giovedì 18 luglio 2024
Nelle ultime settimane, la Cina ha schierato la sua flotta navale sia nelle acque circostanti che in quelle più lontane.
E cosa ancor più significativa, la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione ha inviato due gruppi d’attacco nel Mar Cinese Meridionale. Il più grande, quello della portaerei Shandong, ha operato al largo di Luzon, la principale isola delle Filippine, prima di transitare nel Pacifico occidentale per operazioni di volo in acque blu. L’altro gruppo d’attacco è un Expeditionary Strike Group, guidato da una nave d’assalto anfibio di tipo 075, classe Yushen, una delle più grandi e avanzate della Cina. Quattro incrociatori cinesi di tipo 055, classe Renhai, descritti come “l’unità combattente di superficie più letale al mondo”, hanno scortato i due gruppi d’attacco.
La più recente portaerei cinese, la Fujian, ha effettuato la terza serie di prove in mare.
Cina e Russia hanno dato il via ad una esercitazione navale congiunta denominata “Exercise Joint Sea-2024” presso il porto di Zhanjiang, nella provincia meridionale del Guandong, quartier generale della flotta del Mare del Sud della Marina cinese.
Secondo il Ministero della Difesa Nazionale di Taiwan, 56 aerei, il numero più alto mai registrato in un solo giorno, sono entrati nella zona di identificazione della Difesa aerea taiwanese, alcuni dei quali si sono avvicinati fino a 33 miglia nautiche della punta meridionale dell’isola principale di Taiwan, mentre altri 10 aerei cinesi sono stati rilevati al di fuori della zona.
La nave della Guardia costiera cinese Ccg 5901, soprannominata “il Mostro” per via del suo dislocamento di 12 mila tonnellate, è stata avvistata nei pressi di Sabina Shoal [una secca che fa parte delle Isole Spratly, N.d.T.], vicina alle coste delle Filippine, nel Mar Cinese Meridionale.
Infine, quattro navi da guerra cinesi hanno transitato nelle vicinanze delle isole dell’Alaska, restando fuori dalle acque territoriali, ma spingendosi nella Zona Economica Esclusiva (Zee) degli Stati Uniti, la porzione di mare [adiacente alle acque territoriali] che si estende tra le 12 e le 200 miglia nautiche dalla costa. Come ha detto al Gatestone James Fanell, co-autore di Embracing Communist China: America's Greatest Strategic Failure, questa è la quinta volta dal 2015 che la Cina invia navi da guerra all’interno della ZEE americana.
“Nelle ultime due settimane, il Partito Comunista Cinese ha dimostrato alla regione, e cosa ancora più importante a Washington, che la Repubblica Popolare Cinese è padrona dei mari dell’Indo-Pacifico”, ha affermato Fanell, anche lui ex capitano della Marina degli Stati Uniti e direttore dell’intelligence della Flotta del Pacifico.
Perché il presidente cinese Xi Jinping si sta muovendo così velocemente in questo momento per esercitare il controllo sulle acque periferiche? L’eminente analista cinese Willy Lam ha scritto lo scorso ottobre che il leader cinese ravvisa forse un’opportunità irripetibile e quindi ha fretta di annettere il territorio.
A una conferenza tenutasi a giugno di ufficiali militari in una delle basi rivoluzionarie più famose della Cina, Xi avrebbe fatto delle dichiarazioni gravi. “Siamo qui a Yan'an per tenere una riunione militare, preparandoci per una guerra civile”, pare che avrebbe detto. Il testo delle sue osservazioni, ora ampiamente in circolazione, rimane non confermato.
Che dichiari guerra o meno, si sta preparando a farlo. Sia il Financial Times che la Cnn hanno riportato che le aziende hanno creato unità militari all’interno delle loro organizzazioni. “Le aziende cinesi stanno creando milizie come negli anni Settanta”, ha riferito la rete di informazioni via cavo.
Xi è impegnato nel più rapido rafforzamento militare dalla Seconda guerra mondiale. Inoltre, sta epurando ufficiali militari contrari alla guerra, cercando di rendere il suo regime a prova di sanzioni, accumulando grano e altre materie prime, studiando gli Stati Uniti per attacchi con armi nucleari e mobilitando civili alla guerra. Allo stesso tempo, sta riaffermando il controllo statale sull’economia, sui mercati finanziari e pressoché su tutti gli altri ambiti della società. In breve, sta rispolverando i controlli totalitari in Cina.
