lunedì 27 maggio 2024
Un vecchio e consunto elicottero degli anni Settanta precipitato domenica 19 maggio ha rappresentato la tomba del presidente iraniano Ebrahim Raisi. Un contrasto emblematico quello tra la tecnologia iraniana espressa nella forsennata ricerca del completamento dell’ordigno nucleare e i droni, forniti a Mosca e utilizzati per colpire Israele la notte tra il 13 ed il 14 aprile, con l’elicottero Bell 214, versione militare di un modello di fabbricazione statunitense utilizzato anche nella guerra del Vietnam. Un rudere recuperato nel 1979 dopo la Rivoluzione islamica che ha portato alla deposizione dello Scià Reza Pahlavi. Quindi, senza dubbio un contrasto tecnologico, ma anche qualche perplessità sulla casualità di un incidente in una zona non lontana dai confini dell’Azerbaigian, Stato amico consolidato di Israele. Ricordo che proprio i confini azeri sono stati messi a disposizione dei servizi segreti israeliani per operazioni di spionaggio in Iran.
Tuttavia, il 19 maggio, il presidente Raisi e l’omologo azero Ilham Aliyev hanno confermato la cooperazione tra Baku e Teheran, inaugurando due dighe costruite sui propri confini, su un’area prima controllata dall’Armenia. Anche se l’evento ha condotto i portavoce dei due Paesi a sottolineare l’importanza di tale cooperazione nell’ottica di relazioni di buon vicinato, è anche vero che alcuni media azeri, dopo la morte del presidente iraniano, abbiano dichiarato l’esistenza di una crisi sistemica in Iran. I soffocati sospetti che rendono la caduta dell’elicottero avvenuta per cause da chiarire – dichiarazione confermata anche da parte iraniana – apre, vista la grave crisi tra Israele e Iran, alcuni spazi di riflessione circa i rapporti tra Israele e l’Azerbaigian.
Infatti, una delle prime strategie politiche risalenti alla seconda metà del secolo scorso messe in campo da Israele, è stata cristallizzata dall’avvicinamento strategico con gli Stati non arabi attraverso la sua “dottrina della periferia”. Questa operazione relazionale è stata innescata per bilanciare quel limitato, ma efficace, concetto panarabico, che univa i Paesi arabi limitrofi in un’ottica ostile allo Stato israeliano. Ricordo che l’organizzazione del territorio dell’ex Impero ottomano è stata strutturata, dal progetto Sykes-Picot del 1916, sul “nazionalismo arabo”, ma obiettivi anti-israeliani hanno unito gli Stati arabi sotto un panarabismo limitato al sabotaggio di Israele.
La “dottrina della periferia” israeliana ha così rafforzato la sua sicurezza grazie a strategici legami economici con molti Paesi periferici al mondo arabo, riducendo il suo isolamento regionale. Questo ha permesso allo Stato ebraico di creare legami solidi anche con l’Azerbaigian, uno Stato musulmano a prevalenza sciita, il quale ha reso questa cooperazione strutturale e anche fondamentale per le relazioni bilaterali tra i due Paesi. Gli interessi reciproci hanno riguardato la difesa, l’economia e la politica. Ma soprattutto negli ultimi anni Israele è diventato fondamentale per la fornitura e la gestione di sistemi di difesa basati sull’informatica, sul controllo invasivo, e nell’ambito del cyberspazio. Questa strategica cooperazione ha posizionato Israele in Azerbaigian come una irrinunciabile potenza informatica, permettendo a Baku di modernizzare e irrobustire le proprie capacità in questa determinata sfera. Inoltre, l’Azerbaigian gode di importanti risorse naturali, come gas e petrolio. Infatti, Tel Aviv importa circa il quaranta per cento del greggio attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che attraversa la Turchia per servire Israele. Il sistema è gestito dalla Socar, compagnia petrolifera statale della Repubblica dell’Azerbaigian, che si occupa della ricerca, produzione, trattamento e trasporto di gas e petrolio.
Nel 2023, durante un evento fieristico, l’Akta, Associazione delle organizzazioni di sicurezza informatica dell’Azerbaigian, è stata presente in Israele per sottoscrivere convenzioni con enti governativi e società private, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione nell’ambito della cybersecurity. In questo contesto, in incontri bilaterali sono stati presentati ai delegati azeri prodotti e servizi di aziende che poi hanno avuto contratti direttamente con Baku, come Flowsec, Blackstone, Magnifica, TripleP e altre. Quindi, un rapporto tra Baku e Tel Aviv solido e particolarmente “intimo”, che tocca pure il piano politico, sviluppando relazioni strategiche basate su interessi comuni, come la lotta al terrorismo, la stabilità regionale e la salvaguardia della sicurezza. Così, il gruppo israeliano Nso ha venduto a Baku il suo famoso spyware Pegasus, e la società Elbit Systems ha fornito i droni Hermes.
Israele e Azerbaigian hanno inoltre sostenuto reciprocamente le loro posizioni sulla scena internazionale, in particolare riguardo al conflitto armeno. Ricordo che Israele ha fornito attrezzature militari all’Azerbaigian durante il secondo conflitto per il Nagorno Karabakh (il primo tra il 1988 e il 1994), tra settembre e novembre 2020. Il supporto militare è stato rivelato anche da Human Rights Watch, Hrw, che ha dimostrato – segreto di Pulcinella – che l’Azerbaigian ha utilizzando munizioni a grappolo di fabbricazione israeliana nella guerra nel Nagorno-Karabakh, riferendosi soprattutto i razzi Lar-160, i cui resti sono stati trovati nelle zone bombardate di Stepanakert, capitale dell’autoproclamata Repubblica armena del Nagorno-Karabakh. Sottolineo che Israele ha un’ambasciata a Baku dal 1993, mentre l’Azerbaigian al fine di evitare contrasti diplomatici con Stati a maggioranza musulmana o di provocare l’Iran, ha aperto un’ambasciata in Israele a marzo 2023, “poggiandosi” diplomaticamente sulla firma degli “Accordi di Abramo” del 2020.
Israele da tempo opera anche secondo la “dottrina della periferia inversa”, proprio tramite gli “Accordi di Abramo” e precedenti. Un fattore che ha condizionato la posizione degli Stati arabi contrari a tali “normalizzazioni” come la sedicente Autorità palestinese, i terroristi di Hamas e non ultimo l’Iran. Che “casualmente” ha perso il suo presidente in un incidente aereo vicino ai confini azeri.
di Fabio Marco Fabbri