I jihadisti brutalizzano le donne non musulmane e le femministe rimangono in silenzio

lunedì 15 luglio 2024


I terroristi di Hamas, sostenuti dall’Iran, hanno invaso Israele il 7 ottobre 2023. Hanno massacrato più di 1200 persone; hanno bruciato vive intere famiglie, torturato e violentato donne, bambini e uomini, e hanno preso in ostaggio circa 250 persone, tra cui bambini e neonati.

Dall’attacco di ottobre, tuttavia, le donne israeliane hanno dovuto affrontare interrogativi e dubbi espressi dalle opinioni pubbliche sulle brutalità e sulle violenze sessuali subite per mano di uomini musulmani di Gaza. Nonostante il silenzio, e talvolta anche la totale negazione, da parte di molte organizzazioni femministe in tutto il mondo, i crimini sessuali di Hamas sono ben documentati. L’Associazione dei centri di crisi sullo stupro in Israele ha pubblicato a febbraio il report “Grido silenzioso – Crimini sessuali nella guerra del 7 ottobre”.

Centinaia di donne israeliane e non solo, ha riportato l’associazione, hanno subito le aggressioni sessuali più raccapriccianti, tra cui stupri, anche di gruppo, mutilazioni e smembramenti, spesso seguiti da uccisioni per mano dei miliziani di Hamas. Molte di queste aggressioni sono avvenute in presenza di amici, partner o familiari delle vittime e numerosi cadaveri sono stati trovati decapitati. Anche la mutilazione degli organi sessuali sia degli uomini che delle donne è stata una pratica comune.

Il rapporto non solo fornisce testimonianze sugli abusi sessuali, le torture e gli omicidi inflitti a uomini, donne e bambini israeliani da Hamas durante l’invasione del 7 ottobre, ma precisa altresì che crimini simili continuano ad essere commessi contro gli ostaggi ancora detenuti a Gaza.

Anche il New York Times ha pubblicato il 28 dicembre scorso un rapporto, basato su 150 interviste a testimoni e primi soccorritori, riprese video e prove fotografiche.

Il 19 giugno, le Nazioni Unite celebrano l’annuale Giornata internazionale contro la violenza sessuale nei conflitti armati. Eppure, le Nazioni Unite hanno impiegato cinque mesi per documentare e condannare i crimini sessuali perpetrati da Hamas il 7 ottobre.

Il 4 marzo, l’Onu ha finalmente pubblicato un report di 23 pagine contenenti le prove del fatto che Hamas ha di fatto commesso diffusi crimini sessuali. Pramila Patten, rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la violenza sessuale nei conflitti armati (e sottosegretario generale delle Nazioni Unite), ha condotto un’indagine di due settimane in Israele dal 29 gennaio al 14 febbraio. Durante questa visita, il suo team ha esaminato più di 5mila foto e ha passato in rassegna 50 ore di riprese audio e video. Il team ha inoltre intervistato più di 30 sopravvissuti e testimoni oculari.

Secondo il report delle Nazioni Unite: “Le interviste alle parti interessate e il materiale esaminato dal team della missione delineano una campagna indiscriminata finalizzata a uccidere, infliggere sofferenze e rapire il massimo numero possibile di uomini, donne e bambini – soldati e civili – nel minor tempo possibile. Le persone venivano freddate, spesso a distanza ravvicinata; bruciate vive nelle loro case mentre cercavano di nascondersi nelle loro safe room; uccise a colpi di arma da fuoco o dalle granate lanciate nei rifugi contro le bombe dove cercavano riparo; e braccate nell’area in cui si stava svolgendo il Nova Music Festival così come nei campi e nelle strade adiacenti al sito del festival. Altre violazioni includevano la violenza sessuale, il rapimento di ostaggi e cadaveri, l’esposizione pubblica di prigionieri, sia morti che vivi, la mutilazione di cadaveri, compresa la decapitazione, e il saccheggio e la distruzione di proprietà civili... Il team della missione ha riscontrato informazioni chiare e convincenti sul fatto che sono state commesse violenze sessuali, tra cui stupri, torture sessualizzate, trattamenti crudeli, inumani e degradanti nei confronti di alcune donne e bambini durante il loro periodo in prigionia e ha ragionevoli motivi per ritenere che queste violenze possano essere ancora in corso... Sulla base della totalità delle informazioni raccolte, ci sono ragionevoli motivi per ritenere che le violenze sessuali legate al conflitto siano avvenute in diverse località”.

