lunedì 15 luglio 2024
La questione migratoria, come buona parte delle azioni umane, naviga in un contesto di paradossi veri o apparenti. Le politiche migratorie, dell’Unione europea, stanno esaltando da tempo queste reali contraddizioni che si intersecano con la storia stessa dell’Europa. Probabilmente, ritornare alle condizioni della nascita e dell’evoluzione del “progetto europeo”, permetterebbe di comprendere meglio la complessità di tutte le politiche dell’Unione. Ma, per restare in tema, è opportuno soffermarci solo sulla questione della migrazione. Circa il contesto politico, il Continente europeo e sfumatamente il mondo in generale sono stati organizzati, fino a pochi anni fa, secondo due grandi filoni logici che si scontrano assicurando lo status quo, perché i due sistemi sono stati, e ancora in parte lo sono, interconnessi, anche se su basi diversamente conflittuali.
Come sappiamo la prima logica è quella che fa riferimento al “compromesso” di Yalta (4-11 febbraio 1945), guarda caso in Crimea, che ha definito le aree di influenza. Una sorta di “domini imperiali” delle due grandi leadership che hanno permesso l’annichilimento della dittatura nazista: Stati Uniti e Gran Bretagna. Quindi un blocco occidentale, immaginato come democratico, tendenzialmente capitalista e “libero”, da una parte; e l’Unione Sovietica per il blocco orientale, questo con caratteristiche totalitarie, comunista, e rinchiuso oltre la Cortina di ferro, dall’altra. Lo sviluppo storico di questi due sistemi ha decretato l’attuale coma in cui versa il vecchio equilibrio geopolitico. Una crisi che ha trascinato con sé tutti gli articolati fattori a esso legati, comprese le aree di influenza coloniali ed ex coloniali.
Così, a una prima osservazione, può sembrare che la guerra tra Russia e Ucraina, con il blocco occidentale al fianco, ma sarebbe meglio dire davanti, sia il fattore di massimo disequilibrio socio-politico attuale. Ma a medio e lungo termine è la questione migratoria – non estranea alle dinamiche né del blocco occidentale né di quello orientale – che creerà il massimo shock sociologico. E gli avvicendamenti governativi spesso suggellano tale realtà. Notiamo, infatti, che la rotazione in Inghilterra tra i conservatori unionisti e i laburisti ha demarcato un considerevole cambiamento delle politiche migratorie. L’accordo sul trasferimento in Ruanda di migranti clandestini siglato tra Londra e Kigali, alla fine del 2023, dopo essere stato bloccato a causa di numerosi ricorsi legali, tra cui un parere della Corte Suprema britannica, motivati dalla insicurezza del Paese, è stato definitivamente annichilito dal neo primo ministro britannico Keir Starmer, leader del partito laburista. Tale azione era parte del programma del suo partito: il 6 luglio, a Downing Street, durante la sua prima conferenza stampa, ha annunciato che la politica di espulsione in Ruanda dei richiedenti asilo era morta.
L’accordo con Kigali era stato avviato dall’ex primo ministro conservatore Boris Johnson, il quale aveva ipotizzato che tale soluzione avrebbe avuto effetti deterrenti per l’immigrazione clandestina, ma subito era apparsa un’utopia in quanto riguardava circa l’uno per cento dei flussi migratori, in particolare quelli relativi alle piccole imbarcazioni che sbarcavano sulle coste britanniche. Infatti, dopo oltre due anni dall’adozione di tale politica, solo alcuni migranti clandestini sono stati rispediti in Ruanda e tutti per scelta volontaria.
Rishi Sunak, l’ultimo conservatore al Governo, ha tentato di superare quanto disposto dalla massima corte del Regno Unito con una legge chiamata Safety of Rwanda Bill, adottata in primavera, che dichiarava che il Paese africano fosse sicuro. Ma questo controverso documento non ha avuto neanche il tempo di essere “testato”, a causa dell’avvicendamento politico, ma anche perché sarebbe stato ugualmente bloccato dai ricorsi legali inoltrati anche dai richiedenti asilo. Inoltre, pure se il neo-premier Keir Starmer ha sepolto la legge sul trasferimento dei migranti clandestini in Ruanda, è vero che il partito laburista si è impegnato, come i conservatori, a limitare l’immigrazione legale e illegale in Inghilterra.
Intanto, l’abrogazione di questa legge sta rilassando non tanto le centinaia di migliaia di migranti che vagano per l’Isola passando la giornata – modalità comportamentale verificabile anche nella Penisola italica – ma soprattutto i trafficanti che, per il momento, sono sollevati dal subire particolari pressioni. Così, il veloce Governo scaturito dal laburista Starmer, per voce della ministra degli Interni la cinquantacinquenne Yvette Cooper, già ministra di Tony Blair e Gordon Brown, il sette luglio ha comunicato la sua linea operativa: bloccare queste piccole barche che attraversano lo stretto della Manica, esercitando opprimenti controlli sui trafficanti.
La soluzione, secondo Cooper, è quella di istituire una nuova unità di sicurezza delle frontiere, ovvero il Bsc, Border Security Command, strutturato con un corpo di vigilanza formato da agenti di polizia con facoltà operative antiterroristiche: il tutto sarà formalizzato in una prossima legge ad hoc. La questione è che da statistiche risulta che il 3,5 per cento della popolazione mondiale emigra, o meglio, è “mobile”. Un dato, questo, che ritengo basso, in quanto le dinamiche umane in alcune aree geografiche sono difficilmente leggibili. Comunque, semplificando un fenomeno complesso, in Inghilterra dall’inizio dell’anno a fine giugno circa 30.600 migranti hanno attraversato la Manica su barchini improvvisati o nascosti nei camion.
Ora, vista la frenata di Starmer, chi trae profitto da questa nuova politica migratoria? Intanto il primo a rimetterci è il presidente del Ruanda, Paul Kagame, che ha già ricevuto da Londra circa 500 milioni di sterline, quasi seicento milioni di euro, come parte dell’accordo siglato, e che non vedrà un prosieguo, essendo saltata la convenzione. Al momento, quindi, trarranno profitto i migranti che potranno continuare a sbarcare in uno dei “bengodi” europei, e i trafficanti che in attesa del nuovo servizio di border security accelereranno la propria redditizia attività. Il tutto, nel quadro paradossale di una accoglienza subita che improbabilmente porterà ad una integrazione interculturale, in un’ottica ideologica di relativismo culturale, sofferto e quasi incompreso dalla massa.
Insomma, la questione migratoria, nonostante le sue cause e conseguenze sociali ed economiche che porta, è controllata dalla pseudo logica della politica, pertanto rientra nella logica di una scelta sociale e quindi in una scelta etica, impostata dall’establishment politico. Il secondo turno nelle elezioni francesi è un esempio.
di Fabio Marco Fabbri