giovedì 30 maggio 2024
Il 2024 sancirà la fine definitiva del “Secolo americano”, dopo che avranno votato quattro miliardi di persone, in Europa, Usa e India, in particolare? Se così dovesse accadere, allora il mea culpa riguarderebbe esclusivamente l’Occidente. Del resto, alla fine di questo ciclo storico, il sogno del liberalismo e della globalizzazione dei consumi (immigrazione senza frontiere compresa) non poteva che mettere fuori i suoi frutti avvelenati. Il primo in assoluto di questi Fiori del male è rappresentato dall’insistenza e dalla cieca determinazione con cui si è tentato di privare i popoli delle loro identità nazionali, cancellando intere civiltà per mezzo del Dio Denaro. Non diversamente, quindi, da quanto accadde con il Dio dei cristiani all’epoca della conquista delle Americhe, in cui vennero sterminati ed emarginati i nativi che vivevano da millenni su quelle terre conquistate, dei quali ci si è chiesti per secoli se “avessero un’anima”! Ma, il vero frutto ideologico avvelenato, che ha determinato il disfacimento della Pax americana, è stato sicuramente il “wokismo” del politically correct e della cancel culture, abbinati alla sacralità, oggi del tutto depotenziata, dell’onusisme (la volontà comune di implementazione delle decisioni Onu) e del rispetto del diritto internazionale di matrice illuminista. Tanto per fare un esempio, Russia e Cina hanno recisamente rigettato questi oggetti ideologici, ritenuti deformi, a torto o a ragione, in quanto strumenti della colonizzazione intellettuale attuata dal Global North, rifiutando di indossarne le lenti di lettura, perché ritenute aberranti. Mossa quest’ultima che altro non è se non una conseguenza della furiosa reazione di rigetto da parte del Global South del ruolo-guida dell’Occidente.
Ci si era soprattutto illusi, da questa parte del campo, di aver eliminato per sempre il ricorso all’uso della forza e alla guerra per modificare i confini internazionalmente riconosciuti. L’invasione russa dell’Ucraina, la questione di Taiwan e la pioggia di droni iraniani su Israele hanno per sempre rimosso questa illusione. Del resto, senza un “poliziotto” mondiale, autorizzato a ricorrere all’uso della forza per impedire le mille (e una) violazioni al diritto internazionale, qualsiasi attestato di condanna nelle condotte degli Stati e di chi li governa è privo di efficacia. E dal 1945 in poi, interi continenti, come l’Africa e il Sud America, hanno visto accadere e rimanere del tutto impuniti colpi di Stato, genocidi, guerre civili e un impressionante numero di massacri. Chi mai potrà venire a capo della guerra ibrida devastante contro l’Occidente condotta, da un lato, dalle gang sudamericane del narcotraffico e, dall’altro, dal jihadismo globale, prima mediorientale e poi africano? All’interno dello stesso Occidente, poi, l’attacco al liberalismo internazionale da parte del nazional-conservatorismo è destinato ad avere effetti dirompenti sugli equilibri interni al Global North. L’apripista di questa nuova forma di ragionamento politico è l’Ungheria di Viktor Orbán, che sostiene una sorta di movimento politico anti-Davos definita “nazional-conservatorismo” di destra. Ideologia quest’ultima in rapida ascesa in gran parte del mondo, di cui Budapest è capofila con le sue posizioni anti-establishment, contrarie sia all’immigrazione aperta che ai diritti gender, mentre si rivendica all’opposto il ruolo centrale della famiglia e la difesa della sovranità nazionale.
Di fatto, dall’altra sponda dell’Atlantico, le tesi di Orbán trovano ampio riscontro e accoglienza in personalità come Steve Bannon e negli “American firster”, cioè in coloro che si riconoscono nel movimento trumpiano di America first. E il contagio rischia di estendersi anche all’intera Europa, che andrà a votare a giugno per il rinnovo del Parlamento Ue, dove è prevista una forte avanzata dei partiti nazional-conservatori. Tant’è vero che i sondaggi danno per scontato una netta avanzata dei partiti di centrodestra nei quattro Paesi più grandi: Germania, Francia, Italia e Polonia. Tendenza già confermata a seguito delle recenti tornate elettorali del 2024, svoltesi in Svezia e Olanda, in cui i partiti di destra hanno ricevuto un numero di consensi significativo, tale da non poter essere ignorati nella formazione dei rispettivi governi. Per di più, i sondaggi per le elezioni presidenziali del 2027 vedono fin d’ora favorita la Marine Le Pen. Occorre dire che questo tipo di neo-conservatorismo alla ungherese è molto diverso da quello glorioso dell’era Margaret Thatcher-Ronald Reagan, dove prevaleva l’ottimismo e l’America era vissuta come una “shining city on a hill” (la città che brilla in cima alla collina). Oggi, invece, Donald Trump parla di “American carnage”, poiché gli Stati Uniti sono devastati da povertà urbana, dall’abbandono industriale, da un sistema scolastico in sfacelo, dalla piaga della droga e dal dilagare delle gang del crimine.
Dal punto di vista delle politiche economiche, paradossalmente (ma poi non tanto), i nazional-conservatori sono molto più vicini alle posizioni della sinistra, per quanto riguarda l’estensione del welfare state e la diffidenza verso il grande business delle multinazionali e della finanza internazionale; la condizione sempre più marginale delle classi lavoratrici in difficoltà, a causa della globalizzazione e delle delocalizzazioni, rendendo così necessario il ricorso al protezionismo per tutelare l’industria nazionale. Ad esempio, il movimento dei “NatCon” americani (nati in risposta al default del liberalismo dei “NeoCon” e dei “libertarian”) si pone l’interrogativo se il libero mercato abbia danneggiato la fabbrica sociale del Paese, grazie all’immigrazione indiscriminata e alle guerre commerciali veicolate dalla globalizzazione. La maggior parte dei NatCon attribuisce questo disastro sociale alla pratica neomarxista del “wokism”, che consiste nella conquista del potere all’interno delle istituzioni scolastiche e universitarie e negli apparati amministrativi della Res pubblica (vedi Deep State che Trump vuole totalmente smantellare). Vi ricorda qualcosa dell’aria di casa nostra, per caso?
di Maurizio Guaitoli