La cura della “motosega” sembra funzionare

giovedì 5 settembre 2024


Come salvare un Paese spacciato? Chiedetelo a Javier Milei. Il presidente argentino, guardandosi indietro, può essere più che soddisfatto di questi primi nove mesi alla guida della Nazione sudamericana. Il suo esordio alla presidenza è stato di per sé un unicum nella storia dell’America meridionale, con lo scontro tra peronisti e destra tradizionale che ha spianato la strada per Javier il libertario. È vero che tra i due litiganti il terzo gode. Ma è anche vero che le due principali fazioni politiche in Argentina, soprattutto l’ultimo Governo guidato da Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner, hanno lasciato in eredità a colui che sarebbe diventato il prossimo capo di Stato un Paese disastrato.

L’inflazione più alta del mondo (circa un 300 per cento annuo nel 2023), un patto con il Fondo monetario internazionale praticamente inottemperabile – da 44 miliardi di dollari – e un tasso di povertà di oltre il 40 per cento hanno spinto gli argentini a dare fiducia al fattore x delle Presidenziali – ovvero Javier Milei, che è arrivato e ha vinto il ballottaggio con Sergio Massa – contro ogni pronostico e sondaggio. D’altronde, la politica tradizionale è riuscita a fare in Argentina – un Paese che nel Secondo dopoguerra aveva uno dei Pil pro capite più alti del mondo – nient’altro che danni. Questo ha permesso a uno dei maggiori interpreti contemporanei del libertarismo di insediarsi alla Casa Rosada. Se questo non è un ossimoro, come minimo ci si avvicina.

Javier Milei, dal primo giorno di presidenza, ha rispettato ciò che aveva promesso al suo popolo. Austerity, taglio della spesa pubblica, sburocratizzazione e privatizzazione. Già, perché il presidente libertario non ha mai nascosto ai cittadini che per riportare il Paese almeno alla stabilità, la transizione sarebbe stata uno shock. Almeno nel breve periodo. E quindi, a colpi di “motosega”, Milei ha ridimensionato i Ministeri – da 18 a 8 – ha nominato un ministro per la Deregolamentazione e la trasformazione dello Stato, con il compito di valorizzare la concorrenza e ridurre ai minimi termini gli ostacoli burocratici, ha promosso gli investimenti stranieri e la privatizzazione dei settori pubblici. In questo modo, dopo nove mesi di operato, Javier ha compiuto un “piccolomiracolo economico.

Sebbene sia il capo di Stato sia la popolazione sono coscienti che questo è solo il primo passo nella direzione giusta, la gestione Milei ha fatto registrare il primo avanzo finanziario dal 2008. Una pietra miliare significativa, raggiunta tagliando le pensioni, i salari pubblici, i sussidi e il welfare. Manovre drastiche, ma largamente anticipate, visto che il presidente, nel suo discorso di insediamento, aveva messo in guardia perentoriamente: “Non ci sono soldi”. Ma, grazie alla cura Milei, l’inflazione – secondo i dati di Luis Caputo, ministro dell’Economia – è scesa al 4,6 per cento a giugno, con la terza settimana del mese che non ha fatto registrare un aumento del costo del denaro (per la prima volta in 30 anni). Ora, il presidente dell’Argentina può prepararsi al taglio delle tasse, soprattutto quelle che pesano sulle fasce più povere della popolazione.

Insomma, dopo nove mesi di operato, i conti sono in ordine, l’economia dà segnali positivi e i prezzi sono scesi del 26 per cento in termini reali. Anche il rapporto – non del tutto sereno – con il Fondo monetario internazionale sembra procedere verso acque più calme. Secondo il Fmi, il Paese tornerà a crescere nel 2025, e questo porterà Javier Milei alle prossime Elezioni legislative con il vento in poppa. In questo modo, il presidente potrà avere la maggioranza anche al Congresso, visto che fino ad ora il capo di Stato è dovuto scendere a compromessi con la destra tradizionale, vista la sua minoranza attuale. La situazione è ancora fragile, ma se l’esperimento di Milei avrà successo, avrà sicuramente ricadute politiche su tutta la regione sudamericana. Il vento sta cambiando.


di Edoardo Falzon