Dall’Amministrazione Biden altri 100 milioni di dollari al terrorismo

mercoledì 31 luglio 2024


Niente illustra meglio la perversità dell’atteggiamento dell’amministrazione Biden nei confronti del conflitto di Gaza: mentre Washington limita le esportazioni di armi a Israele, gli Stati Uniti incrementano gli aiuti a favore dell’Autorità Palestinese.

Una delle lezioni più importanti che gli Usa avrebbero dovuto imparare dal letale attacco terroristico di Hamas contro Israele del 7 ottobre, in cui 1.200 israeliani sono stati assassinati e più di 250 sono stati presi prigionieri e tenuti in ostaggio a Gaza, è che le donazioni di aiuti umanitari effettuate da donatori stranieri finiscono immancabilmente per essere utilizzate per finanziare i terroristi palestinesi.

Prima del 7 ottobre, alcuni dei principali sostenitori di Hamas, come l’Iran e il Qatar, avevano inviato centinaia di milioni di dollari a Gaza, sostenendo che sarebbero stati impiegati per scopi umanitari, come il finanziamento di scuole e ospedali.

Invece, sono stati utilizzati da Hamas per costruire a Gaza l’incredibile rete di tunnel sotterranei che ha permesso al gruppo terroristico di portare a termine il peggiore attacco terroristico che Israele abbia mai subito nella sua storia.

Nonostante il presidente degli Stati Uniti Joe Biden abbia alla fine deciso di ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca in favore della vicepresidente Kamala Harris, la sua amministrazione continua a sostenere la politica finalizzata a elargire sussidi ai gruppi palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, senza alcuna garanzia che i fondi saranno impiegati per scopi umanitari e non per finanziare il terrorismo.

Con un tempismo maldestro, l’amministrazione Biden ha annunciato il suo ultimo pacchetto di aiuti da 100 milioni di dollari a favore dei palestinesi, proprio mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si preparava a partire per la sua visita a Washington la scorsa settimana.

In una nota diffusa dall’Usaid si legge che il nuovo finanziamento servirà a coadiuvare il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, oltre a fornire “supporto logistico per la distribuzione sicura ed efficiente di aiuti umanitari salvavita in tutta Gaza”. L’agenzia statunitense che fornisce assistenza economica e umanitaria ha affermato che il finanziamento aggiuntivo porta il totale dei contributi elargiti dagli Stati Uniti ai palestinesi dall’inizio della guerra a oltre 774 milioni di dollari.

Mentre i funzionari dell’Usaid biasimano Israele e la guerra in corso a Gaza per aver ostacolato che la consegna di generi di prima necessità ai civili palestinesi, il vero colpevole è Hamas, che controlla tutte le reti di distribuzione. Ciò significa che gran parte degli aiuti viene destinata e distribuita a coloro che sostengono le sue operazioni terroristiche.

Una delle principali ragioni per cui l’esercito statunitense è stato costretto a desistere dall’obiettivo di consegnare aiuti a Gaza utilizzando un molo galleggiante appositamente costruito al largo della costa di Gaza è data dalle difficoltà incontrate nel far arrivare gli aiuti ai civili palestinesi, poiché Hamas  controllava le reti di distribuzione degli aiuti.

Nonostante le evidenti prove che gli aiuti forniti dagli Stati Uniti ai palestinesi, insieme alle donazioni effettuate da altre nazioni occidentali, non vengono utilizzati per gli scopi umanitari designati, l’amministrazione Biden sembra determinata a mantenere la sua politica di aiuti.

Inoltre, né Biden né Harris sono andati ad accogliere Netanyahu all’aeroporto di Washington D.C., il 22 luglio scorso, e Kamala Harris, ora candidata alla presidenza, non ha assistito al discorso del premier israeliano al Congresso.

Che la decisione di annunciare il nuovo pacchetto di aiuti sia stata un deliberato affronto a Netanyahu alla vigilia della sua visita a Washington o semplicemente un pessimo tempismo, il fatto che la Casa Bianca sembri più interessata a inviare aiuti ai palestinesi (molto probabilmente ai terroristi) che a sostenere Israele, alleato di lunga data degli Stati Uniti, mette in luce le sconcertanti priorità dell’amministrazione Biden sulla questione di Gaza.

Il mese scorso, Netanyahu ha affermato che l’amministrazione Biden stava deliberatamente trattenendo le forniture di armi da Israele nel tentativo di fare pressione sullo Stato ebraico affinché accettasse il suo ultimo piano di cessate il fuoco per Gaza, un piano che finora è stato respinto da Hamas.

