lunedì 23 settembre 2024
La politica internazionale non smette mai di sorprendere per le sue dinamiche contraddittorie da cui si evince una verità irrefutabile, ossia l’applicazione del principio dei due pesi e due misure.
Questo è quanto sta accadendo riguardo all’approvvigionamento di gas naturale di fornitura russa da parte di alcune nazioni componenti l’Unione europea, cui non solo sono state già concesse delle deroghe, ma ora ottengono anche che queste deroghe siano considerate dei privilegi definitivi, non curandosi di tutti i vincoli e restrizioni finora stabiliti nei confronti della Russia, che invece di danneggiarla stanno danneggiando economicamente tutti le altre nazioni dell’Unione europea, in particolare quelle che sono prive di risorse energetiche come l’Italia, la quale è dipendente in toto da altri Paesi per ciò che concerne l’acquisto di gas naturale e di energia in generale.
Per l’Italia, oltre al suddetto danno, vi è alche la tragica e potenzialmente esiziale beffa di doversi sentire spiegare dal suo connazionale Mario Draghi, incaricato dalla Commissione europea di analizzare lo stato dell’economia dell’Ue e di proporre delle soluzioni alla crisi economica in atto, che l’unico modo per risollevare l’economica dell’Ue consiste nell’aumentare in modo spropositato la spesa pubblica tramite un cosiddetto “nuovo piano Marshall”.
Pertanto, tralasciando di soffermarci sulla conferma di quanto la matrice culturale di Draghi sia palesemente statalista o per meglio dire “collettivistico-finanziaria” e non liberale, il suddetto progetto dimostra (volente o nolente) di avere una scandalosa miopia geopolitica ed economica.
Infatti, Draghi invece di evidenziare quanto la guerra tra Ucraina e Russia stia impoverendo l’Ue (soprattutto quelle nazioni senza un’autonomia energetica, come ad esempio l’Italia) con tutti i finanziamenti e le armi che all’Ucraina vengono dati, si preoccupa di spingere l’Ue verso un indebitamento senza soluzione di continuità.
Dopo aver visto negli anni Ottanta del secolo scorso indire il suicidio economico e quindi sociale del referendum sull’energia atomica, indetto (inopportunamente) subito dopo il disastro della centrale nucleare di Chernobyl, il cui esito ha tolto ogni speranza all’Italia di raggiungere un’autonomia energetica, costringendo gli italiani con le loro finanze a spendere ingenti somme per comprare l’energia nucleare dalla vicina Francia e dalla altrettanto vicina Slovenia, senza considerare il fatto che se dovessero scoppiare le loro centrali nucleari l’Italia non sarebbe esente dalle distruttive e nefaste conseguenze, come se le suddette centrali fossero state costruite nel territorio italiano, questo proprio per la loro estrema vicinanza.
Inoltre, mentre cerchiamo di acquistare l’energia da altre nazioni e a caro prezzo, continuiamo a sostenere delle spese per il graduale e lungo spegnimento delle centrali nucleari costruite e attive in Italia prima del succitato referendum.
Dopo il quadro storico che ho appena riportato e ricordato torniamo ad analizzare l’attualità e nello specifico l’accordo raggiunto dall’Ungheria e la Slovacchia con l’Ucraina per ricevere il gas russo tramite il territorio ucraino, di cui ho parlato all’inizio.
L’accordo raggiunto tra Ucraina, Ungheria e Slovacchia riguardo al transito del petrolio russo attraverso l’oleodotto Druzhba rappresenta una significativa vittoria diplomatica ed economica per Viktor Orbán e il suo governo. L’Ungheria, che dipende fortemente dal petrolio russo per la sua economia, ha ottenuto il permesso di continuare a importare petrolio nonostante le sanzioni europee contro Mosca, grazie a una deroga ottenuta nel 2021 e ora estesa di fatto.
L’intesa prevede che la compagnia ungherese Mol, che acquista il petrolio dalla russa Lukoil, prenda il controllo dell’oleodotto e paghi i diritti di transito all’Ucraina. Questo consente a Budapest di proteggere le proprie forniture energetiche, cruciali per affrontare l’inverno, e di mantenere una linea autonoma nelle sue relazioni con la Russia, pur restando all’interno del quadro sanzionatorio europeo.
Per l’Ucraina, questa concessione è una necessità strategica per evitare i veti ungheresi in seno all’Unione europea, garantendo al contempo entrate economiche dal transito del petrolio. Anche la Slovacchia, alleata dell’Ungheria in questa vicenda, ha tratto beneficio dall’accordo, assicurando la propria stabilità energetica. L’Unione europea dovrà fare i conti con la crescente autonomia di alcuni Stati membri nella gestione della politica energetica e delle relazioni con la Russia.
Inoltre, mentre cerchiamo di acquistare l’energia da altre nazioni e a caro prezzo, continuiamo a sostenere delle spese per il graduale e lungo spegnimento delle centrali nucleari costruite e attive in Italia prima del succitato referendum.
Dopo il quadro storico che ho appena riportato e ricordato torniamo ad analizzare l’attualità e nello specifico l’accordo raggiunto dall’Ungheria e la Slovacchia con l’Ucraina per ricevere il gas russo tramite il territorio ucraino, di cui ho parlato all’inizio.
L’accordo raggiunto tra Ucraina, Ungheria e Slovacchia riguardo al transito del petrolio russo attraverso l’oleodotto Druzhba rappresenta una significativa vittoria diplomatica ed economica per Viktor Orban e il suo governo. L’Ungheria, che dipende fortemente dal petrolio russo per la sua economia, ha ottenuto il permesso di continuare a importare petrolio nonostante le sanzioni europee contro Mosca, grazie a una deroga ottenuta nel 2021 e ora estesa di fatto.
L’intesa prevede che la compagnia ungherese Mol, che acquista il petrolio dalla russa Lukoil, prenda il controllo dell’oleodotto e paghi i diritti di transito all’Ucraina. Questo consente a Budapest di proteggere le proprie forniture energetiche, cruciali per affrontare l’inverno, e di mantenere una linea autonoma nelle sue relazioni con la Russia, pur restando all’interno del quadro sanzionatorio europeo.
Per l’Ucraina, questa concessione è una necessità strategica per evitare i veti ungheresi in seno all’Unione Europea, garantendo al contempo entrate economiche dal transito del petrolio. Anche la Slovacchia, alleata dell’Ungheria in questa vicenda, ha tratto beneficio dall’accordo, assicurando la propria stabilità energetica. L’Unione Europea dovrà fare i conti con la crescente autonomia di alcuni Stati membri nella gestione della politica energetica e delle relazioni con la Russia.
di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno