e partiamo da una considerazione: se il Pil russo fosse distribuito come accade in Italia, malgrado le nostre storture, il reddito della classe media russa dovrebbe essere di duemilaottocento dollari, non settecento. A comprimere la ricchezza dei cittadini russi è l’esistenza di un’oligarchia estrattiva. Con la guerra, la condizione dei salariati russi è peggiorata. La guerra costa molto più di quanto previsto.

Nel 2022 i russi avevano preventivato di spendere una manciata di miliardi, forse sette o otto, per conquistare Kyiv. Dopo tre anni, solo di materiali hanno speso ventisei miliardi di dollari.

Consumati quasi del tutto i magazzini, i russi hanno ora bisogno di nuova produzione bellica. I costi lievitano.

Solo di materiali, oggi la spesa vale 12,5 miliardi al mese. Per carburanti e logistica hanno bisogno di più di 30 miliardi al mese. I decessi, con i ‘premi’ di mortalità alle famiglie, nuovi arruolamenti e soldo ai militari la spesa è di quasi due miliardi. Tutto incluso, la Russia deve sostenere spese per cinquanta miliardi al mese: un terzo della ricchezza nazionale prodotta. Molto più dell’8 per cento dichiarato.

Guardiamo la serie dei risultati della produzione tra 2020 e 2024. Il Prodotto Interno Lordo russo dichiarato nel 2023 è di circa duemila miliardi di dollari. Nel 2022 era di duemiladuecento miliardi. Nel 2021 era arrivato a milleottocento miliardi. Nel 2020 invece era di millecinquecento miliardi.

Tra il 2020 e il 2022 il Pil è cresciuto in modo impressionante. Dal 2022 crolla. In aumento, la Russia ha beneficiato degli aumenti di gas e petrolio. In caduta, ha subito la contrazione delle vendite di gas e petrolio, ma anche il blocco del poco di industria che aveva.

Se compariamo i dati tra 2020 e 2022, con quelli dell’Arabia Saudita, scopriamo che la Russia in quel periodo è cresciuta molto di più. Come mai?

Evidentemente già nel 2020 i russi preparavano la guerra. La loro ossessione per ‘cinture di sicurezza’ inutili e impossibili, li aveva convinti della necessità di riacquisire l’Ucraina. Credevano che nessuno avrebbero opposto resistenza, per lo meno negli oblast orientali ucraini, fino alla linea di Kherson, Dnipro, Kryvi Rih, Poltava, Cherniv.

La guerra moscovita si è invece scontrata con il popolo ucraino, anche ‘russofono’, e una realtà europea diversa dalle analisi precedenti la guerra. Per quanto discontinua, pigra, a tratti contraddittoria, l’Europa ha reagito con sufficiente determinazione da portare al collasso delle pretese russe.

Il risultato è la difficoltà sul campo di battaglia e un Pil russo sempre più drogato dalla guerra.

Se il vertice mafiorusso oligarchico soffre, la popolazione subisce un taglio salariale del 3 per cento.

Ci sono dati più interessanti e più gravi. Ufficialmente, l’inflazione russa è all’8 per cento. Elvira Nabiullina, governatrice della banca centrale russa, afferma di aver portato il tasso di sconto al 25 per cento per affrontare la situazione. Questa misura significa in realtà che l’inflazione reale russa viaggia sopra il 20 per cento. Il che porta i cittadini russi a subire una perdita del potere d’acquisto di quasi un quarto dei loro redditi. Ricomponendo i dati economici, scopriamo poi che la produzione russa esclusa guerra, pubblica amministrazione e commercio si aggira attorno ai 300 miliardi di dollari l’anno. Troppo poco per finanziare una guerra che ne costa il doppio. I dati fasulli del Cremlino non finiscono qui. Alcuni centri di ricerca minori hanno proposto una bizzarra tesi, secondo la quale i russi sarebbero non 150 milioni, ma 120. Forse anche meno. La ragione di questa ‘sovrappopolazione amministrativa’ starebbe nella facilità di gestire i numeri elettorali, oltre che irrobustire la retorica da superpotenza.

Torniamo ai numeri ufficiali russi. La disoccupazione in Russia è prossima allo zero. Il tasso di occupazione è del 60,6 per cento della popolazione. Sono ottantatré milioni di lavoratori tra i 15 e i 64 anni. Prima anomalia: i lavoratori occupati dichiarati ufficialmente sono solo settanta milioni. Non basta: la Russia ufficiale dichiara di non avere otto milioni di lavoratori da mettere in produzione. Strano, perché sulla carta avrebbero tredici milioni di lavoratori a disposizione.

Guerra e bugie si accompagnano. La Russia non è più una superpotenza e questo è un fatto. Cerca di sopravvivere lottando contro la libertà e la ricchezza che essa produce mentendo anche a sé stessa. Ma non ce la fa più.

Ecco probabilmente perché Zelensky ha immaginato la possibilità della fine del conflitto su una base armistiziale. Non vuole concedere nulla, giuridicamente, sul piano dell’integrità ucraina. È probabile che a Kyiv sia più chiaro che a noi che il Paese aggressore è finanziariamente, militarmente e demograficamente a pezzi. In questa condizione, potrebbe decidere di usare l’atomica per crollare in una sorta di disperazione distruttiva globale.

È probabile che la difesa dell’orgoglio di Putin, ormai estremamente fragile, sia la prossima vera linea di combattimento.

In queste condizioni, cosa può e deve fare l’Europa?

Non possiamo cedere sul piano della libertà perché significa rinunciare al benessere e al futuro. Dobbiamo spiegare ad ogni cittadino che è la nostra liberaldemocrazia, le elezioni, le polemiche sugli sprechi delle feste patronali a sconfiggere la Russia e qualsiasi altra teocrazia o totalitarismo. È la nostra libertà di scavare nei numeri e trovare la verità a sconfiggere i russi. Ma soprattutto, è la nostra capacità di sostenere la libertà dei popoli di Ucraina, Georgia, Bielorussia, Moldava, Ungheria e Serbia con ogni mezzo necessario. Mezzi che noi abbiamo e i russi no. Per un futuro libero e più prospero per tutti. Le armi, messe a servizio della liberaldemocrazia, possono garantire che finiscano le guerre sul piano globale. Ed è questa la partita che giochiamo, non la ridefinizione di confini su basi di forza.


di Claudio Mec Melchiorre