giovedì 4 luglio 2024
Il capo di Stato maggiore bielorusso, Pavel Muraveiko, ha dichiarato che il suo Paese non esiterebbe a usare armi nucleari, se provocato. “Abbiamo imparato come maneggiare queste armi. Sappiamo come impiegarle con sicurezza. E potete star certi che lo faremo se la sovranità e l’indipendenza del nostro Paese saranno minacciate”. Questa la farneticante dichiarazione di Muraveiko. Le parole aggressive del comandante dell’esercito bielorusso giungono appena poche settimane dopo che Bielorussia e Russia hanno condotto esercitazioni nucleari congiunte che sono state interpretate dalla maggior parte degli analisti come un tentativo di intimidazione ai danni dell’Occidente e rappresentano solo l’ultima puntata di una saga fatta di continue minacce. In precedenza, Vladimir Putin, nella primavera del 2023, aveva reso noti i piani per immagazzinare armi nucleari tattiche russe sul territorio bielorusso. Secondo quanto riferito, entro la fine dello scorso anno, tali ordigni erano effettivamente arrivati in Bielorussia. Le recenti dichiarazioni di Muraveiko sono emblematiche di come il Cremlino stia usando la Bielorussia per intensificare la sua campagna di ricatto nucleare contro l’Occidente. Chiaramente, qualsiasi arma nucleare russa schierata oltre il confine in Bielorussia, rimane saldamente sotto il controllo di Mosca. Se ora il vertice militare bielorusso lancia minacce nucleari, lo fa per conto di Putin.
Ciò è perfettamente in linea con il ruolo di supporto svolto dalla Bielorussia nell’ambito dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia. Quando iniziarono le ostilità nel febbraio 2022, il dittatore bielorusso Alyaksandr Lukashenko permise all’esercito russo di utilizzare il proprio Paese come base d’appoggio per l’invasione dell’Ucraina settentrionale. Dopo la sconfitta della Russia nella battaglia di Kyiv della primavera del 2022, l’esercito di Putin potette trovare riparo sempre in Bielorussia per riorganizzarsi. Sebbene Lukashenko sia riuscito finora a resistere alle pressioni del Cremlino affinché entrasse direttamente in guerra, ha permesso alla Russia di condurre attacchi aerei su obiettivi in tutta l’Ucraina partendo dal territorio bielorusso. La servile lealtà di Lukashenko nei confronti del suo protettore russo non deve sorprendere. Il despota bielorusso è fortemente dipendente dal Cremlino dal 2020, quando Putin è intervenuto per impedire il collasso del regime di Lukashenko nel mezzo delle proteste a livello nazionale per le elezioni presidenziali truccate. Negli ultimi quattro anni, la Russia ha costantemente rafforzato la sua presa sulla Bielorussia, in un lento ma inesorabile processo che alcuni analisti non hanno esitato a definire un’annessione strisciante del Paese. Con l’influenza russa in Bielorussia ormai a livelli senza precedenti, Lukashenko non ha avuto altra scelta se non quella di sostenere l’invasione dell’Ucraina. Naturalmente, questo sostegno implica anche un ruolo attivo nelle tattiche di intimidazione nucleare di Putin. Tuttalpiù, risulta sorprendente che Putin sia stato disponibile a coinvolgere uno Stato irrilevante come la Bielorussia nel suo sconsiderato gioco di politica del rischio calcolato sul nucleare.
Da quando è iniziata l’invasione su vasta scala dell’Ucraina, quasi due anni e mezzo fa, Putin ha spesso lanciato minacce nucleari sottilmente velate. Questa tendenza è stata evidente per la prima volta durante il discorso iniziale in cui Putin annunciava la decisione di invadere l’Ucraina, avvertendo i leader occidentali che qualsiasi tentativo di intervento avrebbe portato a conseguenze “come non se ne sono mai viste in tutta la storia”. Quattro giorni dopo, il Cremlino ordinò di mettere in allerta le forze nucleari russe. La minaccia nucleare più famigerata di Putin arrivò appena sei mesi più tardi. Con l’esercito russo in ritirata allo sbando nell’Ucraina orientale, il despota del Cremlino fece riferimento all’arsenale nucleare del suo Paese promettendo di usare “tutti i mezzi a sua disposizione” per difendere la Russia, aggiungendo che questo non era un bluff. Ora che il sostegno occidentale all’Ucraina ha ripreso slancio negli ultimi mesi, Putin ha fatto ancora una volta riferimento a una possibile guerra nucleare. I leader occidentali “dovrebbero tenere presente che i loro sono Paesi piccoli e densamente popolati”, ha commentato in tono agghiacciante a fine maggio. Altri esponenti di Mosca hanno alimentato questa narrazione. L’ex presidente russo Dmitry Medvedev, attualmente vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha affermato – in più occasioni – che sarebbe un “errore fatale” per i leader occidentali credere che la Russia non sia pronta a usare armi nucleari contro l’Ucraina o gli Stati membri della Nato.
Il Centro per la lotta alla disinformazione del Consiglio di sicurezza e difesa ucraino aveva preannunciato già a maggio: “Ci aspettiamo presto una serie di dichiarazioni provocatorie da parte dei massimi dirigenti di Russia e Bielorussia che minaccino l’Ucraina”. Questa valutazione del centro si è rivelata assolutamente fondata. Del resto, non è la prima e non sarà l’ultima volta che Russia e Bielorussia utilizzano la minaccia nucleare per tentare di terrorizzare l’Ucraina e i suoi partner. Le minacce di Muraveiko sono solo uno strumento, utilizzato da Mosca, per realizzare questa ennesima operazione psicologica. Tuttavia, la paura e il coraggio sono due facce della stessa medaglia. Ecco perché solo il coraggio potrà liberarci dalle catene del terrore che Mosca e i suoi complici vorrebbero imporci. Non possiamo cedere al ricatto nucleare, perché questo ci porterebbe a vivere nell’oscurità delle tenebre nei decenni a venire.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative sulla sicurezza
di Renato Caputo (*)