Tali crimini riportano alla mente quelli commessi dall’Isis (Stato Islamico) contro cristiani e yazidi durante e dopo la conquista violenta di gran parte dell’Iraq e della Siria nel 2014. La violenza sessuale come strategia militare è stata comunemente utilizzata in tutto il mondo dai terroristi islamici sin dal VII secolo.

Dieci anni fa, l’Isis attaccò yazidi e cristiani in Iraq e Siria, perpetrando massacri e costringendo con la forza a fuggire centinaia di migliaia di non musulmani. Nel giugno 2014, lo Stato Islamico prese il controllo della città irachena di Mosul, per poi proclamare, il 29 giugno di quello stesso anno, un califfato islamico nelle aree controllate dall’organizzazione in Iraq e Siria.

La brutale occupazione dell’Isis a Mosul e nel territorio più ampio fu accompagnata da uccisioni di massa, esecuzioni sommarie, sparizioni, rapimenti, torture e diffuse demolizioni di case di migliaia di residenti, mentre veniva applicata la rigida legge della sharia. I terroristi dello Stato Islamico hanno ucciso, rapito e minacciato un gran numero di persone appartenenti a minoranze etniche e religiose, tra cui cristiani, turkmeni, shabak e yazidi.

Nel 2021, il Center for Holocaust and Genocide Studies of the University of Minnesota ha pubblicato un report intitolato “Violenza di massa e genocidio per mano dello Stato Islamico/Daesh in Iraq e Siria”. Secondo il documento: “Dopo la conquista di Mosul da parte dell’Isis, nel giugno del 2014, ai cristiani venne data la possibilità di convertirsi, pagare le tasse (jizya), andarsene o essere uccisi. Lo Stato Islamico contrassegnò le case cristiane con la lettera araba N che sta per Nasrani, ossia cristiano, che divenne rapidamente un simbolo globale di solidarietà con i cristiani perseguitati. Pochi mesi dopo, nell’agosto del 2014, l’Isis prese il controllo di tutte le città assire nella Piana di Ninive, provocando una seconda ondata di sfollamenti di massa. Oggi, una delle maggiori sfide che i cristiani in Iraq devono affrontare è la questione del ritorno. Anche se la Piana di Ninive è stata liberata dall’Isis, molti cristiani esitano a ritornarvi e temono di farlo, menzionando le rinnovate tensioni tra le varie comunità etnico-religiose”.

Proprio come Hamas ha rapito israeliani e non, lo Stato Islamico ha altresì rapito cristiani e yazidi in Iraq e Siria.

Nel febbraio 2015, i miliziani dell’Isis attaccarono circa 35 villaggi di cristiani assiri che vivevano in una serie di comunità agricole sulle rive del fiume Khabur in Siria. L’ex diplomatico statunitense Alberto M. Fernandez osservava nel 2016: “... 232 di questi assiri, 51 dei quali bambini e 84 donne, sono stati rapiti. La maggior parte di loro rimane prigioniera e pare che l’Isis abbia chiesto 22 milioni di dollari (circa 100mila dollari a persona) per il loro rilascio. Chi non è stato rapito è terrorizzato ed è stato espropriato delle proprie case”.

