giovedì 5 settembre 2024
La guerra dell’Asse della Resistenza (Hezbollah, Hamas, milizie sciite irachene e siriane, Houthi sciiti yemeniti) guidato dall’Iran contro Israele sta assumendo una crescente criticità data dall’escalation dell’utilizzo delle armi sia come capacità distruttiva che come quantità utilizzata.
Dal 7 ottobre 2023, data dall’attacco di Hamas a Israele, Hezbollah (Partito di Dio), organizzazione sciita libanese filo-iraniana, conduce una guerra di “inseguimento”; cioè sembra essere rimasta colta di sorpresa dall’offensiva del suo alleato palestinese sunnita, Hamas. Infatti per solidarietà con l’azione del 7 ottobre, il giorno dopo Hezbollah ha lanciato alcuni razzi contro Israele, una sorta di condivisione senza troppe pretese di impatto. Tuttavia l’azione dei membri del “Partito di Dio” ha causato lo sfollamento di circa centomila abitanti del nord di Israele, sgomberati come misura di sicurezza, che ancora oggi non hanno avuto la possibilità di rientrare nelle loro case. Anche questa situazione è diventata l’ennesima pressione sul governo di Benjamin Netanyahu, al quale viene intimato di risolvere il problema delle minacce di Hezbollah; pressioni oggi ancora più pesanti dopo il recente ritrovamento di sei ostaggi israeliani trucidati da Hamas nei tunnel di Rafah.
Da novembre 2023, Israele ha incrementato azioni offensive ed effettuato profonde incursioni nelle basi militari di Hezbollah nel sud del Libano. In una decina di mesi sono stati annichiliti almeno quattrocento miliziani sciiti libanesi, tra questi molti appartenenti alle famose forze speciali d’élite conosciute come Radwan. L’operazione israeliana di “pulizia” al sud del Libano è stata resa possibile anche grazie all’utilizzo di bombe al fosforo che hanno svuotato i territori di confine dalla presenza umana.
Per le forze dell’Idf (Forze di difesa israeliane) mutilare le forze d’élite Radwan è stata ed è una necessità strategica con priorità assoluta. Una ossessione amplificata dopo il 7 ottobre, ma nei programmi di Israele da lungo tempo. Infatti proprio nell’attentato di ottobre i carnefici di Hamas hanno applicato puntualmente quanto il “manuale Radwan” dettava; cioè un’invasione dello Stato ebraico colpendolo al cuore tramite una infiltrazione delle milizie coordinata e in vasta scala. Infatti dal 2022, in numerose occasioni, Hezbollah ha minacciato apertamente lo Stato ebraico di effettuare un’invasione del territorio; intenzioni manifestate con filmati propagandistici e anche con un’esercitazione, svolta a maggio 2023, a dimensioni naturali e teatralmente presentata davanti a un pubblico di giornalisti in un’area nel sud del Libano. Già alla fine del 2018 Israele aveva scoperto dei tunnel scavati al confine tra i due Stati. Ma questa escalation portata avanti dal “Partito di Dio”, che ora ha come obiettivi le basi militari israeliane, rischia di scatenare una guerra aperta e devastante per il Libano, già in gravi difficoltà politiche e in una crisi economica senza precedenti. Ricordo che il 30 luglio un attacco israeliano alla periferia di Beirut ha eliminato una importante figura militare di Hezbollah, Fouad Shukr. Hezbollah, dal canto suo, non ha reagito immediatamente ma ha promesso una adeguata risposta al momento opportuno. La settimana scorsa, i miliziani sciiti libanesi hanno dichiarato di aver lanciato, su undici basi militari israeliane e sulle Alture del Golan siriane controllate da Israele, numerosi droni insieme a oltre trecento razzi Katyusha. Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, ha affermato che l’attacco è stato ordinato dopo che Israele ha varcato tutte le “linee rosse” uccidendo il comandante Shukr. Comunque l’esercito israeliano ha intercettato e distrutto buona parte dei razzi lanciati, oltre ad aver “sepolto” numerose postazioni militari sciite-libanesi.
Ma Israele con i suoi attacchi ha veramente danneggiato l’arsenale di Hezbollah? Sembra che Hezbollah abbia fino ad ora lanciato circa ottomila razzi, ma che ne possiede nel suo arsenale almeno centocinquanta/duecentomila. Da ottobre il Libano meridionale è stato duramente colpito dagli attacchi israeliani, si contano quasi centomila sfollati e almeno seicento morti, e di questi oltre cento civili; una settimana fa Israele ha colpito circa trenta città e villaggi nel sud del Libano, si tratta del più pesante attacco da ottobre. Ma secondo quanto riportato da Reuters, Israele e Hezbollah si sono comunicati reciprocamente il desiderio di un’ulteriore escalation; fino ad ora Hezbollah pare preparato e in grado di coordinare azioni militari significative, mantenendo la sua posizione strategica nel conflitto.
Ma Hezbollah non rappresenta tutto il Libano, infatti cresce il disagio della comunità cristiana, e non solo, che si oppone a quanto il “Partito di Dio” sta portando avanti. La decisione del partito sciita libanese di aprire un fronte contro Israele, a sostegno di Hamas, sommata all’assenza del presidente dello Stato libanese, carica riservata ad un cristiano maronita, accentua il sentimento di emarginazione soprattutto della popolazione cristiana. Anche se sulle alture di Harissa, circa trenta chilometri a nord di Beirut, la guerra che infuria nel sud del Libano sembra lontana, la percezione di un rischio di deflagrazione incombe sul popolo libanese. Il partito sciita libanese ha assunto la questione della Palestina come causa nazionale che va oltre lo Stato libanese, ma è evidente che aprire un fronte in Libano per sostenere Hamas quando gli altri Paesi arabi non manifestano altrettanta volontà, pare più una posizione di politica interna che una strategia sovranazionale. Infatti soprattutto i capi politici cristiani da ottobre hanno fortemente espresso perplessità sulle azioni del “Partito di Dio”, criticando il fatto che Hezbollah ha impostato una sua strada contro Israele, supportato dal suo padrino iraniano, e temendo che gli sciiti possano approfittare di un ruolo maggiore sulla scena regionale e sovraregionale, per imporre il suo “ordine” in Libano. Ricordo che il partito sciita è accusato di aver allungato di quasi due anni i tempi per le elezioni presidenziali che porteranno all’investitura di un presidente cristiano maronita. In realtà il “Partito di Dio” ha avviato una guerra senza che il Governo libanese sia stato minimamente interpellato; il partito cristiano socialdemocratico Libanese Kataëb (cristiani di destra-Falangi), e il patriarca maronita Béchara Raï si stanno opponendo alla guerra lanciata da Hezbollah contro Israele. A giugno Raï ha chiesto che vengano applicate le risoluzioni dell’Onu, per prima la 1559 del 2004, che chiede il disarmo delle milizie in Libano, cosa totalmente ignorata da Hezbollah.
Ma quali potrebbero essere gli obiettivi di Hezbollah a voler proseguire questa guerra?
Sommariamente possiamo ipotizzare che il “Partito di Dio”, ben rappresentato nel Parlamento libanese, potrebbe avere anche interessi di controllare totalmente il Libano e di renderlo un Paese islamico; a suo favore ha sicuramente un fattore, che è quello di essere un partito poderosamente armato, e sicuramente più attrezzato militarmente dell’esercito regolare del Libano.
di Fabio Marco Fabbri