mercoledì 20 novembre 2024
Un paese ricco di risorse naturali cerca di spezzare le catene del passato autoritario, puntando su una nuova Costituzione e sull’apertura al mercato globale.
Il Gabon, situato strategicamente nel cuore dell’Africa e storicamente legato alla Francia, incarna un paradosso economico: pur disponendo di straordinarie risorse naturali come petrolio, legname e minerali preziosi, e nonostante una densità demografica contenuta che lo rende potenzialmente tra i più ricchi del continente africano, soffre tuttavia di una crescita squilibrata ed è ben al di sotto delle aspettative nell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite.
Tale squilibrio è il risultato di decenni di sistemi economici accentrati, dispendiosi e inefficaci, di diffusa corruzione e di leadership autoritarie che ne hanno ostacolato il progresso economica e sociale.
Il suo recente passato, dopo l’indipendenza nel 1960, è indissolubilmente legato alla dinastia Bongo, che lo ha governato per oltre cinque decenni esercitando un controllo capillare sulle istituzioni e sull’economia. La caduta di Ali Bongo, a seguito del colpo di stato del 2023 guidato dal generale Brice Oligui Nguema, è stata percepita come una rottura col passato dittatoriale e ha alimentato speranze di rinnovamento.
Com’è noto, il Paese centrafricano possiede una vasta foresta pluviale, considerata tra le più grandi al mondo, che gli offre un potenziale enorme per sviluppare un’economia basata su energie rinnovabili, soprattutto energia idroelettrica per l’abbondanza di risorse idriche, e turismo ecologico. Quest’ultimo centrato sulla biodiversità unica del Paese e sulla conservazione della foresta, che potrebbero attrarre visitatori internazionali, generando entrate e creando occupazione nelle comunità locali.
Nonostante ciò, esso continua a dipendere in modo sproporzionato dal petrolio, i cui maggiori giacimenti si trovano nella regione litoranea e nelle acque antistanti, principalmente nei fondali marini presso Port-Gentil e al largo della costa meridionale. La produzione di greggio, che rappresenta oltre il 45 per cento delle entrate statali e quasi l’80 per cento del valore delle esportazioni e contribuisce per oltre la metà alla formazione del prodotto interno lordo, è però in declino costante a causa dell’esaurimento dei giacimenti, un fenomeno solo parzialmente compensato dall’aumento dei prezzi internazionali del petrolio. Ciò si desume chiaramente considerando che la produzione è passata da 370.000 barili al giorno nel 1997 a meno di 200.000 nel 2023.
È questa una dinamica che esprime l’urgenza di diversificare l’economia, sia utilizzando l’indicato patrimonio naturale sia promuovendo settori come l’agricoltura, che impiega circa il 60 per cento della popolazione attiva ma contribuisce a meno del 6 per cento del Pil, il turismo e la tecnologia, oltre che valorizzando altre risorse sottoutilizzate come manganese, ferro e fosfati. In tal senso, è innanzi tutto decisivo il pieno utilizzo della ferrovia Transgabonese, che collega il porto di Owendo con i giacimenti di ferro e manganese dell’interno, la cui costruzione ha rappresentato un miglioramento significativo per la rete infrastrutturale della nazione. Siffatta opera ha ridotto i costi di trasporto per l’industria mineraria, incrementando le esportazioni di ferro e manganese verso i principali mercati internazionali e creando posti di lavoro sia durante la costruzione sia nella gestione operativa.
Un’altra spinta può certamente derivare dal rafforzamento della stabilità finanziaria dello Stato attraverso la risoluzione del debito con la Banca Mondiale, che può contribuire ad incrementare la sua credibilità internazionale e ad attirare capitali per infrastrutture strategiche, con investimenti che possono sostenere non solo il settore minerario ma anche consolidare l’economia locale.
Altro passo cruciale può infine essere individuato nell’approvazione alcuni giorni orsono tramite referendum popolare della nuova Costituzione, che introduce maggiore trasparenza nel processo elettorale e riorganizza le istituzioni per ridurre il potere concentrato nelle mani di pochi, un problema che ha segnato il passato. Essa garantisce inoltre una gestione dell’amministrazione statale più equilibrata, sostenendo il rispetto dei diritti di proprietà e favorendo un ambiente normativo stabile per l’imprenditorialità.
Sarà comunque necessario implementare politiche economiche liberali e mettere in campo altre riforme pure per migliorare l’istruzione, a fronte di un odierno tasso di alfabetizzazione attualmente stimato al 63 per cento, modernizzare le infrastrutture, rendere la governance più trasparente e attrarre investimenti internazionali. Solo così il Gabon potrà crescere e competere a livello globale.
Al momento, la comunità internazionale osserva con attenzione: il Gabon riuscirà a tradurre le sue aspirazioni in realtà? Le opportunità ci sono, ma il tempo stringe. L’economia di mercato, se sostenuta da una forte volontà politica e da una visione strategica, può rappresentare il motore di un futuro migliore. Spetta ora al Paese africano dimostrare di aver imparato la lezione della storia e di essere pronto a mettere in atto le riforme necessarie per garantire una crescita inclusiva e sostenibile. Anche facendo tesoro delle parole di Georges Aleka Damas, celebre poeta e politico gabonese, che ha scritto: “Un popolo che si rialza dalle sue difficoltà è un popolo che sa trovare in sé stesso la forza di costruire un futuro migliore”.
di Sandro Scoppa