Un rapporto dell’Unicef e dell’Unami (Missione delle Nazioni Unite di assistenza in Iraq), intitolato “Bambini nati da stupro e bambini nati da padri dell’Isis”, documenta gli stupri e la schiavitù sessuale delle donne appartenenti a minoranze religiose da parte dello Stato Islamico: “Le donne appartenenti a minoranze religiose hanno subito gravi violazioni, tra cui rapimenti, privazione della libertà, trattamenti crudeli e conversioni forzate a un’altra religione, ma la più pericolosa di tali violazioni è stata la schiavitù sessuale, che ha preso di mira in particolare le donne di religione yazida. Nel luglio 2014, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) ha segnalato 11 casi di stupro contro donne cristiane commessi dall’Isis. Altri rapporti hanno indicato che quasi 300 donne cristiane e musulmane sciite (per lo più turkmene) sono state trattenute dai miliziani dello Stato Islamico. Uno studio accademico condotto presso l’Università di Baghdad, riguardante un campione di 200 donne sopravvissute al sequestro da parte dell’Isis, ha mostrato che 169 donne del campione sono state violentate, comprese 39 donne cristiane e 39 donne musulmane (turkmene sciite)”.

Una delle donne cristiane rapite dallo Stato Islamico è Carolyn, di etnia assira e residente nel villaggio di Tel Jazera, nella Siria orientale. Nel 2022, Knox Thames, già inviato speciale per le minoranze religiose presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti durante le amministrazioni Obama e Trumpraccontò il calvario di Carolyn: “Ha sofferto orrori inimmaginabili come ‘moglie’ dell’Isis da quando è stata rapita all’età di 15 anni. (...) I genitori di Carolyn hanno detto che la figlia gridava di terrore mentre veniva trascinata fuori di casa nell’aprile 2015. Pur sapendo il luogo dove è stata portata, al momento non è possibile salvarla. Alla richiesta della sua famiglia e di altri di sensibilizzare l’opinione pubblica sul suo caso, i genitori della ragazza mi hanno detto tramite un interprete: ‘Abbiamo saputo da molte fonti che si trova nel campo di Al-Hol dal 2017’. Al-Hol è un campo per sfollati ubicato in un’area desertica, nella parte orientale della Siria. Si tratta di un campo di prigionia per oltre 60mila persone, molte delle quali sono famiglie sospettate di avere legami con l’Isis o altri simpatizzanti. Secondo quanto riferito, le condizioni del campo sono dure e la criminalità è dilagante. Le maggiori potenze internazionali hanno preferito ignorare questo problema. (...) La famiglia sa che Carolyn è stata comprata e venduta almeno quattro volte. Informazioni indicano che è arrivata ad Al-Hol nell’aprile 2019. Ora ha due figli da questi uomini, un maschio e una femmina. Chi è riuscito a fuggire da Al-Hol ha detto che Carolyn è molto legata ai suoi figli e non se ne andrà senza di loro... ‘Lei è la nostra amata figlia, e sappiamo che è una ragazza innocente perché è stata costretta ad andarsene’, mi hanno detto. ‘La riaccoglieremo a casa in qualsiasi momento con i suoi figli. Viviamo per quel giorno, per abbracciare lei e i suoi figli’”.

Circa due mesi dopo la presa di Mosul, l’Isis invase Sinjar, la patria degli yazidi in Iraq. Come gli assiri, gli yazidi sono una minoranza non musulmana autoctona e perseguitata in Medio Oriente. Gli yazidi affermano di essere stati esposti a un’ondata di 74 attacchi genocidi per mano dei musulmani. L’ultimo, iniziato nel 2014, ha avuto conseguenze devastanti che le vittime continuano ancora oggi a vivere sulla propria pelle. Durante l’occupazione di Sinjar, i terroristi dello Stato Islamico hanno ucciso migliaia di yazidi perpetrando vere e proprie esecuzioni capitali o lasciandoli deliberatamente morire di fame e di sete.