Che cosa ha promesso l’amministrazione Biden a Hamas? Nulla? O una mera ricompensa per l’intransigenza che ammonta a 100 milioni di dollari dei contribuenti americani? La tesi è che il denaro viene elargito dalle agenzie di aiuti umanitari per distribuirlo ai gazawi, ma Hamas controlla le reti di distribuzione.

Un cessate il fuoco per Israele significherebbe lasciare sul posto diversi battaglioni di terroristi di Hamas, pronti a riorganizzarsi, riarmarsi e attaccare nuovamente lo Stato ebraico.

Rivolgendosi al governo israeliano un mese fa, Netanyahu ha asserito che si era verificato un “drammatico calo” nella fornitura di armamenti statunitensi per lo sforzo bellico di Israele a Gaza.

Il premier israeliano ha anche detto al suo governo che il calo era iniziato quattro mesi prima, senza specificare di quali armamenti si trattasse, affermando solo che “alcune armi sono arrivate sporadicamente, ma ci sono ritardi nella consegna delle munizioni in generale”.

L’amministrazione Biden, che dall’inizio dell’anno preme per un cessate il fuoco, continua ad essere fortemente critica nei confronti della gestione della guerra a Gaza da parte di Israele, sostenendo che è responsabile di troppe morti tra i civili.

La risposta di Israele è che Hamas, che governa la Striscia di Gaza, fornisce deliberatamente cifre fuorvianti sul numero delle vittime tra i civili nell’ambito della sua guerra di propaganda contro gli israeliani.

L’obiettivo principale del viaggio di Netanyahu, durante il quale ha tenuto il suo primo discorso al Congresso dal 2015, è stato quello di ravvivare il sostegno tra i legislatori statunitensi all’offensiva militare di Israele, volta a raggiungere la completa distruzione di Hamas come organizzazione terroristica e di discutere della minaccia emergente delle armi nucleari iraniane.

Il 19 luglio scorso, il Segretario di Stato Antony Blinken, parlando del programma nucleare iraniano, ha affermato: “Invece di essere ad almeno un anno di distanza dall’avere la capacità di produrre materiale fissile per un’arma nucleare, [l’Iran] è ora probabilmente a una o due settimane di distanza dal riuscirci”.

Nel 2002, l’ex presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani definì Israele, che è più piccolo dello Stato del New Jersey, un Paese che può essere colpito con una sola bomba: “L’uso di una bomba nucleare su Israele non lascerà nulla al suolo, mentre danneggerebbe soltanto il mondo islamico”.

Nel tentativo di riconquistare il sostegno degli Stati Uniti alla campagna militare di Israele, il premier israeliano si trova chiaramente ad affrontare una dura lotta, a giudicare dall’accoglienza (o dalla mancanza di accoglienza) che ha ricevuto al suo arrivo a Washington.

Questa accoglienza glaciale sembra un retaggio dell’amministrazione Obama. L’allora presidente Barack Obama sembrava credere, nonostante tutte le prove contrarie, che l’Iran espansionista dotato di bombe nucleari fosse una buona idea, ma “non finché ci sono io”. Le cosiddette “sunset clauses” (le clausole che prevedono che i vincoli imposti al programma nucleare iraniano dall’accordo scadano dopo 10 anni, ndr)  nel suo ingiusto “accordo sul nucleare, il Joint Comprehensive Plan Of Action (Jcpoa) del 2015, consentono quindi all’Iran, dopo alcuni anni di avere legittimamente tutte le bombe nucleari che riesce a produrre.

Obama avrebbe detestato Netanyahu perché evidentemente era preoccupato che un Iran dotato di armi nucleari potesse rappresentare una minaccia esistenziale non solo per Israele, ma anche per i suoi vicini arabi nella regione. Infatti, Teheran, le sue milizie e i suoi proxies terroristi, più di recente gli Houthi nello Yemen, hanno, anche senza armi nucleari, attaccato  Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, così come sono stati sferrati di recente almeno 150 attacchi alle forze statunitensi nella regione (come avvenuto in una base militare statunitense in Giordania e nel Golfo di Aden). presumibilmente in modo che l’Iran potesse avere il Golfo tutto per sé.

Biden avrà pure deciso di non ricandidarsi, ma finché la sua amministrazione rimarrà al potere, sembrano esserci poche prospettive che si verifichi una drastica revisione del suo atteggiamento deliberatamente gelido (e potenzialmente pericoloso) non solo nei confronti dell’offensiva di Israele contro Hamas a Gaza, ma anche riguardo all’aver chiuso un occhio sulle armi nucleari destabilizzanti dell’Iran, forse pronte a breve, con i missili adatti per trasportarle in Medio Oriente, in Europa e, dall’America Latina e dai Caraibi, negli Stati Uniti.

(*) Tratto dal Gatestone Institute

(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Con Coughlin (*)