lunedì 28 ottobre 2024
Il blackout che ha paralizzato l’isola svela l’inefficienza di un sistema ormai al collasso, lasciando la popolazione stremata e in cerca di un cambiamento radicale.
Cuba, che per lungo tempo è stata simbolo di resilienza sotto il regime socialista, si trova sull’orlo di un collasso, quello energetico, e con una popolazione che ha subito pesantemente le drammatiche conseguenze di un blackout elettrico che si è protratto per giorni e la cui soluzione non è stata affatto rapida. In tal senso sono state emblematiche le descrizioni tempestivamente fornite dai quotidiani di tutto il mondo, che hanno mostrato un popolo che, abituato a lottare, ha continuato a resistere. Grandi pentoloni accesi per strada, alimentati dalla legna, dove si è cucinato collettivamente ciò che era rimasto nei frigoriferi spenti; panetterie che hanno lavorato a lume di candela; e le città avvolte in un silenzio inquietante, interrotto solo dal rumore dei cacerolazos, le proteste con pentole e padelle che risuonavano nelle loro vie principali. È stato riprodotto il ritratto di un Paese che si è confrontato e continua ancora a confrontarsi con il fallimento delle sue strutture di base, che non può essere di certo ricondotto solo agli uragani e all’embargo americano bensì a un sistema di pianificazione centralizzata e di pervasivo controllo statale, che ha frenato ogni tentativo di modernizzazione e di apertura economica.
Tale collasso elettrico rappresenta peraltro solo l’ultimo capitolo di un disastro annunciato. Da anni, infatti, il sistema elettrico cubano, basato su centrali termoelettriche vetuste e dipendente da tecnologia sovietica, lotta per sostenersi. È tuttavia una lotta che diventa ogni giorno sempre di più difficile, perché è portata avanti con strumenti inadeguati per porre rimedio a blackout che sono il sintomo di un problema più profondo: l’inefficienza e l’obsolescenza di un impianto produttivo incapace di auto sostenersi e schiacciato dalla mancanza dei necessari rifornimenti energetici. Ciò soprattutto per gli ostacoli frapposti dallo stesso governo di L’Avana, il quale continua ad accusare l’embargo statunitense per le difficoltà nell’approvvigionamento di carburante, senza ovviamente considerare che il vero ostacolo alla ripresa dell’isola caraibica è piuttosto il modello politico ed economico che ha relegato l’iniziativa privata a un ruolo davvero marginale ed ha esaltato quello dell’apparato statale, che si è però dimostrato incapace di rispondere alle esigenze moderne ed è fallito.
Come del resto aveva già previsto Ludwig von Mises quasi un secolo fa nel suo capolavoro “Socialismo” del 1922, ove aveva esaustivamente spiegato che il socialismo è un sistema inevitabilmente destinato al collasso, incapace di rispondere in modo efficiente alle necessità della popolazione. Tanto per non essere in grado di calcolare correttamente i prezzi e i costi, poiché, in un'economia senza mercato libero e concorrenza, mancano le informazioni fondamentali per una corretta allocazione delle risorse. In tale contesto, vi è anche da considerare che nella patria del Rum la domanda di elettricità è cresciuta anche grazie all’apertura di piccole e medie imprese private, le quali non possono comunque bastare per mutare le sorti e risollevare un’economia strangolata da decenni di controlli rigidi e inefficienza statale. Si tratta infatti di una timida apertura, e di iniziative imprenditoriali oltremodo limitate, che non possono contribuire e non contribuiscono alla crescita di un libero mercato, avendo il governo scelto la strada della pianificazione centralizzata, ostacolando così l’innovazione e lo sviluppo.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: un sistema energetico che crolla non appena si verifica un problema imprevisto, scuole chiuse, attività economiche ferme, una popolazione che si batte strenuamente per sopravvivere. Per quanto ancora? Se, per lunghi anni, il regime è riuscito a mantenere il controllo, adesso la situazione appare sempre più fuori dalle sue mani. Le proteste, seppur contenute, potrebbero essere solo l’inizio di una reazione più ampia contro un regime che non è più in grado di garantire nemmeno i servizi di base. Il popolo cubano ha già dimostrato di essere capace di grandi sacrifici, ma la speranza che Miguel Diaz-Canel riesca a trovare una soluzione sembra affievolirsi giorno dopo giorno, anche di fronte alla realtà di uno Stato che non può più contare sui vecchi alleati, come il Venezuela o la Russia, per i rifornimenti energetici. Anche il Messico, da sempre solidale, ha ridotto il suo supporto. La situazione per Cuba si sta avvicinando a un punto di non ritorno, e il collasso completo non è una previsione così lontana.
In questo contesto, l’uragano Oscar ha solo ulteriormente aggravato la situazione, investendo le province orientali del Paese già devastate dall’uragano Milton solo pochi giorni prima. Tuttavia, non sono i cicloni a condannare Cuba, bensì, come già evidenziato, un sistema economico soffocato da decenni di controllo e centralizzazione, che non è neppure in grado di assicurare i servizi essenziali e garantire il benessere dei suoi cittadini.
È pertanto necessario un cambiamento radicale, è tempo di imboccare una nuova direzione, che metta fine all’isolamento economico dell’isola e apra le porte al libero mercato. In pratica, l’avvento di un sistema che premi la libertà individuale, assicuri quella economica e l’iniziativa privata e riduca al minimo l’intervento dello Stato. Un cambiamento che – è auspicabile – diventi presto inevitabile, pure a dispetto delle facili manifestazioni di solidarietà dei sostenitori del socialismo, che si crogiolano nel sottolineare la capacità dei cubani di far fronte alle emergenze con spirito comunitario. C’è infatti da chiedersi: per quanto tempo ancora gli abitanti della terra della Salsa potranno continuare a sopportare la privazione dei servizi essenziali, l’assenza di libertà politiche ed economiche, la mancanza di un futuro migliore? La storia ci ha insegnato che, quando un sistema statale fallisce, il mutamento diventa inevitabile. Anche se, per essere duraturo e significativo, dovrà passare attraverso una rivoluzione che, mai come in questo caso, metta finalmente fine all’oscurità – in senso letterale e figurato.
di Sandro Scoppa