lunedì 29 luglio 2024
Il Venezuela si risveglia dalle presidenziali come una bomba ad orologeria (politica) pronta a esplodere. Durante le prime ore del crepuscolo, gli abitanti della Repubblica Bolivariana gioivano nelle strade e nelle piazze per la vittoria di Edmundo González Urrutia, il capo dell’opposizione a Nicolás Maduro. I venezuelani non riuscivano a contenere l’entusiasmo per l’apparente crollo della tirannide socialcomunista, per l’arrivo della tanto agognata libertà, per il ritorno dello stato di diritto in un Paese traumatizzato dai soprusi. Il distacco tra i due appariva incolmabile, ma lo scrutinio “sorvegliato” dai funzionari del regime ha infranto i sogni del popolo, incoronando Nicolás Maduro con il 51,2 per cento (4.445.978 voti). Il Consiglio Nazionale Elettorale ha convalidato la sua nomina: ora il despota seguace di Hugo Chávez si appresta al terzo mandato. Le forze democratiche denunciano le numerose irregolarità dello spoglio e hanno cominciato a protestare.
Le vicissitudini di Caracas possono sembrare paradossali, ma non devono sorprendere gli osservatori europei. Maduro ha concepito una strategia chirurgica per capovolgere il verdetto dei cittadini, che hanno premiato i liberaldemocratici guidati dall’ambasciatore Edmundo González Urrutia e dall’attivista per i diritti umani María Corina Machado con una maggioranza plebiscitaria (le prime stime suggerivano una forchetta compresa tra il 65 per cento e il 70 per cento delle preferenze per la Piattaforma Unitaria di González Urrutia, più del doppio del Grande Polo Patriottico dell’autocrate Maduro). Non appena ha compreso che l’opposizione era in netto vantaggio, il dittatore venezuelano ha intimato alle gang di motociclisti armati che lo coadiuvano di ostacolare le operazioni di voto rubando le urne, falsificando i registri elettorali e impedendo alle persone di recarsi fisicamente ai seggi in tutto il Paese. I sodali di Maduro hanno avallato metodi violenti e intimidatori contro chiunque manifestasse il proprio dissenso al sanguinario regime chávista – ergo, la popolazione nel suo complesso, stremata da un tasso di povertà che oggi sfiora l’82 per cento. I dati tecnici forniti dal governo risultano aritmeticamente inattendibili. La somma dei partiti è addirittura superiore al 130 per cento e gli otto candidati minori hanno ottenuto la medesima percentuale, pari al 4,6 per cento. Maduro avrebbe sorpassato lo sfidante democratico raddoppiando i suoi consensi con una falsificazione capillare del voto.
Le reazioni internazionali sono state molteplici. I leader dei Paesi ideologicamente affini al Venezuela, come Nicaragua, Cuba, Honduras e Bolivia, si sono già congratulati con il “vincitore” per la sua “riconferma” a furor di popolo. Abbastanza inconsueto il silenzio del resto dell’Iberosfera. Il premier spagnolo Pedro Sánchez non è pervenuto, così come il presidente colombiano Gustavo Petro e la neoeletta messicana Claudia Sheinbaum, che ancora non si sono pronunciati sulle presidenziali farsa. Nessuna dichiarazione dal presidente brasiliano Ignacio Lula, mentre il cileno Gabriel Boric si è espresso con estrema freddezza. L’unica voce controcorrente in America latina è quella di Javier Milei, uno strenuo sostenitore della liberazione del Venezuela dai germi del collettivismo. Il presidente dell’Argentina ha tuonato così: “DITTATORE MADURO, AFUERA! I venezuelani hanno scelto di porre fine alla dittatura comunista di Nicolás Maduro. I dati annunciano una vittoria schiacciante per l’opposizione e il mondo attende che questa riconosca la sconfitta dopo anni di socialismo, miseria, decadenza e morte. L’Argentina non riconoscerà un’altra frode e spera che le Forze Armate questa volta difendano la democrazia e la volontà popolare. La libertà avanza in America Latina”. Gli fa eco il magnate di Space-X e Tesla, Elon Musk, che ha diffuso le immagini dei gruppi criminali intenti a irrompere nei seggi elettorali.
Il comunicato sibillino dell’imminente nominee Dem, Kamala Harris, si segnala per l’ambiguità e la reticenza nel denunciare i brogli. Afferma che “gli Stati Uniti sono al fianco del popolo venezuelano, che ha espresso la propria voce nelle storiche elezioni presidenziali di oggi. La volontà del popolo venezuelano deve essere rispettata. Nonostante le numerose sfide, continueremo a lavorare per un futuro più democratico, prospero e sicuro per il popolo venezuelano”. È chiaro che l’ex procuratrice di San Francisco si stia arrampicando sugli specchi per non scontentare le frange massimaliste del suo elettorato. Che dire: le abilità retoriche di Kamala Harris sono paragonabili alle dissertazioni schleiniane sui “cicli circolari della circolarità”.
Il ministro degli esteri Antonio Tajani conferma le “molte perplessità sul regolare svolgimento delle elezioni in Venezuela”; esige, inoltre, “risultati verificabili ed accesso agli atti”. La succursale del regime maduriano in Italia, il Movimento 5 Stelle, ha accusato gli esponenti di Fratelli d’Italia di non essersi limitati a chiedere la massima trasparenza nella verifica dei risultati, ma di aver preteso che l’Unione europea decretasse a priori l’illegittimità dei risultati. “Invece di soffiare sul fuoco di una situazione già esplosiva, mettendo a rischio anche i circa 150 mila italiani residenti nel Paese, è auspicabile un approccio più responsabile che punti a una soluzione pacifica di questa nuova crisi politica in Venezuela”, ha chiosato in modo incendiario il partito di Giuseppe Conte. I timori per le fantomatiche escalation sono comuni in casa pentastellata: i grillini confondono la diplomazia con la resa incondizionata ai tiranni. Cosa ne penseranno gli abitanti del Venezuela?
di Lorenzo Cianti