venerdì 26 luglio 2024
La strategica opera di normalizzazione dei rapporti di Israele con alcuni Stati arabi, sta vacillando sotto gli effetti, previsti, della ormai troppo lunga guerra tra lo Stato ebraico e Hamas. Oltre all’isolamento progressivo che sta subendo Israele a livello internazionale, anche se attenuato da interessi economico-strategici che superano ogni concetto ideologico e ogni violenza, emergono anche frequenti manifestazioni di rifiuto verso i rapporti che lo Stato ebraico ha sottoscritto con varie nazioni. Tra questi anche le recenti ribellioni nate nell’ambito delle università marocchine contro le relazioni culturali con Israele. Ricordo che il Marocco nel 2020 ha sottoscritto gli “Accordi di Abramo”. Tali accordi hanno prodotto l’avvicinamento di Israele, oltre che con il Marocco, anche con Emirati arabi Uniti, Bahrein, Sudan; precedentemente fu sottoscritta la normalizzazione dei rapporti con Egitto (nel 1979) e Giordania (nel 1994). Infatti, in Marocco si stanno conclamando forme di protesta, senza troppi proseliti, da parte di studenti e docenti marocchini contro i rapporti culturali in essere con lo Stato di Israele.
Questa protesta è iniziata con una lettera inviata il 27 maggio al preside dell’Um6p, Politecnico Mohammed VI di Rabat, firmata da oltre milleduecento studenti e laureati, che hanno chiesto l’interruzione degli accordi di partenariato sottoscritti dall’Um6p con otto università israeliane. Secondo gli studenti gli accordi sviluppano programmi di ricerca dove i servizi di sicurezza dello Stato ebraico, come l’Istituto per gli studi sulla sicurezza interna dell’Università Ben-Gurion del Negev, operano con il fine di produrre tecnologia anche a uso militare. Questa ipotesi, denunciano i firmatari che si sono aggregati in un movimento contro questa cooperazione accademica, legherebbe detta collaborazione agli atti di violenza giudicati crimini di guerra e in flagrante violazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese e dei diritti umani in generale.
Inoltre, gli studenti chiedono la fine della collaborazione tra l’Ocp, Office chérifien des phosphates – società leader mondiale per la produzione di fosfato – e i suoi partner israeliani, in quanto esiste un accordo di studi e ricerca scientifica e tecnologica tra il Politecnico e l’Ocp, per lo sviluppo di una nuova molecola per il trattamento dei metalli pesanti nell’acido fosforico. Quindi una trasversalità di collaborazione tra università israeliane, il Politecnico e l’Ocp. Gli studenti promotori della protesta, che rappresentano solo un quinto della totalità dell’Um6p, sono stati ricevuti a fine giugno da un membro del Consiglio direttivo del Politecnico, che è anche mediatore del gruppo Ocp. Risulta che il colloquio sia stato piuttosto freddo e il referente dell’Università si è mostrato scettico sul complesso della protesta, facendo intendere che la decisione di rompere con le otto università israeliane, non poteva essere presa dalla dirigenza dell’Um6p. Inoltre, dopo un colloquio con il direttore dell’Ocp, non sono state date risposte confortanti agli studenti.
Tuttavia, anche se queste proteste hanno sollevato pochi riscontri pratici, alcune università per il timore di manifestazioni plateali in circostanze pubbliche, come le sessioni di laurea, hanno deciso di rimandare la data delle discussioni delle tesi. I timori si sono basati sulla certezza che gli studenti, come protesta, avevano assicurato che avrebbero indossato simboli filo-palestinesi, come accaduto presso la Facoltà di lettere e scienze umane Flsh, dell’Università Mohammed V di Rabat. O come alla Facoltà di scienze Ben M’Sik di Casablanca, dove il preside si è rifiutato di conferire la lode a una laureanda perché al momento della discussione della tesi indossava una kefiah. In risposta alla “politica ufficiale marocchina”, ci sono state le reazioni di alcune associazioni di ricerca, come l’Unione dell’Istruzione superiore e scientifica marocchina, e lo Iav, Istituto agronomico e veterinario Hassan II di Rabat, uno dei più grandi istituti di formazione del Marocco.
Senza dubbio la questione di Gaza e Cisgiordania pesa nella protesta generalizzata espressa dagli studenti e da alcuni docenti; ma leggendo le motivazioni dell’Istituto di ricerca agronomico veterinario Hassan II, dove si lamenta che i rapporti di cooperazione agricoli che intrattiene il Marocco con Israele da più di trent’anni, non hanno migliorato gli aspetti di mercato e produttivi del Marocco, in quanto rimasto un semplice mercato di vendita di prodotti in ingresso israeliani, rivela altri scenari. In effetti, le lagnanze fanno riferimento al fatto che non c’è stato un reale trasferimento della tecnologia israeliana in ambito agronomico al Marocco, e che lo Stato nordafricano soffre ancora di un’estrema dipendenza dalle sementi di ortaggi e dalle attrezzature a goccia e di irrigazione in generale. Come accade spesso, la questione ideologica funge da motivazione ufficiale per recriminare aspetti prettamente commerciali. In questo caso, tecnologia strategica agricola, legata comunque al commercio. Così, la tragedia di Gaza e la sua espressione esterna, manifestata, in queste ultime settimane, con la simbologia filopalestinese dagli studenti marocchini che chiedono l’interruzione dei rapporti culturali interuniversitari con Israele, riveste essenzialmente un utopico effetto simbolico, ma che a livello relazioni bilaterali è semplicemente irrilevante. Gli interessi economici e strategici sovrastano gli aspetti tragici, non solo in Marocco ma anche in altre nazioni arabo-musulmane.
di Domiziana Fabbri