giovedì 20 giugno 2024
A novembre 2024, che vinca Joe Biden o Donald Trump, tutto dipenderà da come il nuovo presidente vorrà chiudere la partita con Vladimir Putin: a partire da lì, si ridisegneranno i poteri e i destini del mondo. Ma, nel neolinguaggio globalista, che cosa significa “vincere-perdere”? Se, alla fine, Putin si tiene Crimea e Donbas ha vinto o perso? Se Putin ha dalla sua già da ora la Cina e i Brics allargati (ad Arabia Saudita e Iran, in particolare) ha vinto o perso? Lo Stato di diritto e il diritto internazionale (inviolabilità delle frontiere) hanno vinto o perso fin da ora? Se ci si mette al tavolo con Putin (e lo si dovrà fare), qualcuno pensa ragionevolmente che lui ceda su Donbas e Crimea, per poi essere impiccato dai suoi e dal popolo russo sulla Piazza rossa? Quindi, la coalizione mondiale pro-Kiev parte totalmente svantaggiata, ben sapendo che l’Ucraina non sarà mai più quella pre-2022. Morale: l’Occidente ha perso fin da ora tutte le partite importanti, perché il suo famoso ordine mondiale, creatura ideologica prediletta e simbolo del secolo e della Pax americana, è stato brutalmente messo in discussione con l’invasione dell’Ucraina e, per ora, resiste solo grazie al dio dollaro che domina gli scambi internazionali. Ma, il resto dell’ex impero d’Occidente è esploso in mille frammenti: l’Onu non ha un esercito né una forza internazionale di polizia per far rispettare le sue decisioni, mentre il Global North non ha né sangue né armi né coraggio per liberare Donbas e Crimea. Quindi, partita chiusa. A prescindere!
Alcuni interpretano il multipolarismo come moltiplicatore di “caos”, ma è proprio così? In realtà, i due concetti funzionano come gli ammassi di galassie: l’uno tiene in piedi l’altro gravitazionalmente. A livello inferiore, c’è caos nel cuore delle stelle e in prossimità dei buchi neri, ma i grandi aggregati galattici si trovano in un sublime equilibrio a scala massima. E l’Occidente, fin da oggi, deve vedersela con il Global South e la faccenda non sarà per nulla simpatica. Si ritorna ai rapporti di forza e l’Europa è il ventre molle e disarmato del mondo, vittima predestinata del più forte. A farne le spese sarà il welfare all’europea, perché siamo fin d’ora costretti a riarmarci pesantemente, per scoraggiare i nostri nemici planetari, sapendo che l’America non pagherà più i nostri conti. L’immigrazione incontrollata ci ha completamente devastati, mentre India, Cina, Russia e Brasile se ne sono ben guardati dal fare il nostro stesso errore. Sono chiusi, blindati e furiosamente identitari e sarà bene capire se questo non sia il segreto all’origine del loro successo. Ma, se la Terra è una mela politicamente divisa in due parti asimmetriche, quale sarà la configurazione stabile che andranno assumendo gli ammassi fluidi dell’Occidente e del resto del mondo? Soprattutto, quale sarà la nuova chiave ideologica che caratterizzerà il Global South, visto che la “nostra”, quella dello Stato di diritto e della superiorità del modello democratico di Governo, sono oggi rifiutati e contestati da più di due terzi del mondo? La soluzione è in vista: la parola “Diritto” verrà sostituita con “Benessere”: quello dei popoli, per intenderci, che vogliono più sicurezza e migliori condizioni di vita.
Ora, osserviamo il mappamondo: la Cina si sta saldamente configurando come il player planetario della manifattura, del digitale e delle tecnologie avanzate con un consistente eccesso di produzione in tutti i campi. In più, crede e difende la libertà di ciascuna nazione di scegliersi il Governo e il sistema politico-sociale che meglio crede, esportando il modello confuciano che privilegia il “fare” e il merito. Disponibile quindi, in base al modello della “Road and Belt Initiative”, a costruire le grandi infrastrutture in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina, prestando denaro ai Paesi emergenti. Dall’altra, c’è la Russia putiniana a sostenere l’enorme fabbisogno energetico del Global South a prezzi ultra calmierati, con i suoi immensi giacimenti di gas e di petrolio, e pronta a mettere a disposizione il suo esercito di finti mercenari ovunque serva, al servizio di autocrati e dittatori “amici”. Per capire come sta andando il mondo, Riad (che ha rafforzato i suoi legami con la Cina) sta costruendo per migliaia di miliardi di dollari una sua città del futuro, “The Line”, che utilizza esclusivamente tecnologia digitale cinese. Come funzioneranno assieme le due metà “squinternate” della mela geopolitica? Lo scenario che sembra delinearsi è il seguente: idealmente, nei prossimi due decenni le polarizzazioni riguarderanno la creazione glocal e sempre più strutturata di nuove aree regionali di influenza che, grosso modo, ricalcheranno le orme degli antichi imperi, zarista, ottomano, arabo, persiano e così via. Questi ultimi avranno funzione di “protettorati” rispetto ai vicini più deboli e i loro “centri” saranno medie potenze nucleari (Iran-Israele, India-Pakistan, ad esempio), che giocheranno la deterrenza a livello locale nei loro rapporti di forza.
La parte del leone continueranno a farla i due “capimaglia” globali, come Cina e Usa, che avranno un duopolio nell’Intelligenza artificiale. Pechino avrà un vantaggio netto su tutto quello che è robotica e applicazioni militari (Star Wars, in particolare), mentre l’America manterrà un vantaggio incolmabile sull’Intelligenza artificiale generativa, assai poco attraente per i cinesi a causa della sua incontrollabilità! Nel frattempo, il Global North, grazie a corpose barriere tariffarie, porterà alle estreme conseguenze la strategia binaria del de-risking e del decoupling nei confronti della Cina, sussidiando pesantemente le proprie industrie domestiche per competere con il dumping e la superproduzione cinesi. Ne usciranno pertanto sconvolte le catene di valore, destinate a minimizzarsi in modo da riportare in patria gli asset ritenuti strategici, come i principi attivi per gli antibiotici. Fine, a breve, pertanto, del totalitarismo woke e dell’universalismo dei diritti su cui è basato il funzionamento dell’Onu. Allora, guardiamo avanti, senza tanti rimpianti, e speriamo in un “pareggio”!
di Maurizio Guaitoli