venerdì 18 ottobre 2024
L’immortalità dell’Idra islamica
C’è da fidarsi dell’Hezbollah mezzo morto, tramortito dai pager (cercapersone) e dai walkie-talkie esplosivi, nonché dal tramonto, tra le macerie dei bunker in cui si rifugiavano, dei suoi massimi vertici e dei militanti più impegnati nella catena di comando? Se prendiamo una delle sue roccaforti, come il porto di Saida, allora i passati splendori sembrano proprio tramontati, così come farebbe un regno senescente abbandonato dai suoi abitanti. Anche nelle strade deserte delle altre cittadine del Sud del Libano le uniche immagini dei combattenti, una volta tronfi ed esaltati, sono quelle dei manifesti listati a lutto per la loro scomparsa. La domanda da porsi, però, è la sempre la stessa dal 2006 (anno dell’ultima invasione israeliana, prima di quella odierna molto più limitata) in poi: è possibile eradicare il movimento islamico dal Libano, costringendolo a deporre le armi e a cedere il potere di ricatto che vanta sulla vita sociale e politica di sei milioni di libanesi? Potrà, cioè, Hezbollah, come fece dopo il ritiro israeliano del 2006, vantarsi di “avere vinto”, solo per il fatto di essere sopravvissuto? Già, ma come e che cosa vuole dire nel loro linguaggio “vincere”, dopo le gravissime perdite e distruzioni subite? Senza i forzieri dell’Iran, alimentati dalle vendite di petrolio ufficiali e di contrabbando (a causa delle sanzioni americane), chi pagherà gli stipendi di decine di migliaia di uomini armati? E, soprattutto, come garantire l’immensa mole di sussidi per molti miliardi di dollari all’anno, che Hezbollah distribuisce alla componente sciita della popolazione libanese, per sbarcare il lunario quotidiano all’interno di uno Stato fallito e di un’economia disastrata, dominata dall’iperinflazione?
Se, come tutto fa pensare, il gigantesco arsenale missilistico del gruppo terrorista è stato seriamente degradato dagli attacchi aerei mirati da parte di Israele, che hanno colpito le loro postazioni libanesi urbane ed esterne, davvero Hezbollah potrà ancora contare sull’aiuto illimitato dell’Iran per riarmarsi e minacciare di nuovo Israele, così come è accaduto nel post-2006? Su questo punto, è lecito dubitare. Da un lato, infatti, Teheran sta trattenendo il fiato, in attesa della ritorsione di Tel Aviv al suo recente attacco “diretto” che, se fosse accaduto in altri contesti, colpendo gli Stati Uniti dei primi anni duemila, avrebbe letteralmente coinciso con una vera e propria dichiarazione di guerra, a norma del tanto abusato e mai rispettato Diritto internazionale. Ora, dato che la risposta di Israele (aspetterà il 5 novembre Benjamin Netanyahu, per deciderlo?) è data per scontata, rimane solo da stabilire il quantum, il quid e il tempus. Ma già da ora, si può dire che l’Iran non ne uscirà affatto bene, anche se il leader israeliano è costretto a combattere con un braccio legato dietro la schiena, non potendo liberare il mondo (come lui vorrebbe fare e, pur senza dirlo, anche tutte le cancellerie dei Paesi arabi moderati e dell’Occidente) dallo spettro del nucleare iraniano, né far saltare i mercati del greggio colpendo i giacimenti petroliferi sul territorio persiano. Rimangono gli impianti produttivi per la produzione di missili e droni (forniti in migliaia di esemplari a Mosca, per sostenere la guerra all’Ucraina di Vladimir Putin) e altri quartier generali strategici dove hanno sede comandi militari e politici di Teheran.
Torniamo ora, ancora per un attimo, sulla struttura dell’Hezbollah libanese che, ricordiamolo, è stato il primo a violare le risoluzioni tanto decantate dell’Onu, per non aver né disarmato, né essersi ritirato al di là del fiume Litani. Sfruttando per di più come paravento la missione Unifil per bombardare il territorio israeliano, dopo aver sistemato le sue rampe proprio alle spalle del contingente internazionale. In pratica, soprattutto negli ultimi 20-30 anni, il movimento islamista si è sempre più radicato nella comunità socio-politica libanese, sfruttando la corruzione dilagante in un sistema politico drammaticamente diviso per sette e fazioni irriducibili. Tutto ciò ha consentito a Hezbollah di costruire il suo Stato parallelo informale (che può contare sul 32 per cento della popolazione libanese di fede sciita), grazie ai finanziamenti ricevuti soprattutto dall’Iran, e all’aumento delle entrate proprie attraverso il traffico e la fabbricazione di stupefacenti come il captagon, la droga della Jihad, il cui primo produttore è la Siria dello sciita Bashar Assad. Contro tutto ciò non servirà nemmeno stavolta l’intervento diretto di Israele, come è facile dedurre. Del resto, Hezbollah è un Giano bifronte (come Hamas), con un’ala militare e l’altra politica, che può vantare propri rappresentanti nel Parlamento di Beirut.
Prendiamo un esempio molto efficace di come funziona l’Hezbollah all’interno di un sistema profondamente corrotto come quello libanese. Ovvero, il reclutamento dei quadri militari dell’esercito regolare del Paese dei Cedri (ne esiste uno, infatti, ridotto in condizioni miserabili per mancanza di mezzi e di equipaggiamento). I candidati di fede sciita che concorrono per i posti più delicati ricevono prima degli esami le risposte alle domande dei questionari relativi. E accade la stessa cosa a livello delle amministrazioni locali che hanno giurisdizione sull’assegnazione dei fondi internazionali di sviluppo, come è accaduto con i notevoli finanziamenti concessi anche dai Paesi del Golfo per la ricostruzione post-2006. In questo caso, quando le richieste di Hezbollah non vengono assecondate, si passa alla violenza e all’intimidazione. Al tempo stesso, è pur vero che Hezbollah (sempre grazie ai finanziamenti iraniani e ai proventi della droga) è riuscito a costruire un welfare sociale parallelo, per cui avere la tessera del Partito è molto più utile dell’assistenza sanitaria nazionale, dato che si può avere accesso a migliori cure generiche e specialistiche. Identico discorso vale per la formazione superiore e universitaria: chi appoggia il movimento e non ha mezzi può ricevere contributi a fondo perduto per iscriversi e frequentare le migliori università americane presenti in Libano. Basta davvero decapitarne la leadership per liberare i libanesi da Hezbollah?
di Maurizio Guaitoli