Proteste di piazza, Maduro occupa Miraflores

mercoledì 31 luglio 2024


I dati di voto completi devono essere pubblicati. Questo è l’imperativo definito dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il suo omologo brasiliano, dopo una conversazione telefonica sulla crisi in Venezuela nata dopo le Elezioni presidenziali di domenica. Le autorità elettorali devono rendere pubbliche le vere percentuali di voto “trasparenti e dettagliate, provenienti dai seggi elettorali”. Nel frattempo il Costa Rica ha offerto asilo politico a María Corina Machado – la leader dell’opposizione – e al candidato Edmundo González. Oltre a tutti coloro che soffrono per la persecuzione dell’establishment di Nicolás Maduro. Il Paese ha offerto protezione anche ai sei rifugiati nell’ambasciata argentina a Caracas.

Raramente il Venezuela, che non è estraneo a instabilità politica e crisi economica, è stato così vicino al rischio di guerra civile, con un presidente eletto e un leader emerito che però resta ancorato alla sua poltrona. Le autorità elettorali, controllate dal Governo, hanno certificato la rielezione per un terzo mandato del presidente uscente Maduro con il 51,2 per cento. La proclamazione è stata immediata, nonostante la mancata divulgazione dei conteggi ufficiali. E la coalizione di opposizione rivendica la vittoria di Edmundo González, che avrebbe ottenuto alle Presidenziali uno schiacciante 70 per cento delle preferenze. Tutto questo, supportato dalla denuncia di brogli dei funzionari elettorali governativi. La risposta del Governo? È stata colpa di un “massiccio attacco informatico al sistema di trasmissione dei dati” del Consiglio nazionale elettorale. Sarebbe questo, ufficialmente, il motivo del ritardo nella diffusione delle percentuali reali. Ma il popolo venezuelano, che sa bene chi ha votato, ci crede ben poco. Anche perché Freddy Superlano, coordinatore nazionale del partito d’opposizione Voluntad Popular – e personalità diventata scomoda, guarda caso, domenica scorsa – è stato arrestato.

Il sentimento nazionale si è subito tradotto in proteste spontanee. Che hanno invaso le vie di Caracas e di altre città del Venezuela. La polizia in tenuta antisommossa, con sfollagente e proiettili di gomma, ha provato a contenere le manifestazioni. Ma la forza dirompente del popolo è troppa, e quindi gli scontri violenti hanno causato diversi arresti – secondo il procuratore sarebbero almeno 749 – e un morto. La vittima sarebbe di Maracay, a 120 chilometri dalla capitale del Paese. La Procura nazionale ha quindi vietato le proteste, e gli arrestati potrebbero passare più di 20 anni in carcere, con l’accusa di “incitamento all’odio”. Il manifestante tipo, per il presidente Maduro, ha “due caratteristiche: è in avanzato stato di tossicodipendenza ed è armato”. Il Governo ha paura, ma non schioda dalle sue posizioni ufficiali.

“Siamo di fronte a una controrivoluzione violenta”, ha dichiarato Nicolás Maduro. “Ci sono i gringos, è un colpo di Stato made in Usa”, ha aggiunto il presidente che si aggrappa al suo terzo mandato gridando al golpe voluto da Washington. In realtà, gli Stati Uniti – come anche l’Italia e il resto del mondo occidentale – vorrebbero solo conoscere il reale esito delle elezioni, così da far instaurare il presidente scelto di diritto dal popolo venezuelano. Come funziona, di solito, nelle democrazie.


di Zaccaria Trevi