martedì 18 giugno 2024
Circa il 95 per cento dei quotidiani italiani alla fine della Conferenza sull’Ucraina di Lucerna ha titolato più o meno così: “Pace in Ucraina: il no di 13 Paesi del sud globale al documento”. Intanto, sale un’onda di raccapriccio per la mancanza di creatività che forse è tutta colpa della rete globale, o forse sono i led che si sovrappongono alla realtà, oppure è colpa della crescente incapacità di scrivere in corsivo. In effetti, sarebbe finita l’era dei giornalisti-pappagallo che facevano la cronaca di ciò che succede in superficie, ignari del fatto che “ciò che si vede proviene da ciò che non si vede” (come sostenuto da San Paolo di Tarso e dalla fisica da Albert Einstein in avanti). Oggi si dovrebbe di capire il perché le cose succedono e ciò che vi sta dietro. Basterebbe usare l’intelligenza al posto del conformismo.
I tredici Paesi si sono dissociati dal documento finale che sostiene una conditio sine qua non: l’integrità territoriale ucraina. Diciamo a chiare lettere che nove di quei tredici Paesi aderiscono al Brics+, che quest’anno è presieduto dalla Russia della dittatura putiniana. I tredici sono Brasile, India, Sudafrica, Russia, Cina, Messico, Armenia, Bahrein, Indonesia, Libia, Arabia Saudita, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti. Anche se siamo tutti in perenne girovagare in aereo nei turistifici mondiali, mica sappiamo che i Brics sono quasi tutte dittature venefiche. Non si capisce come mai nazioni un tempo terzomondiste e ora capitaliste e ricche (il Messico) o più ricche (India, Thailandia e Indonesia), si siano accoppiate con nazioni così mal guidate. Cerchiamo di considerare alcuni casi.
I BRICS+ IN DETTAGLIO
Il Brasile, additato come dittatura quand’era nella mano destra di Jair Bolsonaro, ora che è incapsulato nella mano sinistra di Luiz Inàcio Lula si è coniugato mani e piedi con Russia, Iran e Cina. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, dicevano i vecchi saggi. Lula, che prima di essere processato per corruzione era un riformista, ha poi ripreso il potere, eternandosi come eroe della izquierda latino-americana, non coi fatti ma con slogan e adesioni ai populismi che si declinano all’Onu, al Tribunale dell’Aja (ahia!), dimostrando un antisemitismo estremo e un crescente amore per i classici della Russia che non sono Boris Pasternak o Lev Tolstoj, ma Lenin, Iosif Stalin e Vladimir Putin.
L’India ha appena visto la riconferma (ristretta ma non troppo) del presidente Narendra Modi e del suo Bharatiya Janata Party. L’India, come scrivo da tempo, è l’ago della politica mondiale. Resta legata da un’antica amicizia socialista nata coi Governi dell’Indian National Congress. Alla fine della dominazione inglese, fu naturale per l’India appoggiarsi all’Unione Sovietica (Indira Gandhi criticò poi duramente l’invasione russa dell’Afghanistan, ma in privato… ciò fu forse causa del suo assassinio?). Lo Janata Party è certamente democratico, ma ha anche pesanti tratti di una teocrazia induista repressiva. Detto ciò, l’India deve rifornirsi di gas e petrolio dalla Russia (il suo set di energia si basa soprattutto sul carbone), ma tiene ormai i piedi nel Quad plus (Dialogo quadrilaterale di sicurezza) con Usa, Australia e Giappone (cui si aggiungono Nuova Zelanda, Corea del Sud e Vietnam, dove sta arrivando Putin in visita ufficiale), l’alleanza che si contrappone all’espansionismo cinese collegato anche alla Sco, Organizzazione per la cooperazione di Shangai di cui fanno parte Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Quindi, l’India “deve” in questa fase essere bifronte: da un lato, per garantirsi gli approvvigionamenti di idrocarburi e dall’altro per diventare con le altre Tigri del Sudest asiatico (Giappone, Corea del Sud e Vietnam) l’alternativa alla Cina come “fabbrica mondiale”.