Altre migliaia di donne e bambini yazidi sono stati rapiti, violentati e trasformati in schiavi del sesso. A Sinjar, ci sono ancora più di 80 fosse comuni contenenti corpi di yazidi in attesa di essere portate alla luce. E più di 2.600 donne e minori yazidi rapiti aspettano ancora oggi di essere salvati dalle mani dei terroristi dell’Isis. Più di 180mila yazidi sono senza casa e cercano di sopravvivere nei campi profughi nel Kurdistan iracheno.

Ragazze e donne yazide sono state brutalizzate dai terroristi dell’Isis. Le adolescenti rapite dai terroristi dello Stato islamico in Iraq e in Siria sono state vendute nei mercati degli schiavi “per meno di un pacchetto di sigarette”, ha affermato l’inviata delle Nazioni Unite per i crimini sessuali nella zone di conflitto, Zainab Bangura.

Nel 2015, Radio Free Europe/Radio Liberty riportava quanto segue: “‘Quando conquistano le aree territoriali rapiscono le donne, pertanto, hanno... no, non voglio definirle una nuova fornitura, hanno nuove ragazze’, ha dichiarato la Bangura. Le ragazze vengono vendute ‘per meno di un pacchetto di sigarette’ o per diverse centinaia di dollari, fino ad arrivare a un migliaio di dollari. Dopo aver attaccato un villaggio, l’Isis separa le donne dagli uomini, giustiziando questi ultimi e tutti i ragazzi di età superiore ai 14 anni. Ragazze e madri vengono divise, le ragazze denudate, testate per la verginità, esaminate per le dimensioni del seno e classificate per la bellezza. Le vergini più giovani, e quelle considerate più belle, ottengono prezzi più alti e inviate a Raqqa, roccaforte dell’Isis. In base alla gerarchia dello Stato Islamico, gli sceicchi hanno la prima scelta, seguiti dagli emiri e poi dai miliziani. Spesso se ne prendono tre o quattro ciascuno e le tengono un mese o giù di lì, fino a quando non si stufano e le rispediscono al mercato. Le schiave vengono vendute all’asta, gli acquirenti mercanteggiano sul prezzo, deprezzando il prezzo se le ragazze sono piatte o poco attraenti. ‘Abbiamo saputo di una ragazza che è stata venduta 22 volte e di un’altra, fuggita una prima volta, che ci ha raccontato che uno sceicco dopo averla riacciuffata le ha scritto il suo nome sul dorso della mano per mostrare che lei era di sua proprietà’, ha detto Bangura”.

Il trattamento delle donne yazide, in particolare, è stato caratterizzato da disprezzo e ferocia, ha affermato l’inviata dell’Onu. “Vengono commessi stupri, schiavitù sessuale, prostituzione forzata e altri atti di estrema brutalità”, ha raccontato Bangura. “Siamo venuti a conoscenza del caso di una ragazza di 20 anni che è stata bruciata viva perché si era rifiutata di compiere un atto sessuale estremo”.

In un’intervista al Gatestone Institute, Pari Ibrahim, direttore esecutivo della Free Yezidi Foundation, ha dichiarato: “Non è stato compiuto alcuno sforzo a livello mondiale per aiutarci a identificare e riportare a casa gli oltre 2600 yazidi rimasti dispersi per dieci anni dopo l’inizio del genocidio yazida da parte dell’Isis. Sappiamo che molti dei dispersi potrebbero essere già morti, ma alcuni sono ancora in vita. Si trovano nel campo di Al Hol, in altre parti della Siria e in alcune zone della Turchia. La comunità internazionale si è però arresa, ma noi della comunità yazida non possiamo arrenderci. Sappiamo che molti si trovano in alcune parti della Turchia. Questo perché, purtroppo, la Turchia si è trasformata in un rifugio sicuro per i membri dello Stato Islamico. Probabilmente è l’unico posto, al di fuori di alcune aree della Siria e dell’Iraq, dove si possono trovare miliziani dell’Isis. Sappiamo anche che alcuni sopravvissuti si trovano in varie località della Siria e nel campo di Al Hol, ma attualmente non disponiamo di informazioni su quanti siano vivi e quanti altri siano stati già uccisi, e informazioni del genere richiedono molto impegno e duro lavoro. Purtroppo, il resto del mondo ha fatto poco per aiutare. Credo che la società civile yazida, inclusa la mia organizzazione e altre, potrebbero fare dei progressi su questo argomento se gli interlocutori di tutto il mondo potessero darci una mano. Credo che qualcuno si preoccupi di questo e ci sono alcuni individui che danno il loro contributo, tra cui qualcuno in Iraq e in Siria, ma il più delle volte la comunità internazionale ha pressoché ignorato gli yazidi scomparsi”.

