lunedì 28 ottobre 2024
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, i rapporti tra Russia e Armenia sono stati regolati sia dalla necessità di Mosca di mantenere i riferimenti politico strategici nell’area caucasica meridionale, che per l’Armenia di avere una sorta di tutela legata anche dalla stessa appartenenza religiosa, cristiana (non confessionale), in un contesto prevalentemente musulmano. Tali legami sono strutturati sulla “attenta osservazione” dell’area del Caucaso meridionale dove il peso delle dinamiche politiche e della religione, rendono la regione con “stabilità variabile”. Tuttavia il governo di Yerevan, capitale armena, ha accusato le forze di pace russe schierate anche nell’enclave contesa del Nagorno-Karabakh, di non essere intervenute, nel settembre 2023, per fermare l’offensiva dell’Azerbaigian, che ha permesso all’esercito azero di riconquistare quest’area.
Il Cremlino ha respinto tali accuse sostenendo che i militari russi non avevano il mandato di intervenire. Ma la questione vede anche un’altra lettura; infatti Mosca ritiene pericolosi gli sforzi del capo del governo armeno, Nikol Pashinyan, tesi a consolidare i legami dell’Armenia con l’Occidente, con il rischio concreto che Yerevan si possa staccare dalle alleanze controllate da Mosca. La Russia ha espresso un deciso disappunto anche quando l’Armenia ha scelto di aderire alla Corte penale internazionale, che a marzo del 2023 ha incriminato Vladimir Putin per crimini di guerra legati all’aggressione russa in Ucraina. Tuttavia questa scelta del Governo armeno è stata minimizzata da Mosca.
Comunque, il disimpegno russo verso la questione del Nagorno-Karabakh non ha precluso i rapporti tra i due Stati, ma soprattutto non ha diminuito l’influenza della Russia sull’Armenia. Così a valle della delusione del settembre 2023, a maggio, dopo due incontri dove Putin e Pashinyan hanno trattato “tematiche caucasiche”, avvenuti sia a Mosca nell’ambito del vertice dell’Unione economica eurasiatica, che riunisce i due Paesi, che a Yerevan, il presidente russo ha annunciato il ritiro dall’Armenia di alcune decine di suoi soldati e guardie di frontiera, non specificando il numero. L’accordo fu poi chiarito dal politico e docente universitario armeno Hayk Konjoryan, capo del partito di governo “Contratto civile” a cui appartiene anche Pashinyan. Comunque l’intesa riguarda le postazioni militari e di frontiera russi insediati in cinque regioni armene. Al momento il ritiro russo, non sembra riguardare la base di Gyumri, principale postazione militare russa nel Paese; qui stanziano almeno 3.000 soldati russi.
Così i militari russi che dal 1992 presidiano i confini armeni, dal primo gennaio 2025 dovrebbero – il condizionale necessita – cedere il parziale controllo delle postazioni alle forze militari armene. Un obiettivo dal peso politico notevole dato che i programmi del governo armeno mirano a una riduzione dell’influenza russa sul Paese. Magari gettando, come già sta facendo, le sue ambizioni verso l’Unione europea. L’Armenia, ex repubblica sovietica del Caucaso meridionale, fa ora un nuovo passo verso l’affrancamento dall’influenza di Mosca, prendendo il controllo in modo graduale dei suoi confini con l’Iran e la Turchia, che da più di trent'anni sono sorvegliati esclusivamente dalle truppe russe.
In pratica da gennaio del prossimo anno le guardie di frontiera russe lasceranno una postazione di frontiera con l’Iran ai militari armeni. Per ora è solo una postazione in quanto i soldati russi non lasceranno le altre basi sul confine iraniano; inoltre l’accordo di ottobre prevede che le truppe armene cooperino con i militari russi, già presenti in loco, nel controllo del confine con la Turchia. Per l’Armenia è una parziale riconquista della sovranità che riafferma la propria indipendenza ed è la prima volta dai tempi dell’Unione Sovietica. Questa presenza di Mosca sulle frontiere armene lungo l’asse perimetrale iraniano-turco, fu stabilita con un accordo bilaterale nel 1992, un anno dopo la caduta dell’Urss.
Ma l’accordo di ottobre prevede anche che Mosca parteciperà alla costruzione di strade e ferrovie che collegheranno l’Azerbaigian alla repubblica autonoma di Nakhichevan, un’enclave azera situata nel sud-ovest dell’Armenia alla quale Baku vuole un accesso via terra. A fine luglio i militari di frontiera russi, dopo lunga sollecitazione armena, si sono ritirati dall’aeroporto internazionale di Yerevan, Zvartnots, anche in questo caso dopo trentadue anni di presenza. Mosca ha ceduto su questo strategico controllo non convintamente, avvertendo il governo armeno del rischio di causare danni irreparabili alle loro già tese relazioni. Ma questo aspetto è stato per ora superato. In un quadro con criticità geopolitiche in evoluzione, prima dell’invasione dell’Ucraina, la Russia affermava il suo potere sull’Armenia con rigidità; ora con le numerose tensioni in atto lo fa attraverso un maggiore coinvolgimento logistico, attraverso i grandi lavori di interconnessione come collegamenti stradali e ferroviari, tanto per non lasciare il campo libero magari a scelte referendarie pro Europa: vedi Moldavia. Considerando che anche la Georgia è nel Caucaso meridionale, e che in queste ore sta vivendo elezioni politiche complesse con tensioni croniche con gli ostili secessionisti dell’Ossezia del sud e Abkhazia, regioni supportate pesantemente dalla Russia.
Una concessione, quella della Russia all’Armenia, sicuramente dedicata a non stimolare le fibrillazioni del Caucaso meridionale, e a contenere la reciproca fascinazione tra Armenia e “Occidente”.
di Fabio Marco Fabbri