martedì 8 ottobre 2024
Da quando il presidente tunisino Kais Saïed ha preso il pieno potere nel luglio 2021, con un colpo di Stato mascherato da modifiche costituzionali, e a 10 anni dalla Rivoluzione dei gelsomini e la caduta di Zine El-Abidine Ben Ali, la Tunisia ha aggravato la crisi economica e finanziaria. Tale situazione si decifra soprattutto in una carenza cronica dei basilari prodotti alimentari, oltre alla crescita di forti tensioni socio-politiche che serpeggiano pericolosamente in tutto il Paese. Ma nonostante le critiche interne e le perplessità espresse da molte “diplomazie internazionali”, sulla carenza, usando un eufemismo, di libertà, il presidente uscente Saïed, marcato dalla società civile e dall’opposizione come autocrate, domenica 6 ottobre, come comunicato dagli exit pool ha stravinto le elezioni presidenziali con una percentuale di consensi intorno al 90 per cento, ma con un tasso di partecipazione sotto il 30 per cento.
Domenica sera dalla sua sede elettorale, ha dichiarato di voler continuare la Rivoluzione del 2011 e ripulire il Paese dalle cospirazioni e dalla corruzione; aggiungendo che la Tunisia resterà libera e indipendente e non accetterà mai l’ingerenza straniera. Il tutto è stato pronunciato con tono decisamente autoritario. Il candidato dell’opposizione l’industriale Ayachi Zammel, poco conosciuto dalla massa, uomo liberale, ha ottenuto meno del 7 per cento dei voti. Il terzo candidato il deputato della sinistra panaraba il 59enne Zouhair Maghzaoui, ha ottenuto solo il 3,9 per cento dei consensi. Lunedì in serata i risultati ufficiali hanno confermato che Kaïs Saïed ha ottenuto il 90,7 per cento dei voti, annichilendo il secondo candidato, e rivelando, poco sorprendentemente, quanto curiosamente coincidano gli exit pool con lo spoglio delle schede.
Comunque i dati comunicati dall’Isie, Alta autorità indipendente per le elezioni della Tunisia, rivelano che la partecipazione è stata del 27,7 per cento rispetto al 45 per cento di cinque anni fa. Un dato ritenuto accettabile da Farouk Bouasker, presidente dell’Isie, ma che rivela una profonda stanchezza da parte dei tunisini anche alla luce del dato che solo il 6 per cento degli elettori dai 18 ai 35 anni ha votato. In realtà Zammel e Maghzaoui, sono stati gli unici, su 17 aspiranti concorrenti iniziali, che hanno potuto candidarsi per sfidare Saïed. Infatti, le altre candidature sono state respinte a causa di irregolarità rilevate dall’Autorità elettorale. Di fatto molti esponenti dell’opposizione sono stati incarcerati, per questo motivo le Ong tunisine e straniere hanno criticato, già prima degli esiti, che il voto è falsato e il tutto si è svolto a favore di una rielezione di Saïed.
Inoltre Ayachi Zammel non ha potuto fare campagna elettorale in quanto incarcerato dall’inizio di settembre, e al quale sono state comminate tre condanne per un totale di 14 anni di reclusione con l’accusa di finanziamenti illeciti. Zouhair Maghzaoui era invece considerato uno scagnozzo di Saïed a causa del suo progetto sovranista di sinistra, identico a quello del Presidente. Inoltre, Maghzaoui ha appoggiato Saïed fino a poco tempo fa. La realtà è che i candidati che avrebbero potuto mettere in ombra Saïed sono stati sistematicamente esclusi dalla contesa elettorale, gettando l’ennesima ombra sulla legittimità delle elezioni celebrate domenica. Ricordo che Saïed fu eletto nel 2019 con quasi il 73 per cento dei voti, con una partecipazione del 58 per cento, ed era ancora molto popolare quando questo professore di diritto costituzionale e dal profilo integerrimo, con una “manipolazione costituzionale” ha assunto i pieni poteri nell’estate del 2021, con la motivazione di “regolare” l’ordine generale nonostante l’instabilità politica.
Ma a tre anni dal “golpe reso legale”, i tunisini disapprovano il suo operato accusandolo di aver dedicato troppe risorse per “regolare” i conti con gli oppositori, soprattutto verso quelli appartenenti al partito Ennahda che rappresenta il filone politico islamo-conservatore, e che ha dominato durante il decennio successivo alla deposizione del presidente Ben Ali avvenuta nel 2011. Dal 2021, la Tunisia sta vivendo una deriva autoritaria, che si è manifestata attraverso lo smantellamento dei poteri, pesi e contrappesi, dello Stato; inoltre la società civile ha subito un crescente soffocamento delle proprie libertà anche di espressione. Sindacalisti, avvocati, attivisti, giornalisti, e politici arrestati per i più banali motivi. Human rights watch, ha recentemente denunciato che poco meno di 200 persone sono ai ferri per aver esercitato i propri diritti fondamentali e per questioni legate alla politica.
La rielezione quasi plebiscitaria di Saied pone alcune domande: il neo rieletto si accanirà maggiormente verso quelli che considera traditori mutilando o eliminando definitivamente l’opposizione? Questo successo che supera il 90 per cento di consensi porterà la Tunisia sui livelli degli altri regimi autocrati arabo-africani? A livello internazionale il proseguimento del lavoro avviato da Saïed darà garanzie di stabilità nei progetti di cooperazione internazionale soprattutto in ambito migratorio? A questa ultima domanda risponderei sicuramente di sì. Le altre due ricadono in quel percorso sociopolitico che spesso si confà con certe dinamiche sociali caratteristiche di alcune aree geografiche.
Come era prevedibile, il prolungamento dell’ombra di Saïed in Tunisia rimarca l’ipocrisia del voto in certi contesti, dove anche l’astensionismo agevola l’autoritarismo e dove il voto legittima l’illegittimità.
di Fabio Marco Fabbri