L’Egitto dovrebbe scommettere sul Somaliland, non sulla Somalia

lunedì 4 novembre 2024


L’Egitto arma la Somalia a causa delle tensioni causate dalla costruzione di una diga sul Nilo da parte dell’Etiopia

A fine settembre, una nave militare egiziana ha attraccato a Mogadiscio, la Capitale della Somalia, per scaricare una spedizione di armamenti, tra cui cannoni antiaerei e artiglieria, molti dei quali obsoleti e alcuni addirittura risalenti alla seconda guerra mondiale. Si è trattato della seconda consegna importante dell’Egitto. Un mese prima, due C-130 egiziani erano atterrati all’aeroporto internazionale di Mogadiscio per consegnare una spedizione simile di armi.

Perché l’Egitto arma la Somalia? La risposta sta nelle tensioni tra Egitto ed Etiopia per una diga sul Nilo, e anche nelle tensioni tra Somalia e Somaliland nel Corno d’Africa.

La costruzione da parte dell’Etiopia della Grande diga della rinascita etiope, un progetto quattro volte più grande della diga di Hoover, rappresenta una minaccia diretta per l’Egitto.

Il novantacinque percento della popolazione egiziana vive nella valle del fiume Nilo e nel delta del Nilo, e la capacità del Paese di nutrirsi dipende dal Nilo. La costruzione da parte dell’Etiopia della Grand Ethiopian Renaissance Dam, un progetto quattro volte più grande della diga di Hoover, minaccia direttamente l’Egitto. Il Cairo ammette che la svolta dell’Etiopia verso l’energia idroelettrica è legale; chiede solo ad Addis Abeba di farlo in conformità con i principi del diritto internazionale consuetudinario e di coordinare la gestione delle acque. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed avrebbe potuto risolvere la disputa con l’Egitto diplomaticamente. Ma, come aveva fatto in precedenza con Kenya e Somalia, ha cercato il fatto compiuto.

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ritiene di avere influenza sull’Etiopia nel Corno d’Africa. Il 1° gennaio 2024, l’Etiopia ha firmato un Memorandum d’intesa con il Somaliland: il Somaliland avrebbe concesso all’Etiopia un contratto di locazione a lungo termine per un nuovo porto che l’Etiopia avrebbe costruito vicino a Berbera e, in cambio, l’Etiopia avrebbe riconosciuto l’indipendenza del Somaliland dalla Somalia. La Somalia, che rifiuta l’autonomia del Somaliland, ha reagito con indignazione. L’Egitto si è schierato con la Somalia.

Un tempo il Somaliland era indipendente. Divenne un protettorato britannico quasi 150 anni fa. Nel 1960, mentre la decolonizzazione travolgeva l’Africa, il Regno Unito concesse l’indipendenza al Somaliland, una mossa riconosciuta da 30 stati, tra cui tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Cinque giorni dopo, però, il Somaliland accettò di unirsi all’ex Somaliland italiana per formare la Somalia.

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed avrebbe potuto risolvere diplomaticamente la controversia con l’Egitto, ma ha invece cercato il fatto compiuto.

I somali speravano nella democrazia; ciò che ottennero fu un’altra dittatura da quattro soldi. Il dittatore dell’era della Guerra fredda, Siad Barre, portò la Somalia alla rovina. Mentre prometteva la modernizzazione, promuoveva gli interessi del suo clan. Come Darood, riservò un obbrobrio speciale al clan rivale Isaaq, predominante nel Somaliland. La sua campagna genocida uccise più di 100mila civili.

I leader del Somaliland hanno sostenuto che, dal momento che sono entrati volontariamente in Somalia, avrebbero potuto uscirne allo stesso modo. Quando la Somalia è crollata, i leader del Somaliland hanno dichiarato nuovamente l’indipendenza. Il Somaliland ha operato come Paese indipendente dal 1991, con un proprio governo, una propria valuta e un proprio sistema educativo, evitando l’anarchia e persino le carestie che hanno caratterizzato la Somalia. Il Somaliland è la democrazia più vivace del Corno d’Africa; terranno di nuovo le elezioni, le loro ottave, il 13 novembre 2024. Mentre la comunità internazionale ha speso miliardi di dollari nel tentativo di sponsorizzare, senza riuscirci, elezioni eque in Somalia, il Somaliland non solo ha ampiamente autofinanziato le proprie elezioni, ma è anche diventato il primo Paese al mondo a garantire la registrazione degli elettori con scansioni biometriche dell’iride.

