Israele e una condanna ineluttabile

martedì 15 ottobre 2024


I macellai tagliagole del 7 ottobre 2023 hanno vinto. Hanno costretto Israele a fare quello che ha fatto e fa mentre nel migliore dei casi il resto del mondo chiacchera, auspica, condanna.

Tutto il mondo va a fuoco, ma la colpa è solo di Israele, del suo governo che pure di colpe e di responsabilità ne ha tantissime.

Da tempo ho maturato la convinzione che si fa, giorno dopo giorno, sempre più certezza: noi, la nostra generazione, siamo fortunati. Perché sì, vediamo dolore e atrocità a non finire, ma non saremo noi a vedere la distruzione d’Israele. Forse anche la prossima generazione avrà la nostra fortuna. Sulla terza, quella dei nipoti, non giurerei.

Pessimismo apocalittico? Semplicemente la consapevolezza che i desideri sono una cosa, la realtà quasi mai corrisponde. Per quanto possa apparire ripugnante, tutto va nella direzione che i nemici d’Israele perseguono da sempre.

Sono riusciti ad annichilire il sabra alla Ari Ben Canaan; non ci sono quasi più amici come Mandria. In Israele vive un popolo stanco, impaurito, logorato da una guerra che non ha fine, cominciata, con punte più o meno cruente, il 14 maggio del 1948: il giorno stesso in cui lo Stato veniva riconosciuto dall’assemblea dell’Onu.

Un territorio fisicamente grande quanto la Sicilia, con meno ebrei di quanti ne vivano nella sola New York, convive con attentati e stragi a Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa, anche quando ci sono periodi di tregua. Fuori dai confini, Stati come l’Iran irriducibili: non vogliono lo Stato palestinese, ma l’estinzione di quello ebraico.

Se questa è la situazione, è fatale prima o poi soccombere.

Lo slogan “From the river to the sea, Palestine will be free” viene ripetuto e scandito, non respinto con sdegno per l’inequivocabile significato sotteso.

E poi la logora, ipocrita giaculatoria: “Due popoli, due Stati”. Si avesse almeno l’avvertenza di dire: “Due Stati democratici”.

Si chiede di riconoscere lo Stato palestinese: quale, quello a guida Hamas/Iran? Quello dello screditato e corrotto Abu Mazen?  

Da questo scenario sotto gli occhi di tutti, la conclusione che certamente a Gaza si consuma una enorme tragedia; figlia, ricordiamocelo, della tragedia che Hamas ha consumato il 7 ottobre scorso. Ma ben altra tragedia si prepara e annuncia: la distruzione di Israele sembra essere una ineluttabile condanna. Sarà, forse, un nuovo e disperato Sansone alle prese di nuovi Filistei. La sostanza non muta. La cruciale domanda: “Che fare?”, resta senza risposta. I nemici di Erétz Yisrael non hanno che da attendere. Il tempo (e la nostra impotenza) lavora per loro.


di Valter Vecellio