venerdì 13 settembre 2024
Il dibattito dei candidati americani ha contrapposto compostezza matura ed esuberanza senile. Vedremo se ha prodotto serietà di argomenti.
Donald Trump e Kamala Harris hanno usato due codici diversi di comunicazione: uno puntava alla persuasione, l’altra alla convinzione.
In genere, gli interventi concitati tendono a far reagire l’istinto dell’interlocutore. Questa è la persuasione.
Al contrario, un atteggiamento più sereno e controllato punta alla convinzione.
Il primo ha parlato alla pancia, l’altra alla testa.
Trump è stato arrembante, ha detto alcune cose grossolane e che puntavano a solleticare le reazioni degli spettatori. Parlava a un elettorato che non vuole pensare ma vuole soluzioni. Quella fetta di elettorato si sente molto più rassicurato se nessuno spiega nulla. In fondo, anche nelle nostre democrazie ci sono mentalità che potremmo definire di stampo ‘russo’. Il corpaccione popolare della Moscovia allargata è definito, da alcune analisi sbrigative, come un’entità massificata, composto da persone che non esprimono opinioni. Chiedono che la loro vita, per la maggioranza di loro davvero miserabile, possa continuare senza grossi intoppi.
Kamala Harris ha scelto la strada opposta. Non è mai caduta nella provocazione, non ha mai alzato la voce, mai nemmeno un segno di irruenza. Ad ogni domanda ha risposto con calma. Ad ogni risposta dell’avversario ha reagito scuotendo la testa o mimando le parole “not true”. Ha scelto di evitare la parola “falso”, ha usato “non vero” (not true).
Dal punto di vista dell’europeo non votante il dibattito è stato interessante. Ci siamo sentiti uniti all’oltre atlantico. Anche nella più importante democrazia del mondo i candidati non hanno detto cosa intendono fare nel concreto. L’unica cosa tecnicamente complessa è stata riferita al cosiddetto Obama Care, l’assistenza sanitaria garantita per i ceti più poveri.
Entrambi i candidati hanno dichiarato che lo terranno in vita, perché non c’è soluzione.
I due candidati sostanzialmente non cambieranno molto nella conduzione della politica americana.
Tra le differenze, l’atteggiamento nei confronti dell’Europa e della Russia.
Trump non lo mai detto chiaramente, ma punterà a lasciare mano libera a Putin. Questo va contro gli interessi europei. Per tre volte l’intervistatore gli ha chiesto se è d’accordo nel garantire l’indipendenza ucraina. Per tre volte Trump ha gesuiticamente risposto: “Voglio che la guerra finisca”.
La differenza con Harris è enorme, da questo punto di vista. La contrarietà democratica nei confronti delle dittature mondiali è stata netta, possiamo dire valoriale. Eppure, persino Trump, se fosse alla Casa Bianca, capirebbe che non può lasciare mano libera a Putin. Farlo implica relegare gli Usa al ruolo di gigante solitario. E questo comporterebbe il vero crollo d’influenza ed economico americano. Di conseguenza, anche Trump sarà obbligato a fermare il suo “amico” Vladimir.
Anche questa profonda differenza è quindi a effetto limitato.
L’altra differenza tra i due candidati è sui diritti civili.
Trump e i suoi puntano all’eliminazione del diritto di aborto.
Harris vuole invece garantire che non sia più necessario per una donna migrare da uno Stato all’altro dell’Unione, per garantirsi il diritto di decidere del proprio corpo.
Anche in questo caso, l’abolizione dell’aborto nello spazio federale americano non sembra credibile. Né sembra credibile una legge che renda obbligatoria in tutta la Federazione del diritto di aborto. La Corte Suprema avrebbe grosse difficoltà a limitare l’autonomia degli Stati su una questione di tale portata. Pari e patta, anche qui.
Sull’immigrazione, è vero che i democratici americani hanno maggiore comprensione per il fenomeno. Ma è anche vero che gli immigrati regolarizzati tendono a essere i primi a non volere altra immigrazione. Anche per questo, i governi democratici hanno sempre lavorato, come quelli repubblicani, per contrastare in ogni modo possibile l’immigrazione illegale. Costruzione di muri compresi.
Si sono confrontate quindi due visioni del mondo poco diverse, a parte la strategia comunicativa. Tra persuasione e convinzione, latita la politica, il futuro. Proprio come in Europa.
L’elettorato europeo è indifferente come quello americano, per circa la metà. La ragione è semplice: mancano le nuove idee. Spesso anche la capacità di elaborarle e capirle. Nella vecchia Europa, culla anche di mostruose teorie politiche, è molto più visibile la recrudescenza dei movimenti di estrema destra, sia fascisti che nazisti. Anche quelli puntano alla persuasione, parlano alla pancia.
Troppe aree politiche, dall’estrema destra all’estrema sinistra, fino ai conservatori o agli pseudo progressisti senza idee, tralasciano la ricerca dei fatti, di convincere, per privilegiare la persuasione. La persuasione è una scorciatoia apparente. Chi fa politica e ha esperienza sa che qualsiasi tentativo di prendere una scorciatoia presto rappresenterà un disastro. Non a caso Trump oppone ai ragionamenti di Harris non ricette ma un “io farò qualcosa”. Ma non sa nemmeno lui cosa farà. Il suo tentativo di persuasione si incardina sul tentativo di far giudicare non un programma ma proprio lui, l’anziano inferocito dall’età, dai processi, da una fama discutibile.
In genere, molti di noi si lasciano allettare dalla persuasione. Ma siamo davvero poco convinti.
di Claudio Mec Melchiorre