Il Sud Africa è un ennesimo disastro continentale, anche se ha ragione – su Il Foglio – Annamaria Guadagni, quando sostiene che Nelson Mandela non va buttato via con l’acqua sporca di una nazione che si è riscoperta pesantemente corrotta con l’ex presidente Jacob Zuma, cacciato per pesanti corruzioni e razzista (coi commercianti indiani). La sonora sconfitta dell’African National Congress porta da un lato la ex “Svizzera africana” fondata sull’apartheid ad allearsi coi liberisti del partito bianco degli Afrikaner (ex Boeri), mentre dall’altro lato la nuova borghesia nera dei “Black diamond” si è divorata tutto il divorabile tranne le terre, che restano in mano dei bianchi, come nel peggior post colonialismo africano. I risultati sono: crisi idrica ed energetica (mai meno di 10 ore di blackout ogni giorno), disoccupazione alle stelle, appena il 12 per cento della popolazione a pagare le tasse (troppo poco per il restante 88 per cento che impoverisce sempre più). La violenza non è estranea al lassismo dei Governi post Mandela: 72 persone assassinate dal crimine ogni giorno e 4320 stupri ogni mese. I politici si sono affidati a qualche concessione e regalia di Cina e Russia, in cambio di solidi proclami antioccidentali e anti-israeliani.
Iran, Russia e Cina in Africa. Ricordo un articolo di quasi vent’anni fa di Amir Taheri (dissidente iraniano), il quale rammentava come Arabia Saudita e Iran in un decennio appena si fossero spartite (in concorrenza tra loro) una bella fetta d’Africa, costruendo madrasse in ogni dove, foraggiando gli studi islamici e laici, innalzando qualche infrastruttura e incistandosi nella politica locale, che purtroppo ha tendenze alla concentrazione del potere in mano di esponenti di clan più o meno tribali. Città come Algeri erano passate dalla minigonna al velo integrale in un lampo. Leggo adesso un articolo di Ronen Levi su Misgav in cui si parla dell’espansione iraniana nel Sahel, zona desertica ma piena di materie prime fondamentali come Terre rare e uranio. Materie per cui scoppiano guerre ovunque (anche in Ucraina è così). Nel Mali già operano (male) i russi, dopo che la Francia si è suicidata rendendosi antipatica (uso eufemismi) a quasi tutti gli africani e dando vita a poderose vittorie russo-sino-iraniane. L’Iran è già presente in Sudan, Ciad e Niger (dove si trova il 5 per cento delle riserve mondiali di uranio). Così, l’Iran arricchisce il proprio uranio senza che Onu e Brics pigolino un ruttino, mentre la Russia usa le armi apparentemente solo per contrastare l’Isis sunnita. I cinesi completano l’opera, blandendo i Governi locali con infrastrutture e altri doni da greci: Timeo Danaos et dona ferentes, diceva Laocoonte nel secondo libro dell’Eneide, sostenendo invano che il Cavallo di Troia non era affatto un “dono di pace”, ma un trucco (infatti era pieno di soldati greci che i troiani, ignavi, fecero entrare in città).
L’EUROPA PUNTA SUL PIANO MATTEI
In questo contesto si capisce perché – in un quadro molto povero di idee – il G7 abbia almeno partorito il topolino del Piano Mattei per l’Africa. Le “non soluzioni” legate all’immigrazione incontrollata, sostenute dal lato sinistro dell’Europa rispetto all’Africa, sono forse nate da accordi con l’Arabia negli anni Settanta del secolo scorso. E hanno di fatto lasciato via libera in Africa prima all’islam e poi ai russi e ai loro alleati, col risultato di una neo-colonizzazione del Continente poco evidenziata dai media. Se il Piano Mattei, con la sua strada (speriamo liberale) di un’economia di scambio tra Europa e Africa dovesse fallire, tutto il Continente sarebbe a rischio di cadere in guerre feroci e diffuse. In questo senso, occorre osteggiare politicamente i Brics+, che niente hanno a che vedere col terzomondismo anni Settanta e Ottanta, ma molto hanno a che fare con l’immondizia geopolitica di inizio XXI secolo.
di Paolo Della Sala