Sudan: un dramma umanitario che martoria le donne

lunedì 18 novembre 2024


Ad aprile 2025 saranno due anni che il Sudan è martellato da una guerra civile tra i generali Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, presidente del Consiglio sovrano di transizione, Cst, e Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti; il primo operante sotto la bandiera dell’esercito regolare, l’altro capo del Rfs, Rapid support forces, un gruppo paramilitare che prima dell’inizio della guerra fratricida era uno strumento dell’esercito nazionale. Nel mezzo di un disastroso conflitto dove si intersecano interessi stranieri, tra questi russi, francesi e paesi arabi, entrambe le fazioni fanno appello alle milizie locali, altro fattore di diffuso anarchismo e destabilizzazione, al fine di poter controllare questi gruppi che esercitano le peggiori violenze sulla popolazione, soprattutto femminile, aggravando una crisi umanitaria tra le più pesanti del pianeta. Il Sudan oggi sta subendo una guerra di logoramento, che secondo un rapporto elaborato da agenzie statunitensi, ha già prodotto quasi 160mila morti, oltre due milioni di sudanesi sono stati costretti a lasciare il Paese per stati confinanti, e 11 milioni ad abbandonare le proprie abitazioni; su un totale di popolazione di oltre 48 milioni. Una guerra complessa dove la “fedeltà” dei gruppi armati anarchici è mercanteggiata esclusivamente in funzione del bottino di cui potranno impadronirsi, comprese le donne.

Così queste milizie, anche composte da poche centinaia di soggetti, giurano fedeltà all’una o all’altra parte secondo le potenzialità di saccheggio. Ma l’aspetto più devastante di questa guerra intestina è quanto sta accadendo, ormai da tempo al genere femminile, in quanto il corpo delle donne è diventato il campo di battaglia di queste incontrollabili fazioni che usano lo stupro come “tattica di guerra”. L’abuso sessuale mascherato come sistema di soggiogamento della massa è purtroppo prassi nei conflitti, ma in una guerra globale come quella che si sta combattendo in questo paese africano, sta assumendo delle caratteristiche che vanno oltre. Infatti c’è una deflagrazione di violenze sessuali e sessiste commesse dall’articolata contrapposizione dei belligeranti: matrimoni forzati, rapimenti, schiavitù, molestie e stupri, che martoriano le vittime e mietono morti.

Ma il forte mondo femminile sudanese, in generale, abituato ad destreggiarsi tra incommensurabili difficoltà, ha iniziato un percorso di addestramento per la difesa personale. Ragazze e donne più adulte coperte con abaya neri, tipici sopravvesti della tradizione islamica lunghi fino ai piedi, hanno cominciato a prendere dimestichezza nell’uso delle armi. Decine di campi di addestramento sono sorti nelle zone controllate dall’esercito regolare, e qui migliaia di reclute donne, chiamate “mustanfeerat”, hanno risposto all’appello. I centri di addestramento vengono allestiti prevalentemente nei cortili delle scuole, dove le donne stanno imparando la disciplina militare: uso delle armi e lotta come difesa personale. Queste forti donne si addestrano spesso durante il giorno e più volte a settimana, sotto la guida di ex ufficiali sudanesi che hanno ripreso le armi dopo l’inizio della guerra iniziata ad aprile 2023.

Tuttavia la possibilità che queste donne formate allo scontro militare possano andare in battaglia non sono molte. L’esercito regolare ha previsto che al termine del loro addestramento non saranno armate, ma potrebbero alcune entrare nell’amministrazione militare, come supporto infermieristico o amministrativo o addette alle comunicazioni. Il sistema di arruolamento è ben pubblicizzato tramite cartelli affissi in varie zone delle principali città, dove si chiede alle donne un impegno nella guerra, tramite il reclutamento, che le vedrebbe unirsi alle Fas, Forze armate sudanesi. Ma la percezione è che tale “pubblicità” sia più utile alla propaganda che allo sforzo bellico. Comunque questa operazione propagandistica ha un forte valore per il morale delle donne, che in questo modo percepiscono una sicurezza maggiore, quindi meno vulnerabili, oltre sentirsi in qualche modo protette e organiche ad una causa.

In questo quadro dove la figura femminile è presente sotto vari aspetti in modo attivo e purtroppo in alcuni contesti, dove subiscono violenza, come arma tattica, le due fazioni articolano la loro battaglia con alleanze straniere, ricevendo aiuti che servono a mantenere lo scontro su un piano di equilibrio di forze; ma alimentando anche questo conflitto dalle drammatiche conseguenze umanitarie. Infatti Arabia Saudita ed Egitto appoggiano e sostengono l’esercito ufficiale di Al-Bourhane, mentre Hemetti riceve aiuto da Emirati arabi uniti e dall’Africa corps, ex Wagner russi.

Ma mentre è noto che il Sudan è soggetto ad un embargo da parte dell’Unione europea sulla vendita di armi, risulta, da un comunicato del 14 novembre di Amnesty international, che i veicoli blindati fabbricati degli Emirati, i Nimr Ajban, utilizzati dai paramilitari Rsf, sono dotati del sistema di autoprotezione Galix, progettato da Knds France e Lacroix. Quindi i sistemi d’arma elaborati e fabbricati in Francia che equipaggiano i veicoli corazzati degli Emirati arabi uniti vengono utilizzati in Sudan, ma probabilmente anche in Darfur in violazione dell’embargo.

Comunque tutti i belligeranti sono accusati di crimini di guerra, come bombardamenti indiscriminati di aree popolate, attacchi contro la popolazione civile e sabotaggio degli aiuti umanitari, oltre violenze sessuali sistematiche. In questo ambito ed in una guerra dove anche l’embargo, come quasi sempre accade, è inutile, il modo femminile, nell’oblio di una guerra fuori dai radar delle informazioni, subisce, nonostante sporadici casi, la peggiore delle sorti.


di Fabio Marco Fabbri