Mentre gran parte del mondo ha abbandonato le vittime yazide e cristiane dell’Isis, alcune organizzazioni e individui sono rimasti al loro fianco. Uno di questi è l’imprenditore canadese Steve Maman, un ebreo di origine marocchina e fondatore della The Liberation of Christian and Yazidi Children of Iraq (Cyci Foundation).

Grazie ai suoi sforzi per aiutare a salvare gli yazidi e i cristiani dalla prigionia dell’Isis, Maman è diventato noto come “lo Schindler ebreo”. L’imprenditore ha documentato le storie di 25mila vittime yazide e cristiane dello Stato Islamico, prestando loro aiuto e contribuendo alla liberazione di 140 prigionieri yazidi in Iraq nonostante le enormi sfide e i grandi ostacoli affrontati.

Steve Maman, partecipando a un panel di relatori ed esperti internazionali nell’ambito della conferenza “The Global Women’s Coalition Against Gender-Based Violence as a Weapon of War”, tenutasi il 20 maggio alla Knesset, il Parlamento israelianoha detto nel suo discorso: “Dopo il 7 ottobre, i media hanno soppresso la vostra storia [di israeliani], arrivando addirittura a sostenere che i [raccapriccianti] fatti non sono mai accaduti, mentre altri li hanno giustificati come necessaria resistenza all’oppressione israeliana. Qualcuno per favore mi dica dove i bambini che sono stati legati e sgozzati costituiscono una resistenza necessaria. L’integrità dei fatti e della verità è stata compromessa, mentre la bussola morale ha puntato in un’altra direzione. Viviamo in un’epoca in cui le persone intelligenti vengono messe a tacere in modo che quelle stupide non vengano offese. C’è un modello deliberato e riconoscibile in gioco qui. I media stanno attivamente sopprimendo i fatti del 7 ottobre per riscrivere la storia secondo la narrazione da loro scelta. Il problema sta nel fatto che la difficile situazione di un ebreo deceduto non cattura l’attenzione delle masse come fanno le storie sensazionalistiche. Per loro, tutto si riduce a likes, visualizzazioni ed introiti. [Il 7 ottobre], durante quegli stupri hanno avuto luogo umiliazioni, mutilazioni e omicidi. Donne stuprate davanti ai loro cari e poi uccise. Coltelli conficcati nelle loro parti intime. Teste scalpate. Chiodi inseriti nelle vagine delle donne. Un dolore indescrivibile deve aver avuto luogo prima della morte. E altro ancora. Ho visto le foto e i video reali. Attaccare persone innocenti e sottoporre ostaggi alla tortura non è un atto di lotta per la libertà né costituisce una guerra degna della collaborazione da parte di coloro che sopprimono la verità in merito a tale violenza disumana. L’obiettivo di Hamas era quello di causare immenso dolore e sofferenza nel perseguimento del suo jihad, consentendo agli orrori di rimanere impressi nella nostra memoria collettiva e nella nostra storia. Il loro successo garantisce che quanto accaduto sarà raccontato per le generazioni a venire. La risposta globale alle vittime dell’Islam radicale è stata costantemente caratterizzata dal silenzio, consentendo che tali atrocità continuassero impunite, perpetuando un ciclo di violenza”.

