Intimidire Teheran: shock & awe

martedì 3 dicembre 2024


Come stiamo messi con l’Impero persiano sciita, la cui influenza si estende in Siria, Libano e Yemen? In particolare: come si orienterà Donald Trump nei confronti del regime degli Ayatollah? Lascerà mano libera a Israele per impedire che l’Iran si doti dell’arma nucleare? Dipende tutto dall’attualizzazione in tempi moderni della strategia shock & awe (colpisci e terrorizza), messa a punto nel 1996 da due esperti militari americani, e conosciuta anche come “dominio rapido”. Si tratta, in sintesi di una tattica militare basata sull’uso di una potenza travolgente, ottenuta con uno spettacolare dispiegamento di forze, in grado di neutralizzare e confondere le difese del nemico sul campo di battaglia, vanificandone la volontà di combattere. Vedi la liberazione del Kuwait nel 1991 e l’invasione dell’Iraq nel 2003.

Ne ha dato recentemente prova Israele, con l’apertura dei fronti libanese e palestinese, nonché di quello iraniano, per ritorsione agli attacchi missilistici, quando l’aviazione di Tel Aviv ha colpito a grande distanza siti strategici militari di Teheran con centinaia di aerei e droni, senza che le difese iraniane si accorgessero o potessero impedire quanto stava accadendo. Oggi, infatti, nel nuovo mondo dei conflitti armati tra potenze, shock & awe va aggiornata con concetti quali il “multi-domain warfare” e le cyberwar (vedi l’esplosione in contemporanea di migliaia di beepers degli Hezbollah libanesi), che si potrebbero collettivamente definire come “universal warfare” o uniwar, per brevità.

In questa nuova configurazione di difesa/attacco si possono ottenere risultati ancora più destabilizzanti, rispetto alle guerre convenzionali ordinarie, il cui scopo in generale (sia nei vecchi che nei nuovi assetti) è di azzerare le capacità belliche del nemico. Purché, ovviamente, il tutto rimanga nei termini temporali ridotti di un “blitzkrieg” (guerra lampo) e non si traduca in un conflitto ben più ampio, regionale o mondiale. Malgrado l’attuale, drammatica situazione a Gaza, che non rientra per durata temporale in un’azione dimostrativa “mordi-e-fuggi” di tipo militare, finora non c’è stato l’allargamento del conflitto a livello regionale (a eccezione del lancio di missili dall’Iran su Israele) per decisione implicita dei regimi arabi, poco o per nulla propensi a schierarsi con l’Hamas filo iraniana. In merito, tuttavia, si osservano le due seguenti cose.

In primo luogo, non è assolutamente vero che l’Occidente adotti “due pesi-due misure” a favore di Israele. Basta prendere in esame la decisione della Corte penale internazionale (Cpi), a proposito del mandato di arresto per i vertici del Governo israeliano. In questo caso, si ribalta proditoriamente la verità storica, dato che sono proprio i regimi fondamentalisti, come quello iraniano e dei suoi proxy di Hamas e Hezbollah, ad avere solennemente sancito nei loro statuti la cancellazione dello Stato di Israele. Come mai la Corte internazionale non si è mai sognata di pronunciarsi su questo monstrum politico-giuridico? E come fa l’Onu a tollerare che Paesi aderenti (l’Iran e la Palestina, che però non c’è) abbiano nel loro statuto la cancellazione di un altro Stato membro (Israele)?

Stesso interrogativo, e qui veniamo al secondo punto, per quanto riguarda le responsabilità collettive oggettive del popolo palestinese (comprese quelle delle Agenzie internazionali, come l’Unrwa) e di quello libanese. Per chiarire in merito: da quanti anni i cittadini di Gaza e di Beirut sanno e hanno assistito, complici e silenti, alla edificazione di nuovi edifici residenziali e alla contestuale escavazione dei tunnel sotto le loro fondamenta (confondendo così i satelliti occidentali di sorveglianza), utilizzati per i depositi di armi e munizioni e per attaccare Israele, con estenuanti, quotidiani lanci di missili sul suo territorio? E come si giustifica una simile guerra perenne, questa irriducibile volontà di annientamento dell’intero popolo ebraico, se non con una complicità esplicita di massa da parte di gazawi e libanesi? E perché la Cpi non si è “mai” pronunciata in merito a questo vero e proprio genocidio, programmato e perseguito da decenni da parte di regimi illiberali musulmani e dalle milizie fondamentaliste loro alleate?

Come mai, cioè, Yaya Sinwar e Hassan Nasrallah non stavano in prigione già da decenni, come avrebbe meritato la loro volontà genocidiaria, mai smentita o negata? Le decine di migliaia di woke e manifestanti violenti proPal, perché non hanno chiesto ad Hamas di fare la stessa cosa, per simmetria con quanto avviene in Ucraina, in cui si è preteso che Kiev si arrendesse all’invasore Vladimir Putin, per alleviare al popolo ucraino sofferenze e distruzioni? Perché, cioè, non si è chiesto a Sinwar e soci di consegnare tunnel, armi e ostaggi a organismi internazionali di pace, in modo da mettere immediatamente fine all’attacco israeliano? Quanti miliardi di dollari sono stati spesi dai sodali internazionali di Hamas per mobilitare i campus americani e occidentali, affinché Israele non entrasse a Rafah, dove per l’appunto era nascosto il capo militare dei terroristi? Quanti decenni occorreranno agli ipocriti woke per accertare l’ovvio?

Tornando a noi, e al fatto che finora non c’è stata guerra aperta tra Iran e Israele, occorre per l’appunto guardare da vicino che cosa significhi uniwar come fattore di deterrenza, visto che consente di limitare i conflitti grazie all’utilizzo di missili di alta precisione, droni senza Gps ma con mappe pre-digitalizzate e, quindi, praticamente invisibili. Per terrorizzare il nemico, infatti, basta colpire a distanza impianti vitali civili e militari, come fabbriche di armamenti e missili; centrali idroelettriche e nucleari; siti di stoccaggio di gas e petrolio, così come le reti di gasdotti e oleodotti. La parte fondamentale dell’uniwar consiste nell’oscurare i sistemi di avvistamento radar nemici (e, in futuro, quelli satellitari di grandi potenze belligeranti), grazie al jamming evoluto e progressivo.

In definitiva, si tratta di limitare lo scambio di colpi a un gioco infinito tipo gatto e topo, in cui si innova sull’innovazione del nemico, per sfuggire alle sue contromisure. Ovvero, l’impresa è di restare dentro un gioco astuto di tit-for-tat (ceffone contro ceffone), in cui due bulli se le danno di santa ragione, senza però sferrare nessuno dei due un colpo mortale nei confronti dell’altro. Magari avvertendolo in tempo, in modo che possa parare la mossa con adeguate contromisure, come allontanare la popolazione civile innocente dai bersagli predeterminati dal nemico, o spostare gli aerei militari in luoghi più sicuri. Ma, di certo, in ogni caso non c’è da stare tranquilli: tutto può ancora accadere.


di Maurizio Guaitoli