giovedì 28 novembre 2024
Il tycoon non perde tempo. Alla luce dei pesanti bombardamenti russi sul suolo ucraino, Donald Trump ha già scelto il generale in pensione Keith Kellogg come suo inviato speciale per gestire la crisi tra Kiev e Mosca. Con l’obbiettivo di mettere fine a una guerra che dura da oltre due anni e mezzo e che ha trasformato l’Europa orientale in una polveriera. The Donald ha così descritto il suo uomo, 80 anni e una carriera di peso nel suo primo mandato, come l’uomo giusto per questa missione delicata: “Keith ha esperienza e determinazione, è stato fondamentale nella mia amministrazione, e lo sarà ancora”. In realtà l’inviato speciale è soprattutto un veterano che non le manda a dire. Solo pochi mesi fa, durante la convention repubblicana, aveva lanciato un avvertimento senza mezzi termini all’Ucraina: “Se non volete negoziare, preparatevi a enormi perdite, altre città distrutte e un bilancio di vittime che potrebbe salire a 250mila”. Parole dure, certamente, che riflettono la comunione d’intenti del tycoon e del generale di far finire il prima possibile questa guerra che si avvia al suo terzo anno di vita.
Il piano, delineato in un documento del think tank America first policy institute, prevede di continuare a sostenere militarmente Kiev per fermare Mosca, ma con una condizione chiara: l’Ucraina dovrà partecipare ai colloqui di pace. Una linea che segna un cambio rispetto alla politica dell’amministrazione Joe Biden, privilegiando il pragmatismo rispetto all’intransigenza. La nomina di Kellogg non è solo una questione ucraina: è un messaggio al mondo. Gli Stati Uniti, con Trump al timone, vogliono tornare a dettare le regole, ma senza sacrificare i propri interessi. La strada è però piena di incognite. Da un lato, c’è il muro creato dallo “zar” di Mosca, Vladimir Putin, che difficilmente cederà terreno. Dall’altro, un Paese aggredito che vuole naturalmente difendere la sua sovranità, ma che potrebbe trovarsi costretta a fare concessioni per non perdere il supporto americano.
Per il generale, ora, la sfida è tradurre le parole in fatti. E per Trump, la gestione di questa crisi potrebbe diventare il primo grande banco di prova del suo nuovo mandato. Con una missione così complessa, il tempo per celebrare deve ancora arrivare.
di Eugenio Vittorio