lunedì 17 giugno 2024
Se la populace (il popolino, o “popolaccio”) vota in massa a destra, siamo ancora in democrazia, o no? Non secondo Le Roi Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Pedro Sánchez e tutti coloro che detengono le chiavi dell’europotere a Bruxelles e Strasburgo che, dopo il 9 giugno, seppur con striature nere in una miscela rossoblu, resta ancora saldamente nelle mani dei social popolari (o dei poteri forti, secondo alcuni).
Per la Coalizione Ursula, in corso di riedizione, nessuno ha il diritto di disturbare il manovratore in materia di conduzione della politica europea su immigrazione, riconversione green e globalizzazione. Così, grazie a questi non-leader, che non trovano il coraggio di difendere i confini comuni dall’invasione delle migrazioni non autorizzate, né di mettere un freno alla concorrenza sleale della Cina accelerando sulle politiche di de-risking e decoupling, l’Europa è di nuovo in mezzo al guado della bassa cucina del potere, per decidere chi comanderà in seno al Parlamento e alla Commissione europea.
Del resto, che cosa si intende con “voto democratico”, se non si dà modo all’astensione di contare il giusto come accadrebbe se si introducesse una soglia minima dei votanti per la validazione di un’elezione che, in caso contrario, deve essere ripetuta, fino a quando non si ottiene un livello minimo di rappresentatività, almeno pari o superiore, ad esempio, al 60 per cento? Come al solito, le campagne elettorali nei Paesi Ue si sono caratterizzate per il carattere “interno” delle scelte di politici, partiti e candidati. Rivelandosi così, ancora una volta, grazie al proporzionale, un’ottima occasione per andare alla conta dei rapporti di forza tra i raggruppamenti politici nazionali.
Da parte dei candidati, poi, non è venuta nessuna mossa né proposta chiara su argomenti vitali, come la difesa comune, l’energia nucleare, la reindustrializzazione, gli eurobond per il finanziamento delle grandi infrastrutture e del digitale, il superamento del Fiscal compact, la revisione dei Trattati, con particolare riferimento alla modifica del potere di veto e delle decisioni all’unanimità in seno al Consiglio europeo.
Ma, soprattutto, è mancata clamorosamente la dovuta chiarezza sul principio di fondo: si deve continuare ad andare avanti con l’Europa degli Stati Nazionali e delle piccole patrie, o si vuole fare un passo in avanti costruendo una fiscalità, una difesa e una politica estera veramente comuni, senza le quali la Ue rimarrà per altri decenni un gigante economico ma un nano politico, destinato a non contare nulla sui tavoli della geopolitica?
E perché un voto transeunte come quello europeo, in genere assai poco sentito e ancor meno motivato, dovrebbe dare origine a un terremoto interno ai singoli Paesi, con un radicale cambio di passo e la convocazione di elezioni anticipate? Com’è successo in Francia e sarebbe potuto accadere in Germania, se il suo attuale Cancelliere avesse avuto un minimo di coraggio e di amor proprio. Eppure, il “laboratorio Italia” non aveva forse già mostrato quanto fosse effimero il successo nel voto europeo – come accaduto nei casi di Matteo Renzi e di Matteo Salvini – grandi vincitori delle elezioni europee e sicuri perdenti in quelle nazionali successive?
Allora, perché Le Roi Macron ha giocato a matto-doppio matto, sciogliendo anticipatamente l’Assemblea, invece di proporre all’Europa un cambio di passo nei dossier più sensibili, come l’immigrazione e i vincoli di bilancio, in modo da recuperare un margine di voti degli elettori moderati? Dal suo punto di vista, due circostanze hanno prodotto l’esigenza di uno showdown nell’immediato con la destra lepenista, vincitrice indiscussa delle elezioni europee del 9 giugno. La prima, è la composizione dell’Assemblea appena disciolta, in cui il Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen aveva, grazie ai numeri, un elevato potere di interdizione e condizionamento dell’attività legislativa, che si sarebbe notevolmente amplificato dopo la vittoria delle destre alle europee, rendendo molto problematica l’azione ordinaria del Governo. La seconda, riguarda la possibilità di una chiamata alle armi di tutta l’opposizione variegata antilepenista, in modo da sottrarre al doppio turno quanti più seggi possibili al Partito della Le Pen, e favorire la formazione di un governo di coalizione presidenziale antidestra. Tuttavia, se alla fine Rn ottenesse 289 seggi su 577 avrebbe la maggioranza all’Assemblea, e Macron sarebbe costretto alla coabitazione con un Governo Bardella, conservando però tutti i suoi poteri presidenziali e, in particolare, l’iniziativa in politica estera.
Tanto più che, al contrario di quanto accade in Germania, spetta al presidente della Repubblica francese partecipare alle riunioni e ai lavori del Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo, in cui si decidono le politiche dell’Unione. La scommessa di Macron, una volta costretto alla coabitazione, è chiara: dal suo punto di vista di banchiere ed eurocrate, da qui al 2027 un Governo Bardella darebbe prova della sua assoluta incapacità e velleitarismo in politica interna, in economia e sulla questione migratoria, portando la Francia sulla soglia della bancarotta e della guerra civile. Cosa che legittimerebbe lo stesso Macron a un nuovo scioglimento anticipato della legislatura.
Visto lo scenario internazionale che vede al centro la vicenda francese, non sarà facile per Giorgia Meloni mantenere la rotta tra Scilla (Le Pen) e Cariddi (Macron) per la scelta del presidente della Commissione e del presidente Consiglio della Ue. Incrociamo le dita.
di Maurizio Guaitoli