mercoledì 4 dicembre 2024
In Corea del Sud è scoppiata una crisi politica che ha messo all’angolo il presidente Yoon Suk-yeol, che con un colpo di coda ha dichiarato improvvisamente la legge marziale. Un errore definito da molti una “pagina nera” per la democrazia sudcoreana, che ha spinto maggioranza e opposizione a un’insolita unità d’intenti: entrambe le parti chiedono che il presidente faccia un passo indietro. La richiesta legge marziale, firmata da Yoon e poi revocata nel cuore della notte, ha scatenato un terremoto istituzionale. Alle 4,30 locali, il Parlamento ha annullato formalmente la misura con un voto unanime, un fatto rarissimo in un sistema politico tradizionalmente polarizzato. Ma non basta, perché sei partiti di opposizione hanno messo il piede sull’acceleratore, annunciando una mozione di impeachment che potrebbe essere votata già entro la fine della settimana.
Nel caos generato dalla mossa presidenziale, anche il People power party (Ppp) – il partito del capo di Stato – ha preso le distanze. Han Dong-hoon, leader del partito del popolo, ha definito “tragica” la decisione del presidente, invitandolo a spiegarsi davanti al Paese e a “licenziare immediatamente i responsabili”, in particolare il ministro della Difesa Kim Yong-hyun, ritenuto il regista dell’intera operazione. Dall’opposizione, le accuse sono ancor più dure: secondo il Partito democratico, Yoon avrebbe violato apertamente la Costituzione, mettendo in atto un “grave atto di ribellione” che giustifica pienamente l’impeachment.
Per avviare la procedura di destituzione servono i voti di due terzi del Parlamento, cioè 200 su 300. Al momento, l’opposizione ne controlla 192, ma i 10 voti inaspettati del Ppp, arrivati per bloccare la legge marziale, fanno pensare che la soglia possa essere superata senza troppe difficoltà. Se il Parlamento approvasse l’impeachment, Yoon sarebbe immediatamente sospeso dai suoi poteri in attesa della sentenza della Corte costituzionale.
Il caos non si è limitato ai palazzi del potere. Anche la società civile ha fatto sentire la sua voce: il principale sindacato del Paese ha proclamato uno “sciopero generale” fino a quando Yoon non si dimetterà. Nelle strade di Seul, migliaia di persone hanno manifestato contro un presidente che, ai loro occhi, ha tradito il mandato ricevuto. Nel frattempo, i più stretti collaboratori di Yoon hanno offerto le dimissioni in massa, un gesto che appare più come un tentativo di salvare il salvabile che una reale assunzione di responsabilità. Tra loro c’è anche Chung Jin-suk, capo dello staff presidenziale. Le accuse di incostituzionalità pesano come un macigno. Secondo fonti giornalistiche, la dichiarazione di legge marziale non avrebbe ricevuto l’approvazione del Consiglio di Stato, un passaggio obbligatorio previsto dalla Costituzione. La legge sudcoreana consente al presidente di dichiarare la legge marziale solo in casi estremi, come una guerra o un’emergenza nazionale comparabile. Ma molti osservatori si chiedono se davvero la Corea del Sud si trovava in una situazione così grave. La fretta con cui Yoon ha prima dichiarato e poi ritirato la misura suggerisce il contrario. In mancanza di condizioni reali di emergenza, il presidente rischia di dover rispondere non solo politicamente, ma anche giuridicamente, di abuso di potere.
Ecco che con questo passo maldestro la Corea del Sud si trova davanti a un bivio. Se il processo di impeachment andrà avanti, sarà la Corte costituzionale a decidere il destino politico di Yoon Suk-yeol. Nel frattempo, il Paese deve fare i conti con un sistema politico profondamente scosso e con un presidente che, nel tentativo di rafforzare la sua leadership, potrebbe aver accelerato la sua stessa caduta.
La democrazia sudcoreana, già messa alla prova da scandali e tensioni negli ultimi anni, rischia di uscire ulteriormente indebolita da questa vicenda. Ma, come spesso accade nelle crisi, potrebbe anche essere l’occasione per ritrovare un impensato equilibrio.
di Zaccaria Trevi