Il J’Accuse di Assange: “La libertà di espressione è a un bivio oscuro”

martedì 1 ottobre 2024


È stato il suo primo intervento dopo 14 anni di isolamento e detenzione. Julian Assange, in audizione al Consiglio d’Europa, ha lanciato il suo J’Accuse contro gli Stati Uniti. Secondo il fondatore di WikiLeaks la libertà di espressione e tutto ciò che ne consegue si trovano a “un bivio oscuro”.  Assange è stato liberato alla fine di giugno, dopo aver trascorso quasi un tre lustri nell’ambasciata ecuadoriana a Londra e poi detenuto nel carcere britannico di alta sicurezza di Belmarsh. “Temo che, a meno che istituzioni che stabiliscono norme come il Consiglio d’Europa non si sveglino di fronte alla gravità della situazione, sarà troppo tardi”. Assange ha testimoniato davanti alla Commissione Affari giuridici e diritti umani dell’assemblea parlamentare. La testimonianza di Assange è legata al rapporto preparato della socialista islandese Thorhildur Sunna Aevarsdottir, sulla sua detenzione e condanna e l’effetto dissuasivo e di autocensura che ha su tutti i giornalisti, gli editori e altri soggetti che riferiscono su questioni essenziali per il funzionamento di una società democratica. “Se l’Europa vuole avere un futuro in cui la libertà di parola e la libertà di pubblicare la verità non siano privilegi riservati a pochi ma diritti garantiti a tutti, allora deve agire in modo che ciò che è accaduto nel mio caso non accada mai a nessun altro”, ha sottolineato Assange, chiedendo a tutti di fare la propria parte “per garantire che la luce della libertà non si affievolisca mai, che la ricerca della verità continui a vivere e che le voci di molti non vengano messe a tacere dagli interessi di pochi”. “Vedo più impunità, più segretezza, più rappresaglie per aver detto la verità, e più autocensura. È difficile non tracciare una linea tra il Governo degli Stati Uniti che attraversa il Rubicone criminalizzando a livello internazionale il giornalismo e il freddo clima attuale per la libertà di espressione”, ha sottolineato il cofondatore di Wikileaks. “Ora la giustizia per me è preclusa poiché il Governo degli Stati Uniti ha insistito per iscritto nel suo patteggiamento che non posso presentare un caso alla Corte europea per i diritti dell’uomo o anche una richiesta di legge sulla libertà di informazione per ciò che mi è stato fatto a seguito della richiesta di estradizione”, ha spiegato Assange. “Ho scelto la libertà sull’impossibilità di ottenere giustizia. Voglio essere totalmente chiaro. Non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato. Sono libero oggi perché dopo anni di carcere mi sono dichiarato colpevole di giornalismo”, ha aggiunto.

“Gli europei devono obbedire alla legge sullo spionaggio degli Stati Uniti”, ha proseguito, sostenendo che il suo caso ha aperto la porta alla possibilità che qualsiasi grande Stato possa perseguire i giornalisti in Europa. “Se le cose non cambiano, nulla impedirà che quanto è accaduto a me accada di nuovo”, ha aggiunto. Riassumendo la sua testimonianza, Assange ha detto che la questione fondamentale è semplice: i giornalisti non dovrebbero essere perseguiti per aver svolto il loro lavoro. Il giornalismo non è un crimine. È un pilastro di una società libera e informata”.  “La mia ingenuità è stata credere nella legge. Quando si arriva al dunque, le leggi sono solo pezzi di carta e possono essere reinterpretate per convenienza politica”, ha detto Assange rispondendo alle domande dei parlamentari del Consiglio d’Europa. Le leggi “sono le regole stabilite dalla classe dirigente in senso più ampio e se quelle regole non si adattano a ciò che vuole fare, le reinterpreta o le cambia. Nel caso degli Stati Uniti, abbiamo fatto arrabbiare uno dei poteri costituenti: l’intelligence” che è “abbastanza potente da spingere per una reinterpretazione della Costituzione”, ha osservato il fondatore di WikiLeaks. “Penso che questa sia una lezione: quando una fazione di potere importante vuole reinterpretare la legge può spingere una parte dello Stato, in questo caso il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, a farlo. Non curandosi troppo di ciò che è legale”.


di Ugo Elfer