venerdì 15 novembre 2024
Ed arrivò a conclusione anche l’elezione per la scelta del 47esimo presidente degli Stati Uniti. Il direttore di questo giornale, Andrea Mancia, è grande esperto di questioni americane, per cui su analisi e commenti ‒ seri e ben argomentati ‒ consiglio a chiunque la sua opinione.
Ne abbiamo lette di tutti colori in questa prima settimana post-elettorale. Soprattutto da parte dem ne abbiamo sentite di abbastanza fantasiose, perché come al solito hanno preso non benissimo la non vittoria. Speriamo che almeno il Thanksgiving offra una tregua a tutto questo proliferare di commenti, opinioni, sfoghi, etc.
Anche il Taccuino ha annotato tre cose che vuole condividere con chi vuole un po' uscire fuori dal coro dei commenti che la grancassa mediatica ci ha propinato.
Sembrerebbe che davvero gli americani non vogliano una donna alla Casa Bianca. Ci provò la Clinton, ci ha provato la Harris, entrambe battute da Trump. È quindi lui quello bravissimo o davvero l’America non merita ancora una donna al vertice?
Anche la candidata dei repubblicani, che avrebbe potuto fare la storia di questa elezione, grazie anche ai dem non è riuscita nemmeno arrivare alla sfida finale. È quindi davvero una questione femminile? Possibile che il mondo abbia accettato le regine, che hanno fatto anche la Storia, mentre le presidentesse pare che non riescano ad avere successo? È la favola di Cenerentola al contrario di questo millennio?
Eppure, l’ultima campagna elettorale americana dei democratici ad un certo punto, priva di altra ispirazione, o forse per disperazione, ha comunque deciso e puntato sulle donne.
Donna la candidata, elettorato femminile quello di riferimento. Lo ha detto Kamala, lo ha puntualizzato Michelle, lo ha persino sperato l’ex presidente Carter, lo hanno detto tutte le supporter in America e nel mondo dei dem che credevano fosse la volta buona, e anche la segretaria del nostro Pd lo ha sperato, assieme a tante altre donne che vedevano nella elezione della Harris quale 47esima presidentessa degli Stati Uniti il superamento di quel soffitto di cristallo che da troppo tempo aspetta proprio questo.
Ma se il punto è questo allora è solo una questione di genere?
Ancora una volta, la comunicazione sembra essere stato il punto debole della campagna elettorale dei democratici. Alcuni errori gravissimi compiuti: prima di approdare alla candidata aver fatto credere che Biden fosse in grado di svolgere un secondo mandato.
L’aver dovuto sostituire in corsa il candidato ha fatto capire che, se avevano mentito su questo, avrebbero potuto mentire su tutto. I dati economici catastrofici, percepiti e subiti soprattutto dalla classe media, hanno dato ampiamente ragione a quegli elettori che avendo fatto questo ragionamento hanno poi votato di conseguenza; perché la coerenza delle proprie azioni è un bene troppo prezioso per le persone per essere messo in discussione con facilità.
Una volta capito che Biden non era più presentabile, una delle prime mosse fatte per supportare la candidatura di Kamala Harris è stata chiamare gli Obama. Ricordate la scena in Pretty Woman quando Vivian torna nella prima boutique da cui l’avevano cacciata chiedendo se le commesse vendevano a percentuale? “Big mistake” fu la sua risposta alla commessa mostrandole le grandi buste delle altre boutique. Si potrebbe dire lo stesso ai dem d’oltreoceano. Perché usare un indice referenziale esterno è segno di poca autostima, quindi è la dimostrazione di assenza di leadership e carismaticità. Ha mostrato debolezza, non ha dimostrato autorevolezza.
Necessitare delle parole degli Obama ha di fatto chiuso la campagna elettorale, ha dato dimostrazione di aver bisogno di forza dall’esterno, comunicando quindi che lei non l’aveva. Il cervello funziona in un certo modo, e trattarlo in modo diverso non porta grandi risultati. Nessuno ama scegliere un debole, soprattutto se deve esercitare il ruolo di capo.
Un altro errore è stato aver riso sempre e comunque anche quando non ce n’era bisogno, quasi a voler sminuire il contenuto diffuso. Ancora una volta una dimostrazione di mancanza di leadership. Un leader deve essere serio, altrimenti diventa un giullare, e gli elettori fanno cose serie ed eleggono presidenti, non giullari. Ed infatti, le parodie, hanno riguardato solo questo. Sarà ricordata come la candidata più ridanciana degli ultimi tempi, chi verrà dopo terrà bene a mente la lezione.
Infine, gli endorsement, che a quanto pare non portano bene e spesso si rivelano boomerang. Chi commentava che Taylor Swift aveva spostato 5 milioni di voti, aveva torto se pensava che fossero a favore della Harris; sono proprio i voti di differenza che ha preso in più Trump.
Sarebbe troppo facile ricordare ai democratici americani i tempi belli in cui avevano consulenti del calibro di George Lakoff, che li ammoniva di non pensare all’elefante. Forse dovrebbero tornare ai fondamentali e ricominciare dalla lezione del grande linguista, ancor oggi attualissima per chi voglia intraprendere una comunicazione politica efficace, soprattutto se l’ambizione è vincere, poi vincere di nuovo, e far eleggere una presidentessa.
La prima foto apparsa, con Trump sul palco, rimarrà emblematica per chi vuole capire come saranno i prossimi quattro anni in America: il neoeletto Presidente con la immancabile cravatta rossa, la First Lady in austero ma ultra-chic completo grigio, tacco a stiletto as usual. Questa sarà la coppia presidenziale. God bless America.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12, #13, #14
di Elvira Cerritelli