martedì 6 agosto 2024
A volte (o sempre, per la verità) gli sciocchi, presuntuosi e malinformati, tornano sul luogo del delitto. Soprattutto, se muniti di paraocchi ideologici, per cui il trailer dei falsi storici di cui sono i più fervidi promotori e sostenitori si riavvolge a ciclo continuo, sempre uguale a se stesso. Per esempio, quando si parla di “ritorno del fascismo” successivamente alla formazione del Governo Meloni. Allora, vediamo meglio quali sono le caratteristiche sostanziali della fattispecie storica che si intende etichettare come (nazi)fascismo. Queste sono essenzialmente tre: verticalizzazione del potere e soppressione dell’opposizione, il che può avvenire sia nelle democrature (il voto per il leader unico è sempre plebiscitario, con le buone o con le cattive, vedi Vladimir Putin e Nicolás Maduro), come nelle dittature e nelle più diverse espressioni totalitarie. Il secondo aspetto, conseguente, è l’eliminazione fisica o la segregazione in campi di concentramento come i lager o i gulag, non escludendo pratiche di genocidio, di avversari politici e oppositori, contestualmente alla soppressione della stampa libera e degli osservatori indipendenti (Ong, autorità di garanzia e così via).
Ora, Joseph Stalin, Adolf Hitler per il passato, Putin, Maduro e Xi Jinping per il presente, rispondono perfettamente ai requisiti del regime “fascista”. Mentre Giorgia Meloni e Viktor Orbán non rientrano in questa fattispecie, altrimenti i loro Paesi sarebbero stati messi fuori dai processi decisionali dell’Unione europea, come scritto nell’articolo 7 del Trattato sull’Ue stessa. Anche se quest’ultimo, per la verità, contiene un “bug” davvero strabiliante, in quanto la decisione di escludere un Paese membro dalle decisioni e dal voto in Consiglio Ue deve essere adottata “all’unanimità” (sic!). Per cui, anche sanando –attraverso la limitazione del criterio di unanimità a “27 contro uno” – l’assurdità del membro incriminato che dovrebbe votare contro se stesso, resta comunque, come è accaduto per l’Ungheria, il rischio insuperabile di impasse, quando anche un solo altro componente solidarizzi con l’espellendo e reprobo. Vedi il caso concreto del tandem Polonia-Ungheria, che ha bloccato l’applicazione dell’articolo 7 ai danni di Budapest.
Ciò detto, rimane da spiegare come progressisti italiani, sinistra nazionale e autorità vaticane non diano palesemente del fascista conclamato all’attuale Presidente chavista (usurpatore, fino a prova contraria) del Venezuela, che a suon di brogli si è dichiarato vincitore delle Elezioni presidenziali appena celebrate. Del resto, solo in un regime fascista le pseudo-autorità elettorali indipendenti (i cui membri sono stati nominati da Maduro stesso) potrebbero dichiarare “vincitore” il Presidente uscente, senza avere alcun dato definitivo a supporto.
A seguito delle proteste di piazza alla sua rielezione, facendo la gioia dei campus americani pro-Hamas, il roboante leader maximo, incrollabile sostenitore di Putin (tra autocrati ci si intende), ha dato del fascista, criminale e violento a chi, a disprezzo della propria vita, è sceso disarmato in strada a contestarlo. Denunciando, senza vergogna, come dietro i disordini ci siano, guarda caso, i soliti Stati Uniti e nientedimeno che i cartelli colombiani della droga, nel ruolo di finanziatori delle proteste. Poi, come ogni Duce che si rispetti, Maduro si è rivolto direttamente dal palco al suo “maresciallo Radetzky”, dicendogli di impiegare tutta la forza necessaria per mettere in galera quei facinorosi che protestavano nelle vie e nelle piazze adiacenti. Più fascista di così!
Nessuno ormai, a quanto pare, racconta dei pasdaran presidenziali venezuelani, col volto coperto e in sella alle motociclette (tale e quali ai loro poco rispettabili colleghi iraniani) che aggrediscono, violentano, sequestrano e uccidono oppositori e giovani studenti che chiedono pubblicamente di poter vivere in un mondo migliore. A quanto pare, la sirena Maduro continua a incantare tutti gli allocchi anti-americani della sinistra progressista mondiale, rivendendo urbi et orbi la favoletta dei demoni che aggrediscono dall’esterno il regime popolare social-chavista (definito dal suo fondatore Ugo Chavez come una riedizione della Rivoluzione boliviana), e della necessità conseguente di dover schiacciare senza pietà i propri nemici interni, raffigurando se stesso come un indomito eroe che difende la sua petrol-Nazione.
Silenzio assoluto sulla banda di oligarchi e sul suo clan familiare che hanno beneficiato, arricchendosi a dismisura, della manna petrolifera, mentre il popolo si è sempre dovuto confrontare con tassi di inflazione a tre cifre e con l’assoluta scarsità di beni alimentari essenziali. In totale, sarebbero addirittura 400 i miliardi sottratti al popolo venezuelano. Tanto per capirci: secondo l’agenzia antiriciclaggio americana, la Financial crimes enforcement network (Fincen), dal 2009 al 2017 sono usciti dal Venezuela all’incirca 5 miliardi di dollari, portati all’estero dai boligarchi (gli imprenditori di regime) con operazioni bancarie sospette. Più del 70 per cento di questa fuga di capitali riguarda fondi pubblici, ovvero denaro che è fuoriuscito dalle casse del Ministero delle Finanze e della società petrolifera statale.
Come più volte denunciato anche dai movimenti extraparlamentari di sinistra, proprio grazie alla gigantesca rendita petrolifera (oggi duplicata dagli immensi giacimenti venezuelani di Coltan), Chavez e il suo erede Maduro hanno favorito la crescita di quella neo-costellazione borghese predatoria, nota come “boliburguesía”. Speculatrice, corrotta e parassitaria, annidata e consustanziale alla macchina statale, in cui gli alti gradi militari (implicati, tra l’altro, nel traffico di droga) hanno un ruolo predominante, controllando le grandi imprese statali. Ed è proprio su di loro, che il potere bolivariano ha fatto leva per la sistematica repressione di ogni opposizione e organizzazione operaia autonoma dal partito del potere. Che cos’è il “fascismo”, se non questo?
di Maurizio Guaitoli