Tunisia: la deriva verso l’Iran

giovedì 30 maggio 2024


Che l’affidabilità del presidente tunisino Kaïs Saïed fosse discutibile, secondo semplici parametri analitici occidentali, è cosa affermata. Ma l’avvicinamento a Teheran sta sollevando aggiuntive perplessità che potrebbero condizionare ulteriormente il futuro dei rapporti dello Stato nordafricano con l’Occidente. La presenza di Saïed a Teheran, mercoledì 22 maggio, per il funerale del presidente iraniano Ebrahim Raisi, morto per la caduta di un vecchio elicottero di fabbricazione statunitense su cui viaggiava – una questione peraltro ancora da chiarire – non ha fatto scalpore più di tanto. È vero che la sua partecipazione al funerale di Raisi non era scontata, alla luce della tradizione diplomatica tunisina, ma Saïed è stato ricevuto dall’Ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema della Repubblica Islamica, con calore e riconoscimento, definendo il capo di Stato tunisino “personalità accademica virtuosa”. Ali Khamenei si era già congratulato con Saïed nel 2019 per sua elezione, non disapprovando successivamente quando nel 2021 esautorò il Parlamento con un colpo di Stato “endogeno”. Ricordo che l’ultima visita di un capo di Stato tunisino in Iran risale al 1965. Il presidente era Habib Bourguiba che incontrò lo Scià dell’Iran Reza Pahlavi durante un viaggio diplomatico che lo portò a visitare anche una decina di nazioni.

Le riserve internazionali sulla presenza al funerale di Raisi sono manifestate anche dalla latitanza di molte delegazioni straniere. Ed è proprio su questo aspetto che spicca la presenza di capi di Stato come quella di Saïed, e degli omologhi del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani e del Tagikistan, Emomalī Rahmon; altri Stati hanno delegato i capi di Governo, come Iraq, Siria, Venezuela, Bielorussia, Pakistan, Kirghizistan, Azerbaigian. Alcune nazioni si sono limitate a essere rappresentate dai rispettivi ministri degli Esteri, come Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Oman, Bahrein. Quindi, il segnale dato dalla Tunisia all’Iran è nettamente chiaro, un netto cambiamento della diplomazia tunisina.

Quali riflessioni possono scaturire dalla presa di posizione di Saïed verso l’Iran? Il momento socio-politico-economico che sta attraversando la Tunisia è indubbiamente cruciale. I rapporti di Saïed con l’Occidente sono in seria difficoltà, e l’avvicinamento alla Russia in un memento di profonda crisi internazionale, denota un netto cambiamento della “rotta diplomatica” tunisina. Così la visita a Teheran non mancherà di accrescere i già molti interrogativi sul posizionamento strategico della Tunisia, sulla affidabilità del suo presidente, nonché sulla stabilità del Governo. Saïed aveva già incontrato a marzo, ad Algeri, il leader iraniano Ebrahim Raisi durante il vertice dei paesi esportatori di gas. In quel contesto aveva elogiato i popoli africani liberati dal colonialismo, i quali operano per esercitare la loro assoluta sovranità sulle enormi risorse naturali di cui godono.

Insomma, una vetero posizione anticolonialista inserita in un contesto di svincolo dall’Occidente. Così, l’atteggiamento ideologico di Saïed si inserisce perfettamente nel suo tracciato politico culturale, che lo vede formatosi nella scuola del nazionalismo arabo, non casualmente imposta dai francesi ancora prima della fine della Grande guerra (trattato segreto Sykes-Picot del 1916), continuando verso questo spostamento diplomatico verso l’Iran. Una ideologia antimperialista che però deve coabitare con la spasmodica ricerca di nazioni che possano erogare finanziamenti, magari a fondo perduto, fondamentali per la “cadaverica” economia tunisina, vacillante sul bordo della bancarotta. Quindi, un presidente che chiede aiuti all’Occidente ma che, quasi come una minaccia, continua a spingere sul rafforzamento dei legami con potenze che appartengono al gruppo Brics+, strutturato sull’antioccidentalismo.

La strada dei finanziamenti per la sopravvivenza del Governo golpista Saïed si sta restringendo dopo il rifiuto di sottoscrivere un accordo con il Fmi, Fondo monetario internazionale, che prevedeva un prestito, dal rientro impossibile, di 1,8 miliardi di euro. Il diniego da parte di Saïed si basava sui termini delle condizionalità legate ai fondi erogati. Questa mancanza di entrate ha ridotto drasticamente le opportunità di intervenire sui bilanci tunisini. Ma i condizionamenti non sono solo stati da parte del Fmi, ma anche dall’Arabia Saudita che sollecitata da Saïed a erogare prestito alla “causa tunisina”, ha posto la condizione che prima si sarebbe dovuto concludere l’accordo con il Fondo monetario internazionale. Quindi un sistema di finanziamenti che ruotano attorno alle condizioni richieste dal Fmi. Inoltre, aiuti economici sono stati negati anche dal ricco Qatar il quale ha basato eventuali finanziamenti ad un compromesso politico. Infatti, Doha reclama che il Governo tunisino scenda ad accordi con il partito di matrice islamista Ennahda, i cui capi, tra essi il leader storico Rached Ghannouchi, sono stati messi ai ferri proprio da Saïed. Ma il quadro si articola anche tra i discussi Accordi di Abramo, infatti l’Algeria ha ambizioni di “pseudo controllo” sulla confinante Tunisia, e vede con profondo disagio eventuali aiuti economici da parte degli Emirati Arabi Uniti e Marocco, proprio a causa del loro “operare” sullo scenario della normalizzazione dei rapporti con Israele, siglati nel 2020. Quindi facile intuire un avvicinamento con l’Iran, anche a causa dei legami di lunga data che ambienti vicino a Saïed hanno da anni con Teheran. Ad esempio, Naoufel Saïed fratello del presidente, consigliere ombra del Governo, appartiene alla fazione politica della “sinistra islamica”, movimento nato alla fine degli anni Settanta, il cui teorico è Ali Shariati (1933-1977), considerato uno dei precursori della rivoluzione iraniana del 1979.

La dirimpettaia Tunisia, dopo avere preso la deriva autoritaria imposta dal presidente Saïed, ora indugia su un’altra deriva verso l’Iran, decisamente più rischiosa vista la burrasca geopolitica che ormai spazza sempre più violentemente il tumultuoso scenario internazionale.


di Fabio Marco Fabbri