Russia: un uomo nuovo e soliti progetti

lunedì 3 giugno 2024


La guerra di Vladimir Putin – oltre che dilungarsi al di là delle sue più pessimistiche previsioni – si sta estendendo in quella che possiamo definire escalation in orizzontale, riferendomi agli allargamenti geografici. Le schermaglie tra le forze Nato e l’esercito russo sui reciproci confini si stanno intensificando, assumendo caratteristiche apparentemente preoccupanti. Definisco il tutto “apparentemente preoccupanti” a causa degli evidenti limiti di escalation in verticale, quindi l’utilizzo di armi più devastanti, in quanto, a oggi, non risultano essere utilizzati solo quegli ordigni con “caratteristiche nucleari” che porterebbero all’utilizzo illimitato della “forza bruta” (Carl von Clausewitz).

Così stiamo assistendo, in una zona di confine della Lituania con la Bielorussia, alla più grande esercitazione della Nato dai tempi della Guerra fredda, dove carri armati Leopard 2, veicoli da combattimento Puma, insieme a super armati elicotteri militari disegnano uno scenario che dovrebbe impressionare gli attenti osservatori moscoviti. La manifestazione di “potenza militare” è guidata dalla Germania, in particolare dal generale Carsten Breuer capo della difesa tedesca: ha l’obiettivo di ostentare come le forze dell’Alleanza possano difendere il fianco orientale dell’Europa da una eventuale invasione. Quindi, è sì un avvertimento a Putin, ma anche una rassicurazione agli alleati.

Per contro, nel quadro di un bilanciamento degli avvertimenti, la Russia procede con esercitazioni con ordigni “sfumatamente nucleari” che possano avvalersi della deterrenza verso l’ipotesi di una fornitura di aerei da caccia all’Ucraina da parte dell’Occidente. Infatti, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, durante una riunione informativa svolta a fine settimana scorsa, ha affermato che Mosca considera l’impegno del Belgio di inviare 30 aerei da combattimento F-16, di fabbricazione statunitense, entro il 2028 (data dal contenuto preoccupante), in Ucraina, come un “segnale d’azione”; cioè il coinvolgimento diretto e palese dell’Occidente nel conflitto.

Tale impegno del Belgio ricade nell’accordo di sicurezza siglato da Volodymyr Zelenskyy – con il primo ministro belga Alexander De Croo – martedì scorso a Bruxelles. In questo contesto, il Belgio fornirà all’Ucraina poco meno di novecentottanta milioni di euro in aiuti militari. Inoltre, sono seguiti sia il nulla osta, da parte del barcollante presidente statunitense Joe Biden, a colpire basi strategiche con armi statunitensi oltreconfine, sia gli accordi, siglati a Stoccolma il 31 maggio con i Paesi del nord Europa, che hanno promesso sostegno economico e aiuti concreti anche per l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione europea. Ma tali accordi non risuonano bene nel Bosforo: infatti il capo della diplomazia turca, Hakan Fidan, ha detto che anche se non si disapprova il proseguimento degli aiuti all’Ucraina, la Nato non deve partecipare al conflitto.

L’agenzia governativa russa Ria Novosti ha comunicato che la Nato, con gli Stati Uniti in testa, non avrà limiti nel supportare l’Ucraina. Notizia riportata anche da Sergej Lavrov, che ha continuato affermando di sperare che le esercitazioni russo-bielorusse in corso, dove si stanno utilizzo armi nucleari non strategiche, faccia nascere il buon senso negli Stati dell’Alleanza atlantica; rammentando la catastrofe che potrà scaturire dall’utilizzo di armi nucleari. Ricordo che è circa un mese che l’esercito russo sta svolgendo esercitazioni nucleari e da alcuni giorni sta conducendo con esercito e aeronautica attività militari congiunte con le forze bielorusse.

Ma le carte che Putin stia giocando su questo “tavolo”, decisamente instabile, non sono solo esclusivamente mirate a intimorire l’Occidente con la minaccia di un letale conflitto nucleare, ma anche con l’individuazione di personaggi che possono rafforzare, in uno pseudo cambiamento, la sua struttura di collaboratori devoti e dotati di profili forti. Così, mercoledì 29 maggio Vladimir Putin tramite un comunicato stampa pubblicato dal Cremlino, e rilanciato dalla rete televisiva Bloomberg, ha investito Aleksej Dyumin del ruolo di segretario del Consiglio di Stato consultivo, con la missione di garantire il coordinamento di tutti gli organi statali, a tutti i livelli. Dyumin, solo una decina di anni fa, era una guardia del corpo di Vladimir Putin. Perché Putin ha scelto una sua guardia del corpo per un ruolo così strategico per la Russia e in un momento così complesso? È possibile che il Presidente russo stia cercando un suo successore?

Intanto, il cinquantunenne Dyumin ha avuto una visibilità pubblica proprio dopo le elezioni di marzo che hanno reso ovviamente indiscutibile il proseguimento del potere di Putin. Da quella data, l’ex guardia del corpo ha ricoperto l’incarico di assistente alla supervisione dell’industria della difesa, entrando ufficialmente nella sfera del potere. Con la recente nomina a segretario del Consiglio di Stato, come previsto secondo quanto comunicato dal Cremlino, ha sostituito il settantaduenne Igor Levitin, facente parte di una programmata rotazione. Questa nomina è ritenuta di importante peso politico, visto il fermento che sta serpeggiando tra i leader russi al potere; infatti, Sergej Aleksandrovič Markov, ex consigliere di Putin ed ex membro della Duma, non ha escluso, tramite una comunicazione su Telegram, che Dyumin possa essere la figura su cui Putin punterebbe come suo successore.

Comunque, il presidente russo non prevede, a settantuno anni, di lasciare spazio a un suo successore. Tuttavia, è strategico prevedere un futuro capo del Cremlino che segua la politica putiniana, soprattutto alla luce di quello che a breve tempo potrà accadere sul palcoscenico internazionale. È prevedibile, viste le articolate “trame moscovite”, che Putin cerchi di definire chi potrebbe essere un suo antagonista, in un contesto dove essere identificati pubblicamente come potenziali successori comporta molti rischi legati all’essere visti facilmente come sfidanti. Ma sappiamo bene la sorte che toccherebbe a tali potenziali sfidanti, finché il potere putiniano rimane tale.


di Fabio Marco Fabbri