Tali controlli, tra le altre cose, stanno soffocando l’economia. Il 15 luglio, Pechino ha annunciato una crescita annua del Pil del 4,7 per cento nel secondo trimestre, ma quella cifra è difficile da conciliare con i segnali di un’economia stagnante. Il Paese, ad esempio, sta flirtando con la deflazione, il che è incoerente con la robusta espansione segnalata.
Il problema è che Xi si rifiuta di dare potere ai consumatori in modo che possano creare un’economia basata sui consumi. Perché dovrebbe rifiutare il consiglio quasi unanime di mettere più soldi nelle mani dei comuni cittadini cinesi? Tra le altre ragioni, farlo indebolirebbe i suoi sforzi per costruire un’economia di guerra.
“I propagandisti di Xi Jinping cercano disperatamente di nascondere il fatto che c’è una crescente crisi di fiducia nel suo regime per invertire il declino economico causato dalla re-imposizione delle politiche neo-staliniste dell’era di Mao”, ha detto al Gatestone Charles Burton del think tank Sinopsis, con sede a Praga. “Il suo ripudio dell’agenda progressista di ‘apertura e riforma’ di Deng Xiaoping e dei suoi successori ha portato a una grave spirale discendente. Ciò è accompagnato da una crescente insoddisfazione popolare nei confronti della leadership repressiva del culto della personalità di Xi”.
Xi ha una possibilità, forse l’ultima, di invertire la tendenza. Il Terzo Plenum del Partito Comunista, iniziato il 15 luglio, si tiene una volta ogni cinque anni ed è tradizionalmente dedicato alle questioni economiche. Gli ottimisti speravano che Xi avrebbe segnalato nuove politiche, ma ora le aspettative sono estremamente basse, poiché sembra che raddoppierà invece le iniziative guidate dallo Stato per aumentare gli investimenti nel settore manifatturiero e le spese in infrastrutture.
Le sue politiche economiche enfatizzano la preparazione alla guerra e sembra determinato a portare la Cina in battaglia, indipendentemente dalle prospettive. “Anche se non possiamo vincere, dobbiamo combattere”, pare che Xi abbia detto agli ufficiali militari nel 2017, in relazione a Taiwan.
Perché avrebbe detto una cosa del genere? Dopotutto, la guerra, in particolare quella ai “compatrioti” di Taiwan, sarebbe estremamente impopolare tra gli scontenti cinesi in questo momento.
Credo che Xi voglia la guerra, o almeno un aumento delle tensioni, per impedire ai leader cinesi di alto livello di muoversi contro di lui. Non sta cercando di mobilitare il popolo cinese con azioni provocatorie o addirittura un attacco, ma vuole indebolire gli oppositori politici nel Partito Comunista.
“Se il prossimo Terzo Plenum del Partito Comunista non riuscisse a elaborare misure drastiche per ripristinare la fiducia nella capacità del Partito di cambiare le cose,” ha affermato Burton, il quale è anche un ex diplomatico canadese di stanza a Pechino, “l’unica opzione per Xi per scongiurare la sua inevitabile rimozione dall’incarico sarebbe quella di mettere la Cina su un piede di guerra nazionalistico e impegnarsi in un’azione precipitosa contro Taiwan o qualche altro vicino”.
L’eroe di Xi, Mao Zedong, mobilitò la popolazione cinese con la Rivoluzione Culturale non per ottenere il suo sostegno, ma servendosene per abbattere i leader anziani che avevano complottato per deporlo. Xi potrebbe adottare questa tattica, cercando però una rapida conquista del territorio o forse solo mantenendo alte le tensioni regionali.
La situazione, tuttavia, potrebbe sfuggire di mano, innescando conflitti nella regione, o nel mondo. Xi, purtroppo, potrebbe essere capace di tutto e, se la situazione continua a deteriorarsi, potrebbe non preoccuparsi delle probabilità.
Il presidente cinese potrebbe non aver ancora preso la decisione di entrare in guerra, ma ha chiaramente preso quella di rischiare la guerra. Ciò significa che può colpire quando meno ce lo aspettiamo.
(*) Tratto dal Gatestone Institute
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Gordon G. Chang (*)