Decolonizzare la Russia per la pace

venerdì 19 luglio 2024


L’assemblea parlamentare dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce-Pa), al termine dei lavori della trentunesima sessione annuale svolta a Bucarest, ha affermato ‒ nella dichiarazione finale ‒ che “la decolonizzazione della Federazione Russa è una condizione necessaria per una pace sostenibile”.

La questione della politica coloniale del Cremlino rimane rilevante oggi, e una discussione più ampia su questa realtà presente da tempo sulla scena internazionale è forse tardiva. Nel 1992, molte figure occidentali salutarono la “rinascita di una Russia libera” dalle rovine dell’ex Unione Sovietica. Non si accorsero, tuttavia, che quell’autunno segnò la rinascita dell’impero. Il Cremlino di Boris Eltsin non si limitava a voler governare il territorio della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. Quasi immediatamente iniziò a imporre la sua influenza politico-militare su altri Paesi post-sovietici, annettendo di fatto territori, tra cui la Transnistria in Moldova e l’Abkhazia in Georgia. Queste azioni differivano in modo rilevante dalla perestrojka di Mikhail Gorbaciov che aveva ipotizzato un nuovo trattato di unione tra le diverse repubbliche. Nella “nuova Russia”, gli accordi volontari non erano più un’opzione. L’obiettivo era solo l’espansione neo-imperiale.

Nel 1992 in Russia venne firmato il Trattato Federativo. Il trattato in sé, tuttavia, non dava vita ad una federazione paritaria, ma rappresentava solo una piccola delega di poteri alle regioni concessa dal Cremlino.

La Repubblica cecena di Ichkeria rifiutò di firmare il trattato per non diventare legalmente parte della Federazione Russa. Già nel 1994, Eltsin iniziò una guerra coloniale contro quella repubblica, inviando carri armati e bombardando città pacifiche, dando inizio alla prima guerra cecena. La comunità internazionale non ha reagito con sufficiente forza, il che ha dato mano libera al Cremlino per ulteriori violenze ed espansioni, praticamente senza dover temere alcuna ritorsione.

La guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina non è iniziata “all’improvviso”. Rappresenta il logico risultato dell’evoluzione neo-imperiale della politica della Russia post-sovietica. Dall’inizio della guerra in Ucraina il tema della decolonizzazione russa è diventato sempre più popolare. Numerosi analisti hanno commentato questo “nuovo colonialismo” e formulato idee per decolonizzare la Russia. Molti analisti, tuttavia, commettono ancora l’errore di considerare i russi come “colonizzatori” e i popoli non russi come “colonizzati”. A ben vedere, il fattore etnico viene probabilmente sopravvalutato. Nella Russia di oggi, circa l’80 per cento della popolazione si definisce etnicamente russa nel censimento. Pertanto, il futuro della Russia dipenderà inevitabilmente dalla loro opinione e non solo dal 20 per cento delle varie minoranze nazionali.

Tutti i russi di etnia non possono essere etichettati come colonialisti poiché le regioni russe, rappresentate dalle repubbliche nazionali, sono esse stesse colonie di Mosca. Dall’altro canto, in tali repubbliche il colonialismo russo è vissuto con maggiore forza poiché si accompagna alla soppressione delle lingue e delle culture locali. Questa è proprio la politica imperiale del Cremlino. Gli stessi russi etnici in varie regioni della Russia non sono affatto il “monolite politico” che la propaganda di Mosca ci propina. Oggi la propaganda imperiale cerca di dipingerli come tali, ma è solo una delle tante alterazioni della realtà proposte dalla narrazione russa.

Alexander Etkind, professore presso l’Istituto Universitario Europeo, nel suo libro Internal Colonization: Russia's Imperial Experience (Colonizzazione interna: l’esperienza imperiale russa) dimostra che la politica coloniale iniziò nel XII secolo e si sviluppò nel XV secolo con la dottrina della “raccolta di terre intorno a Mosca”. Inoltre, le prime vittime del colonialismo moscovita non furono altri gruppi etnici ma, tra gli altri, i principati indipendenti russi di Tver, Ryazan e Novgorod. Questa politica ipercentralista continua ancora oggi in cui Mosca parla in modo monopolistico “per conto di tutti i russi”.

Il Cremlino ha l’abitudine di capovolgere tutto per adattarlo alla propria narrativa. Oggi accusa i Paesi occidentali di “colonialismo”, ignorando come il suo stesso impero sia stato costruito sul tipico saccheggio coloniale delle regioni russe da parte di Mosca. Vasily Fomin, economista della Repubblica di Carelia, sostiene che la vera decolonizzazione della Russia può iniziare solo con l’eliminazione dell’ipercentralismo economico di Mosca, in cui la maggior parte delle risorse e delle tasse di tutte le regioni vanno alla capitale. Questo però non può accadere con gli slogan etnici a favore della decolonizzazione. Oggi, per quanto paradossale possa sembrare, molti sostenitori delle culture etniche non russe sostengono la guerra del Cremlino contro l’Ucraina.

Un’interpretazione etnica della decolonizzazione, ad esempio “non russi contro russi”, potrebbe compromettere ogni possibilità di una “pace sostenibile”, come ipotizza la dichiarazione dell’Osce. Un simile approccio potrebbe produrre esattamente il contrario, vale a dire la diffusione della guerra e dell’instabilità in tutta l’Eurasia. Pertanto, la cautela di alcuni politici occidentali riguardo allo slogan “crollo della Russia” è abbastanza comprensibile. In alternativa, i politici occidentali potrebbero sostenere l’autogoverno democratico nelle regioni della Russia e tenere lì elezioni veramente libere. Potrebbero esigere che la Russia aderisca ai principi della federazione poiché mantiene ufficialmente questo nome. Tuttavia, la questione su come implementare correttamente questo processo rimane senza risposta. La soluzione su come attuare questo tipo di politiche è un problema comune a tutte le risoluzioni dell’Osce: possono essere corrette e utili quanto si desidera, ma non esiste alcun meccanismo per la loro concreta attuazione se il Cremlino si oppone. Come è ovvio che accada.

Se davvero si vuole ottenere la decolonizzazione della Russia, l’unica strada possibile passa dalla sconfitta di Mosca in Ucraina. Oggi, alcuni propongono un “congelamento” del conflitto lungo le attuali linee del fronte, definendo questa ipotesi un “Piano di pace”. Questa proposta, non solo è irricevibile per vizio di illogicità, ma ritarderebbe inevitabilmente anche la decolonizzazione della Russia.

Quando il regime del Cremlino inizierà a sgretolarsi a seguito del fallimento della folle guerra di aggressione contro l’Ucraina, questo porterà anche alla decolonizzazione della Russia. Diversamente, la questione del colonialismo russo resterà, ancora una volta, irrisolta.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza


di Renato Caputo (*)