La Kabala di Kamala: indovinala grillo!

mercoledì 31 luglio 2024


Quale esoterismo cabalistico potrebbe portare la prima donna di colore alla Casa Bianca? Per ora, il miracolo (antidemocratico?) c’è stato, grazie al clamoroso e inevitabile passo indietro di un acciaccatissimo Joe Biden. Atto quest’ultimo che corrisponde, freudianamente, all’assassinio del padre da parte di tutti i Tartuffe del Partito democratico (blu di vergogna, si spera). Infatti, questi Don Abbondio democratici dal cuore bianco prima hanno fatto finta per anni che il loro candidato, l’anziano Joe Biden, fosse un Ercole in piena forma, per poi, visti i sondaggi catastrofici del recente duello televisivo con Donald Trump, cambiare in corsa (via Covid) “sleepy Joe”. Costretto, come si è visto, a passare il testimone a una non più giovinetta quasi sessantenne, che ribalterà contro Trump l’accusa di essere “lui” fuori età per un candidato alla presidenza. Tuttavia, sono in molti nello stesso campo politico-ideologico della Harris a chiedersi quanto sia “democratica” questa investitura dinastica dall’alto, preferendo (come Barack Obama che, però, non lo dice esplicitamente) che a esprimersi sia la prossima Convention democratica del 19-22 agosto, composta da più di mille delegati. Kamala Harris, quindi, elevata sugli scudi non per merito individuale (come sostengono i suoi detrattori di destra), ma per essere l’alfiere imbattibile del Dei, acronimo del mito wokista, che sta per Diversity, equity and inclusion. Tra l’altro, Dei per i Repubblicani rappresenta l’epitome di tutte le politiche woke che, a loro giudizio, indeboliscono lo spirito dell’America e discriminano i bianchi anche poverissimi.

Del resto, nel corso della Convention repubblicana appena terminata, Trump ha detto chiaramente che darà battaglia sui temi come immigrazione, inflazione e wokeism, che se non risolti rappresenterebbero a suo giudizio un rischio mortale per l’American dream. Bene, e oltre a questo che cosa contiene l’Uovo di Pasqua della attuale vicepresidente? Ha ragione o no quel velenoso nato di The Donald quando la etichetta brutalmente come “incompetente”? Oddio, nella campagna presidenziale del 2016 lo stesso argomento era stato utilizzato (più a ragione) contro di lui, dato che almeno sulla carta oggi Kamala può vantare dalla sua di aver svolto nell’ultimo quadriennio le funzioni di Numero due degli Stati Uniti. Ora, tutto sta a capire “come” le ha svolte quelle funzioni. Ma questo è tutto un altro discorso, che richiederebbe la freddezza del politologo, mentre qui la lite tra la neo-coppia si articolerà in una campagna elettorale in cui abbonderà la semina delle paure reciproche. In materia, infatti, i Democratici non sono da meno dei loro alter ego Repubblicani, con le denunce urbi et orbi dei rischi (del tutto ipotetici) che un trumpismo vittorioso comporterebbe per la difesa dell’aborto e delle garanzie democratiche. In sintesi, Trump viene raffigurato dai suoi avversari come un potenziale dittatore che attenterebbe ai diritti e alle libertà fondamentali dei cittadini americani. Sul piano concreto, è vero che la Convention repubblicana ha dato molto spazio ai temi dell’immigrazione, con storie di stupri e di violenze commesse dagli immigrati irregolari a danno di incolpevoli cittadini americani.

In merito, ha avuto un sostegno plebiscitario la proposta di Trump di procedere a “espulsioni di massa” (questo il significato giuridico di “deportation”) degli immigrati irregolari, che non hanno titolo per restare nel territorio statunitense, facendo ricorso alla Guardia nazionale e alla moltiplicazione dei centri di espulsione. Ed è sul tallone di Achille dell’immigrazione che i Repubblicani sono intenzionati a insistere, dando tutta la colpa alla Harris (definita il fallimentare “Zar anti-immigrazione” scelto da Biden) per il mancato contenimento dell’assalto alle frontiere da parte dei migranti sudamericani, provenienti per lo più dal Messico. Il terzo elemento su cui si concentrerà la “fear campaign” (campagna della paura) dei Repubblicani sarà il tema della guerra, dato che, se non risolto, il conflitto ucraino potrebbe portare a una Terza guerra mondiale. E qui Trump ha però tenuto coperte le sue carte, pur vantandosi di essere il vero deus-ex-machina in grado di tenere a bada i nemici dell’America, e il solo capace di evitare che gli Usa vengano trascinati in un confronto diretto con la Russia. Il terzo cavallo di battaglia dell’ex presidente è il ritorno di fiamma dell’inflazione, che ha colpito con particolare durezza la spesa alimentare delle famiglie, aumentata del 25 percento negli ultimi quattro anni.

Per non lasciare facile spazio alla Harris sulla difesa dell’aborto, di recente i sostenitori di Trump hanno messo in secondo piano l’argomento, ben sapendo che la maggioranza degli americani è favorevole al suo mantenimento, sulla base delle leggi dello Stato di appartenenza. Così come i Repubblicani hanno inserito la sordina sul “grande giorno” del 6 gennaio 2021 della rivolta contro le élite e l’occupazione del Congresso Usa, proprio per sfilare dalle mani dei democratici la carta vincente del rischio di dittatura, nel caso di una nuova vittoria di Trump. Dalla parte di Harris potrebbe invece giocare la sua nota esperienza di Procuratore generale della California, per mettere pubblicamente sotto accusa Trump, riportando in prima linea i suoi guai giudiziari. Del resto, fu proprio Kamala da senatore a creare imbarazzo a Biden nel 2019, con le sue domande incalzanti a proposito di una sua collaborazione negli anni 70 con esponenti segregazionisti, contrari alla “desegregazione” del trasporto scolastico. Da lì, la Harris divenne famosa con le sue “cross-examinations” in qualità di componente del Judiciary Committee. Insomma, chi vincerà dei due in questa poco onorevole gara della paura, per ostacolare il successo elettorale dell’una o dell’altro?


di Maurizio Guaitoli