lunedì 17 giugno 2024
La questione dell’esonero dal servizio militare degli ebrei ultraortodossi sta dilaniando ulteriormente le fragili colonne che sostengono il governo di Benjamin Netanyahu. In Israele il servizio militare è obbligatorio, ma in base a una normativa stabilita dal fondatore e primo capo di Governo del Paese David Ben-Gurion (1886-1973) nel 1948 – al momento della nascita dello Stato di Israele – i fedeli ultraortodossi sono esentati dal prestare servizio di leva. Inizialmente furono circa quattrocento, ma oggi il numero degli esonerati dall’imbracciare le armi tocca circa sessantaseimila uomini, in età compresa tra i 18 e i 26 anni. Questa normativa, con lo scorrere degli anni e con le croniche esigenze di Israele legate alla necessità di difendersi, ha attratto critiche crescenti tra i partiti politici laici, nella società israeliana e anche in molte Ong. Posizioni “politico-religiose” che sono state, nuovamente in queste ultime due settimane, al centro delle attenzioni nazionali, in quanto la “questione della esenzione dal servizio militare” per gli ultraortodossi è stata portata sul tavolo della Corte suprema israeliana, che rappresenta il vertice del sistema giudiziario, con lo scopo di chiedere una revisione della normativa in nome del principio di uguaglianza tra i cittadini dello Stato ebraico, tema già decretato dalla Corte nel 2017. L’interpellanza è stata quindi orientata verso la richiesta di immediato arruolamento degli ultraortodossi. Successivamente la Corte suprema, in qualità di Alta corte di giustizia, concesse al Governo Netanyahu tempo fino al 27 marzo per dare una risposta risolutiva, ma il primo ministro non ha rispettato i tempi rispondendo, genericamente, il 28 marzo.
Ma la Corte suprema non ha tardato a esprimere il proprio indirizzo, in quanto ha immediatamente emesso una sentenza a carattere provvisorio che ha stabilito la data del primo aprile, senza definire il tempo di termine, come inizio del congelamento dei fondi statali destinati agli studenti delle scuole talmudiche che non si presentano per il servizio militare. A maggio dell’anno scorso, tanto per evidenziare quanto Netanyahu, leader del partito Likud, tenga all’appoggio politico dei partiti ultraortodossi, come Shas e United Torah Judaism, il Governo ha fatto approvare un importante aumento dei finanziamenti destinati alle scuole talmudiche, toccando la cifra di circa 930 milioni di euro, 3,7 miliardi di shekel. Al momento sembra che almeno 125 milioni di euro, destinati agli studenti talmudici dai 18 ai 26 anni, siano stati decurtati dal budget iniziale.
Comunque, sondaggi recenti hanno rivelato che quasi tre quarti della popolazione ebraica del Paese è convinta che gli ebrei ultraortodossi dovrebbero collaborare per la sicurezza del Paese imbracciando le armi quando viene richiesto; mettendo in dubbio, in svariati casi, anche la vera “inclinazione” verso l’appartenenza al gruppo degli ultraortodossi, ovvero sfruttare tale “decantata convinzione” per evitare il servizio militare.
Ma la “questione ultraortodossi” in questi ultimi giorni ha avuto una pesante recrudescenza, in quanto la Knesset, il Parlamento israeliano, all’inizio settimana scorsa ha approvato un testo di legge (con una maggioranza di 63 voti su 120) concernente una riforma dei meccanismi di esonero dal servizio militare dei giovani provenienti da ambienti ultraortodossi. Un testo molto controverso, che risale al 2022, che tende ad aumentare gradualmente (e con limitazioni) l’arruolamento degli haredim, cioè coloro che “temono Dio”. Così martedì scorso un’associazione di cittadini israeliani ha inviato una lettera aperta al ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, nella quale si esprime dissenso per quanto deciso dal Parlamento. Inoltre, la missiva assume il valore di “manifesto” quando si esortano i soldati a rinunciare a combattere e tornare a casa; un’esortazione alla diserzione. Una pesante protesta che fa seguito alle numerose lettere inviate ai governanti israeliani e ai media locali, dai famigliari dei combattenti e dei soldati che hanno perso la vita dopo il 7 ottobre, ma anche dai riservisti e dai militari stessi, che esprimono profonde rabbiose critiche dopo l’adozione del testo di legge della Knesset.
Una criticità, non nuova, che tocca in profondità l’aspetto politico del Paese, oltre che un’esortazione alla mobilitazione generale per una guerra troppo lunga e dall’esito non prevedibile. Ma cosa chiedono queste missive? L’oggetto è esplicativo: “Avviso di cessazione del supporto combattivo”. Un concetto mai espresso precedentemente. Quindi mettere in dubbio lo scopo e i meriti della guerra in atto, criticando la modalità con cui i capi israeliani conducono questo conflitto, a cominciare da Benjamin Netanyahu. Una protesta, quella manifestata dalla delegazione dei genitori dei soldati, che ora è all’attenzione della Corte suprema, e che la esorta, in particolare, a spingere l’esercito a reclutare “gli studenti dalle yeshivas”, centri per lo studio della Torah e del Talmud, che rappresentano gli ultraortodossi (circa il 13 per cento della popolazione dello Stato di Israele). Un malcontento a cui va data la massima attenzione, ma che sembra invece essere poco valutato dalla Knesset, in quanto tale riforma è stata paradossalmente adottata dopo la morte a Gaza di quattro soldati, che si aggiungono ai quasi quattrocento militari uccisi da ottobre, gli ultimi 10 morti sabato 15 giugno.
Un privilegio anacronistico, dopo mesi di guerra, che rasenta la ripugnanza per la maggioranza degli israeliani. Va ricordato che la coalizione che regge il Governo di “Bibi” si basa prevalentemente sull’alleanza con i due principali partiti ultraortodossi, United Torah Judaism e Shas, spietatamente contrari all’arruolamento degli haredim, ebrei ultraortodossi. Una scelta governativa nel “senso popolare” farebbe desistere i partiti alleati ultraortodossi a sostenere la compagine governativa, con la conseguente caduta del Governo Netanyahu. Ma sarebbe un bene o un male?
di Fabio Marco Fabbri