Vance domina Walz nel dibattito

venerdì 4 ottobre 2024


L’1 ottobre, è andato in scena l’ultimo dibattito televisivo della campagna elettorale americana per le Presidenziali del 2024 e forse la sorpresa più grande, dato il clima irreale ed evanescente che ha pervaso l’intera campagna, è che valeva la pena aspettare questo confronto televisivo.

Essendo stato l’unico e solo dibattito tra i candidati alla vicepresidenza, il senatore dell’Ohio James David “JD” Vance e il governatore del Minnesota Tim Walz, sembrava giusto dire in anticipo che questo sarebbe stato probabilmente il duello televisivo meno commentato di tutti (dopotutto, è piuttosto difficile battere il numero di commenti suscitati dall’affermazione [che i migranti] “mangiano cani e gatti”.) Va rilevato che JD Vance ha tenuto una lezione magistrale di politica populista intelligente e persino Tim Walz si è comportato con una certa correttezza, se non addirittura con garbo o mostrandosi visibilmente a suo agio.

La conclusione principale è che Vance ha vinto, e lo ha fatto nel modo migliore possibile: con il riconoscimento universale e sorprendendo i suoi nemici. In un certo senso, riesco quasi a convincermi che abbia tratto beneficio dalla demonizzazione da parte dei media e dalla campagna di Kamala Harris, perché nessuno che ha visto il dibattito tv da elettore indeciso potrà pensare che lui sia un tipo “bizzarro”, e questo posso garantirlo.

Vance si è mostrato pacato, gradevole, ha discusso con scioltezza nei minimi dettagli della politica (capace di farlo in un modo che non è risultato né noioso né incoerente) e ha sostanzialmente fatto a pezzi un Tim Walz agitato e nervoso. È stato un knock-out in quasi ogni round di domande, solo per lo stile mostrato. A dire il vero, ciò mi ha reso un po’ triste, giacché mi sono chiesto per quale motivo nessuno dei due candidati alla presidenza sia riuscito a parlare della propria visione dell’America con un decimo della convinzione di Vance, e non sono nemmeno d’accordo con gran parte di essa in termini di politica economica. Se non altro, il risultato più notevole sortito da Vance è stato quello di aver da solo dato corpo al trumpismo (se detestate il trumpismo questo potrebbe terrorizzarvi) e per una volta averlo fatto sembrare un programma di governo piuttosto che una serie di slogan.

Quanto a Walz, temo che i commenti dei suoi colleghi democratici e dei media siano stati assolutamente brutali. Le sue espressioni facciali durante la serata lo hanno fatto sembrare perennemente sfortunato, come il fratello luterano rammollito interpretato dal comico Don Rickles, che annuiva con entusiasmo invece di lanciarti insulti. Alcune delle sue risposte sono state memorabilmente imbarazzanti, anche prese singolarmente: a Walz è stato chiesto di rispondere delle sue esagerazioni seriali sulla Cina, quando in realtà avrebbe dovuto essere debitamente chiamato a rispondere dei suoi legami seriali con la Cina, e si è lanciato in un monologo penosamente sconclusionato che si è interrotto ed è stato ripreso più volte, e sembrava proprio di assistere a uno sketch di Mr Bill, personaggio di plastilina dello show comico (della Nbc, ndr) Saturday Night Live, che si scioglie con il getto di aria calda di un phon.

Penso che i democratici non abbiano gradito quanto Walz sia stato accomodante per tutta la serata (avete scelto un uomo del Minnesota e non potete prendervela con nessuno se non con voi stessi); come si sia sforzato di dire che Vance è un uomo ragionevole a cui stanno a cuore le questioni che gli interessano. Vance se ne è accorto chiaramente fin dall’inizio e si è abilmente affidato al garbo e alla cortesia, trasformando il dibattito in un lovefest in cui è stato il leader del coro gospel Kumbaya.

Ma in tutta onestà penso che entrambi i candidati abbiano fatto un favore ai loro candidati alla presidenza con i loro toni: quello di Vance è stato più efficace, non solo per le sue chiare doti comunicative, ma perché il suo comportamento è stato una sorta di controprogrammazione così incredibilmente (e piacevolmente) inaspettata rispetto alla tipica spavalderia rabbiosa e semi-coerente di Donald Trump.

È una radicata verità lapalissiana che i dibattiti presidenziali non contano, e quelli tra vicepresidenti contano ancora meno. Le circostanze uniche della campagna elettorale del 2024 hanno già dimostrato che la prima metà della massima è sbagliata. I sostenitori di Trump dovrebbero comprendere che anche la seconda metà è stata smentita, perché Vance nel confronto tv ha fatto tutto ciò che gli si poteva chiedere di fare per i candidati repubblicani (e per il partito in generale).

(*) Tratto dal National Review

(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Jeffrey Blehar (*)