L’ossimoro delle elezioni di un regime totalitario

venerdì 12 luglio 2024


Si continua a chiamare “elezioni” lo spettacolo che il regime totalitario al potere in Iran mette in scena, mentre tutto il potere a tempo indeterminato è nelle mani di una sola figura, la Guida, che non risponde a nessuno. Stancamente, ma assiduamente, si chiamano riformisti certe figure nella teocrazia iraniana che uno, a un certo punto, pensa che forse hanno cambiato il senso e il significato delle parole a sua insaputa. Da sempre la teocrazia iraniana falsifica grossolanamente i dati dell’affluenza ed i risultati dei “candidati”. Il 28 giugno al primo turno delle cosiddette elezioni presidenziali nella Repubblica islamica, l’affluenza ai seggi è stata tanto visibilmente scarsa che il regime non ha potuto fare altro che moltiplicare solo per tre il dato reale, per potere annunciare la cifra del 40 per cento. Senza nessun imbarazzo anche le singole preferenze dei candidati prescelti sono state meccanicamente moltiplicate per tre. Mentre i mass media occidentali, anche questa volta, hanno diffuso i dati gonfiati del regime. L’abbandono degli iraniani è stato talmente tangibile che persino Khamenei stesso l’ha dovuto pubblicamente annunciarlo. Le Unità di resistenza in Iran che hanno monitorato oltre 14 mila seggi elettorali in 315 città del Paese hanno stimato la partecipazione di circa 7 milioni e 400 mila votanti, cioè il 12,7 per cento degli aventi diritti al voto. Il risultato effettivo dell’affluenza dei votanti si avvicina molto al meccanicismo operato dal regime di moltiplicare per tre il dato reale. La percentuale del 1 per cento era la stessa prevista dai sondaggi riservati dell’Intelligence del regime. Per la prima volta la dittatura iraniana è stata costretta a dichiarare che il numero dei votanti era al di sotto del 50 per cento. A parte gli improbabili numeri annunciati dal regime, in un Iran governato da una dittatura totalitaria e teocratica parlare di elezioni, lo strumento dei sistemi democratici, è davvero un ossimoro.

Comunque, usciti dal cilindro della Repubblica islamica, dal primo turno sono passati al secondo Said Jalili e Massoud Pezeshkian. Il numero dei votanti al secondo turno si è rilevato ancora più basso, a conferma dello scollamento definitivo della popolazione iraniana con il regime che la opprime. Secondo il monitoraggio delle Unità di resistenza, effettuato in 2 mila seggi elettorali, in 248 città e 60 villaggi, l’affluenza al secondo turno è stata del 9 per cento, mentre il numero annunciato dal regime è stato del 49.7 per cento.

Chi è il nuovo presidente della Repubblica del regime teocratico? Masuod Pezeshkian sin da subito, dopo la rivoluzione del 79, si vantava di aver costretto le donne iraniane al velo obbligatorio nelle università e negli uffici pubblici di Tabriz, ancor prima dell’ordine di Khomeini. Dopo la morte del fondatore della Repubblica islamica, come tutti quelli espulsi dal potere dalla nuova Guida Khamenei, lo zelante picchiatore Masuod Pezeshkian si ridimensiona momentaneamente per rientrare poi dalla finestra e ricevere dai mass media occidentali l’appellativo di riformista. Quando diventa ministero della Sanità nel secondo governo di Mohammad Khatami, nel 2000, era un semi-sconosciuto che si vestiva come i basiji, senza la giacca e la camicia fuori da pantalone. Da ministro dichiarò: “Quando era studente schiaffeggiavo il rettore. Quando sono diventato rettore schiaffeggiavo il presedente della Repubblica ed ora che sono ministro schiaffeggio Bill Clinton”. Pezeshkian, da ministro, più volte ha subito interrogazioni parlamentari, per le sue nomine, per la distribuzione dei medicinali e per i suoi viaggi all’estero.

Se tralasciamo la favola che il presidente della Repubblica del regime teocratico iraniano esca dalle urne, Masuod Pezeshkian dovrebbe sostituire Ebrahim Raisi, il martire. La nomina di Pezeshkian, nata dal fallimento e dal tergiversare di Khamenei per aver scelto l’incapace ed obbediente Raisi, rafforza l’idea dell’eliminazione di Raisi. Ebrahim Raisi, inviso a tutti i pretendenti, era stato scelto per sedare la rivolta degli iraniani, e senza riuscirci aveva portato l’economia del Paese ad uno stato fallimentare. Il problema Raisi è stato risolto eliminandolo fisicamente, il modo in cui sa risolvere i problemi il regime.

Il “riformista” Pezeshkian ha già dichiarato che lui non ha alcun programma, che indicare il programma è prerogativa del vali-e faghih, cioè Khamenei, e che lui è devoto al leader spirituale, nel senso che non ha altro ideale che realizzare i suoi desideri.

Il nuovo presidente della Repubblica del regime, subito dopo l’elezione, aveva indetto una conferenza stampa internazionale, ma l’ha dovuta annullare perché era stato convocato dal suo leader e mentore, la Guida, Ali Khamenei. Nel recarsi da Khamenei, Pezeshkian si è fermato al mausoleo di Khomeini a pregare.

Non è neanche azzardato ipotizzare che la nomina di Massuod Pezeshkian sia una risposta all’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca. Nel frattempo, però, il nuovo presidente del regime in due lettere distinte a Hassan Nasrallah e a Ismail Haniyeh ha confermato la politica del suo regime in Medio Oriente.

Cosa sia il riformismo, anche nelle democrazie occidentali, non è chiaro a molti. Siamo testimoni di infinite riforme e controriforme, ma volere riformare la Repubblica islamica, basata sul principio del velayat-e motlaghe-ye faghih (governo assoluto del giurisperito, la Guida), è come volere mungere un montone.


di Esmail Mohades