I relatori della conferenza, organizzata dal membro della Knesset Shelly Tal Meron, hanno ascoltato le testimonianze dei familiari degli ostaggi che hanno condiviso storie di violenza sessuale. Il Jerusalem Post ha riportato: Sasha Ariev, la cui sorella minore Karina è tenuta in ostaggio a Gaza, ha parlato del terrore che prova nel disconoscere le condizioni della sorella e di essere a conoscenza delle violenze sessuali in corso nella prigionia di Hamas: “Non abbiamo informazioni sullo stato di salute attuale di Karina, ma siamo consapevoli che la violenza sessuale, compreso lo stupro, viene perpetrata sugli ostaggi. Chiedo a tutti voi, in ogni parte del mondo, di unirvi nel dichiarare che l’uso della violenza sessuale come arma di guerra è inaccettabile e che Hamas deve rilasciare immediatamente tutti gli ostaggi: donne, uomini e bambini.

Simona Steinbrecher, la madre di Doron, 30 anni, anche lei presente alla conferenza, ha detto al panel che sua figlia “ha bisogno di farmaci quotidiani, che probabilmente non riceve”. Ha asserito che gli ostaggi liberati hanno parlato di mancanza di privacy, anche nell’utilizzo del bagno e nel fare la doccia, e di una stretta sorveglianza 24 ore su 24, sette giorni su sette.

Mandy Damari, la cui figlia Emily, 27 anni, è ancora prigioniera, ha espresso i suoi timori per lo stato psicologico di Emily: “Mi chiedo quali pensieri attraversino la mente di Emily sotto il totale controllo delle sue guardie terroristiche, sapendo che le potrebbe accadere da un momento all’altro qualcosa se loro volessero. Che tipo di minaccia psicologica o fisica di reale tortura sessuale e terrore sta subendo? Ne so abbastanza da rendermi conto che ciò che sta vivendo non sarà mai cancellato dalla sua memoria”.

Shari Mendes, che faceva parte di una squadra forense che ha esaminato i corpi delle donne uccise il 7 ottobre ha dichiarato che è “chiaro che queste donne sono morte agonizzando”. “A volte è stato loro sparato un colpo di arma da fuoco alla testa ma non c’era traccia di sangue, pertanto, probabilmente sono state colpite dopo la morte. Sembra che si sia voluto intenzionalmente distruggere i volti di queste donne, cancellarli, in modo che i loro genitori o i loro cari non potessero riconoscerle”.

In un articolo apparso sul Jerusalem Post, Mendes ha parlato dello sdegno che ha provato a causa del fatto che nei confronti delle donne israeliane non è stata mostrata quella stessa empatia, rabbia e preoccupazione globale riservate alle altre donne, affermando che “l’indignazione [era evidente in] tutti i precedenti casi di violenza sessuale commessi nel mondo”. La Mendes ha scritto: “Noi donne israeliane siamo rimaste stupite del silenzio della maggior parte delle nostre sorelle [in tutto il mondo]. La maggior parte dei gruppi che si battono per i diritti delle donne deve ancora condannare la violenza perpetrata lo scorso 7 ottobre contro le nostre madri, figlie, zie, cugine, nonne e vicine di casa. Solo in questo caso, nella recente storia della sorellanza moderna, noi donne israeliane siamo state abbandonate: siamo sole. Anche se ho marciato per sostenere i diritti delle donne, la maggior parte delle donne rimaste in silenzio in tutto il mondo ora non riesce né a vedere me né il nostro dolore. Alcune arrivano addirittura a negare che la violenza sessuale sia avvenuta anche qui. È difficile comprendere il livello di odio necessario per rinunciare alla sorellanza, soprattutto in un momento in cui noi donne israeliane (di tutte le religioni, tra l’altro) ne abbiamo più bisogno”.