Anche in assenza di un riconoscimento internazionale, il Somaliland supera la Somalia. Ospita società finanziarie e di telecomunicazioni multimiliardarie, uno degli impianti di imbottigliamento della Coca Cola più grandi dell’Africa e un porto in acque profonde che la Banca Mondiale classifica come il migliore nell’Africa subsahariana, sopra Mogadiscio, Mombasa e Lagos, e alla pari con il Pireo e Oslo in Europa. Molti Paesi ora riconoscono il potenziale del Somaliland. Diversi stati africani ed europei hanno uffici, se non consolati, nel Paese. Il 10 ottobre 2024, la Camera dei Lord nel Parlamento britannico ha discusso il riconoscimento assoluto del Somaliland. Negli Stati Uniti, molti nel Pentagono e nella comunità dell’intelligence sono anche solidali, vedendo valore in un’oasi di democrazia e sicurezza in una regione tumultuosa.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti un tempo trattava il Somaliland come Taiwan, come un’entità autonoma, ma negli ultimi anni è diventato freddo, se non addirittura ostile al Somaliland. Durante l’amministrazione Obama, la narrazione era sulla Somalia che usciva dall’anarchia. Sia la Segretaria di Stato Hillary Clinton che il suo successore John Kerry si sono concentrati sulla ripresa della Somalia, non sull’indipendenza del Somaliland. Al Congresso, Ilhan Omar, una deputata del Minnesota nata in Somalia (e presumibilmente figlia di un ufficiale militare coinvolto nel genocidio anti-Isaaq), ha anche cercato di minare i legami tra Stati Uniti e Somaliland. Ciò porta ironicamente a una situazione in cui il Dipartimento di Stato si schiera con la Somalia, una cleptocrazia filo-cinese e terrorizzata, rispetto al Somaliland, una democrazia filo-americana e filo-occidentale con legami con Taiwan.

Il Dipartimento di Stato si schiera con la Somalia, una cleptocrazia filo-cinese e terrorizzata, contro il Somaliland, una democrazia filo-americana e filo-occidentale con legami con Taiwan.

L’Egitto non ha problemi con il Somaliland e non ha alcun interesse reale nella Somalia stessa, ma vede un’opportunità nella disputa tra Etiopia e Somalia. Come dice il proverbio, il nemico del mio nemico è mio amico. Armando la Somalia, l’Egitto probabilmente pensa di poter infastidire l’Etiopia e forse anche fermare la sua corsa verso il mare.

Gli egiziani sanno poco della Somalia, dove la politica dei clan può confondere persino gli stessi somali. Per l’Etiopia, tuttavia, la Somalia (e il Somaliland) è il loro cortile di casa, dove si sono intromessi per decenni. I somali sono il terzo gruppo etnico più grande in Etiopia; il Paese ha molti agenti che parlano somalo. L’Egitto opererà essenzialmente alla cieca.

Una delle dinamiche che l’Egitto trascura è il doppio gioco della Somalia con al-Shabaab, un gruppo terroristico che giura fedeltà ad al-Qaida. Ma gli egiziani non sono soli. Sia i Navy Seal degli Stati Uniti che le Forze speciali turche addestrano ed equipaggiano le unità somale per combattere il terrorismo. I Paesi occidentali donano armi. Il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud si guadagna il rispetto occidentale con discorsi diplomatici, ma dà priorità alla propria sopravvivenza politica rispetto alla sconfitta di al-Shabaab, spesso consentendo che le armi trapelino ai terroristi per indebolire i concorrenti regionali o politici.

Fornendo al governo somalo armi senza alcun controllo, il governo egiziano sostanzialmente apre le porte. Ho intervistato insorti catturati sia nel Mozambico settentrionale che nella Repubblica Democratica del Congo; ognuno ha parlato delle rotte di contrabbando di armi gestite da al-Shabaab in Somalia.

Fornendo al governo somalo armi senza alcun controllo, il governo egiziano in pratica apre le porte al conflitto.

Nel frattempo, il conflitto più sanguinoso del mondo oggi non è in Ucraina o a Gaza, ma piuttosto in Sudan, dove il governo somalo può fare milioni rivendendo le sue armi. Dati i pessimi controlli somali e la corruzione del Paese, anche le armi egiziane potrebbero finire sui dhow, diretti verso il Mar Rosso per consegnare armi agli insorti dello Stato islamico egiziano.

La caduta del dittatore libico Muammar al-Gheddafi nel 2011 ha inoltre inondato la regione di armi che gli insorti e i terroristi usano ancora per attaccare, estorcere denaro e rovesciare i governi regionali. La mossa cinica dell’Egitto rischia di commettere lo stesso errore.

Invece di scommettere sul governo disfunzionale della Somalia, una strategia migliore per l’Egitto (e l’alleanza filo-occidentale) potrebbe essere quella di investire nel Somaliland, riconoscerlo e competere con l’Etiopia per l’influenza locale, aiutando nel contempo un Paese nel Corno d’Africa dove il terrorismo islamista deperisce, non cresce.

(*) Tratto dal Middle East Forum

(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Michael Rubin (*)