Nonostante gli orrori vissuti dalle donne ebree, cristiane e yazide per mano dei jihadisti dell’Isis, di Hamas, della Jihad Islamica e di Fatah, la maggior parte delle organizzazioni per i diritti delle donne in Occidente è rimasta apatica e in silenzio. Purtroppo, nessuna attivista è scesa nelle strade per far sentire la propria voce e denunciare la condizione di quelle donne e quei minori non musulmani che sono stati e continuano ad essere violentati, straziati e tenuti in ostaggio da uomini musulmani. Per quanto riguarda il gran numero di donne israeliane che sono state brutalmente stuprate il 7 ottobre dai terroristi di Hamas e dai loro sostenitori, molte organizzazioni per i diritti delle donne hanno totalmente ignorato l’atrocità di tali abusi, rifiutandosi di credere alle donne israeliane e a tutte le prove davanti ai loro occhi. Nel caso di altre organizzazioni, ci sono voluti mesi per rilasciare una semplice dichiarazione che condannasse gli stupri e le aggressioni sessuali contro gli israeliani.

I veri difensori dei diritti delle donne non discriminerebbero le vittime in base alla loro religione o etnia e avrebbero documentato quei casi di stupro di massa e tortura sessuale. Purtroppo è avvenuto il contrario.

Grazie al silenzio totale o all’apatia di quelle organizzazioni nel condannare gli stupri, i propagandisti anti-israeliani hanno costruito una narrazione pro-Hamas e hanno facilmente indotto gran parte dell’opinione pubblica a ignorare o negare che la guerra di Israele contro gli stupratori e gli assassini di Hamas è necessaria per salvare più di 250 ostaggi.

L’odio verso Israele da parte di questi gruppi ha reso questi ultimi indifferenti alle sofferenze delle donne che sono ebree. Di fatto, il loro silenzio e la loro negazione non hanno fatto altro che nascondere e favorire i crimini di Hamas e di altri gruppi terroristici. Nell’aprile scorso, la Ong CyberWell ha pubblicato un report sulla diffusa negazione online della violenza sessuale perpetrata da Hamas il 7 ottobre. Man mano che la documentazione riguardante le aggressioni sessuali contro gli israeliani continuava ad affluire dopo il 7 ottobre, scrive la professoressa Stacy Keltner, le organizzazioni internazionali sono rimaste misteriosamente in silenzio. La Women’s Alliance for Security Leadership, ad esempio, non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione.

Numerosi gruppi per i diritti umani e femministi, come Amnesty International e l’Organizzazione Nazionale per le Donne, hanno detto poco in merito ai crimini sessuali commessi dagli abitanti di Gaza contro gli israeliani. L’Entità delle Nazioni Unite per l’Uguaglianza di Genere e l’Empowerment femminile (nota anche come Un-Women) ha aspettato fino al 1° dicembre, quasi due mesi dopo il massacro del 7 ottobre, per rilasciare una superficiale dichiarazione di condanna.

Tra le altre cose, il 13 ottobre, Un-Women ha diffuso una dichiarazione in cui equipara le brutalità di Hamas all’autodifesa di Israele. Allo stesso modo, il Comitato delle Nazioni Unite per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (Cedaw) non ha esplicitamente condannato le atrocità di Hamas. E il movimento internazionale #MeToo non ha assolutamente menzionato Hamas né le vittime israeliane. Per le altre organizzazioni che sono rimaste in silenzio o hanno speso pochissime parole in merito agli stupri degli israeliani da parte dei terroristi palestinesi, si veda questo report.

Quando si tratta di donne israeliane vittime di abusi e stupri, le organizzazioni per i diritti delle donne e i diritti umani hanno scelto di stare dalla parte degli stupratori e degli assassini e di favorire il terrorismo jihadista.

(*) Tratto dal Gatestone Institute

(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Uzay Bulut (*)